dylan Dog n.468 “Quel che resta del tempo”

Dylan Dog n.468
“Quel che resta del tempo”

La recensione del Dylan Dog di Magini, Russo & Torti

/
1 min read
5.5/10

Dario Magini e Alessandro Russo firmano una storia che si muove su coordinate che richiamano in maniera esplicita il racconto di Philip K. Dick Squadra riparazioni e, ancor di più, la sua trasposizione cinematografica I guardiani del destino di George Nolfi. A questi riferimenti strutturali si somma una profusione di citazioni che vanno da Baudelaire a Casablanca passando per American Psycho: un marasma di rimandi che finisce per definire l’avventura, la lettura e il risultato finale.

L’incipit funziona bene, con un Dylan Dog credibile e un’ambientazione ben restituita dalle tavole di Riccardo Torti, ma ben presto la trama si sposta su una lunga caccia all’uomo, tra inseguimenti, sparatorie e tradimenti. Il ritmo è sostenuto e l’azione non manca, ma molte dinamiche restano superficiali: il cliente / villain di turno appare stereotipato, il Bureau temporale poco convincente e alcune soluzioni narrative – come la gestione degli omicidi per interposta persona e la logica di utilizzo del minuto in meno/più – faticano a trovare logica interna.

L’impressione è che si volesse imbastire un racconto ragionato, giocato sul nonsense filosofico-matematico derivato da metafisiche evocative del Dylan sclaviano, strizzando l’occhio alla politica di Barbara Baraldi sui nuovi orrori del presente (qui l’opprimente senso del tempo che non lascia vivere).

Le premesse rimangono però appena percettibili e finiscono presto soffocate da un impianto da paradosso temporale, con loop, conseguenze a catena e sfasature, che si configura più come un’elaborazione del film dickiano già citato.

Il ritmo è però efficace, anche se i numerosi buchi narrativi fanno storcere il naso e relegano queste suggestioni a un sottofondo confuso, ridotto a semplice intenzione mai davvero sviluppata. Alcuni elementi riescono comunque a lasciare il segno: curiosa la ricomparsa del professor Knock, che, pur privo della follia filosofico-matematica di sclaviana memoria, funziona bene e contribuisce a tenere interessante l’evolversi del racconto.

Piacevole la scrittura di Russo, capace di rendere la lettura scorrevole nonostante le ingenuità di fondo. Efficaci, come anticipato, i disegni di Torti che giocano bene con la resa dello sfasamento temporale e con la caratterizzazione dei personaggi.

VOTO
0

Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

Articolo precedente

Sulla Tavola | Agosto 2025

Prossimo Articolo

Julia n.324 “La finestra sul retro”

Ultimi Articoli Blog