Seguendo le disposizioni della politica dettata dal direttore editoriale Jim Shooter, che chiedeva solo storie della durata di un mese, dopo l’abbandono di Roger Stern e John Byrne la collana del Capitano presentò ben cinque one-shot di fila, con il vantaggio – soprattutto per il cosiddetto lettore occasionale – di poter gustare ogni volta una storia con un inizio e una fine precisi, senza il problema di dover capire cosa fosse successo negli albi precedenti.
E così, sui numeri da 256 a 260 (aprile/agosto 1981) si alternarono diversi sceneggiatori (Bill Mantlo, Mike W. Barr, Chris Claremont, David Michelinie, Al Milgrom e lo stesso Jim Shooter) e disegnatori (Gene Colan, Lee Elias, Mike Zeck e Alan Kupperberg).
La situazione cambiò quando venne finalmente trovato un nuovo team creativo stabile, costituito da due giovani autori ai primi passi della loro carriera, John (o Jean) Marc DeMatteis e Mike Zeck, che lavorarono insieme sulla testata per ben 28 numeri (dal settembre 1981 al gennaio 1984), solo occasionalmente intervallati da brevi storie di altri (precisamente i numeri 265/266, 271 e 273/274, tutti sceneggiati da David Kraft, con i disegni di Zeck e Kupperberg).
A proposito di J.M. DeMatteis (che sarebbe poi diventato celebre con i capolavori “ragneschi” L’ultima caccia di Kraven e Il bambino dentro), si racconta che nel 1979, da poco entrato alla Marvel, ricevette la richiesta da parte di Jim Shooter di elaborare una storia che coinvolgesse il Capitan America dei fumetti e l’attore Reb Brown, che aveva interpretato l’eroe in un film per la TV andato in onda quel medesimo anno (film, peraltro, assolutamente da dimenticare).
Una premessa bizzarra, ma dalla quale DeMatteis sviluppò un soggetto, apprezzato da Shooter ma respinto dai “piani alti” della casa editrice. Due anni dopo, l’editor dell’albo, Jim Salicrup, si ricordò di quel plot e chiese a DeMatteis di rielaborarlo, eliminando opportunamente il riferimento all’attore.
Quella riscrittura divenne una storia in tre parti pubblicata su Captain America 261/263 (in cui ritornano il Teschio Rosso, l’Ameridroide e un falso Nomad) con cui DeMatteis cominciò il suo percorso di sceneggiatore del Capitano partendo da una nuova prospettiva, spiegata dallo stesso autore sul suo blog: “Alcuni vedono Cap come un anacronismo, un rimasuglio di un’altra epoca o, peggio ancora, un simbolo dell’imperialismo americano. Sbagliano in pieno. Questo eroe incarna il meglio dell’America e trascende la nazione che l’ha creato. L’uomo Steve Rogers rappresenta tutti coloro che combattono per un mondo migliore, per sé stessi e per gli altri. Ciò lo rende uno di noi…”
Questa sorta di manifesto programmatico trova subito spazio nei numeri autoconclusivi 264 e 267, nei quali DeMatteis inizia a narrarci che cosa rimane del Sogno Americano dopo due secoli di storia in cui gli ideali nobili e democratici dei padri fondatori degli States si sono scontrati con guerre, violenze, scandali, razzismo, sopraffazione, arrivismo, consumismo e competitività sfrenata.
Dopo un crossover con la collana dei Difensori (n. 268) e un episodio che vede il Capitano allearsi con il Team America (una squadra di motociclisti ispirati a dei giocattoli, n. 269), a partire da Captain America 270 – giugno 1982 – DeMatteis e Zeck propongono la loro prima saga di ampio respiro: un vero e proprio thriller, denso di imprevisti e sconvolgenti colpi di scena, in cui i lettori vengono condotti nel profondo degli orrori americani. Un viaggio che tocca anche temi scottanti (come l’antisemitismo, i diseredati di strada, l’omosessualità di Arnie Roth, un vecchio amico ritrovato da Steve) e che vede il ritorno di Falcon e di due vecchi avversari: Helmut Zemo (affrontato precedentemente nel n. 168) e Arnim Zola (creato da Kirby nel n. 208).
Una circostanza degna di essere sottolineata in questo arco di storie è quella che DeMatteis pone in particolare rilievo la figura di Bernie Rosenthal.
Creata da Stern e Byrne, questa ragazza diventa sempre più l’interesse amoroso di Steve Rogers (e lo rimarrà per buona parte degli anni ’80), ma il loro rapporto è complicato. All’epoca, Steve Rogers era, per tutti coloro che lo conoscevano, un semplice grafico pubblicitario/disegnatore, e temeva di non riuscire a conciliare i suoi doveri di Cap con la vita privata. Pertanto, non aveva rivelato a Bernie la sua doppia identità. Ma in Captain America 275, Bernie scopre casualmente il segreto del suo innamorato e la gestione della loro relazione diventa allora più semplice, portandoli in séguito a prendere addirittura la decisione di sposarsi… cosa, tuttavia, che non riuscirà mai a concretizzarsi.
Terminata la precedente storyline con il n. 279 (datato marzo 1983) e dopo un one-shot dai toni marcatamente horror (con una versione del supercriminale Spaventapasseri veramente terrificante e paurosa), con Captain America 281 nelle storie di DeMatteis diventa coprotagonista una vecchia conoscenza: Jack Monroe, colui che impersonava il ruolo di Bucky negli anni ‘50.
Come visto nelle precedenti puntate, Monroe era già comparso nel 1972 al fianco di William Burnside, che nel dopoguerra aveva adottato l’identità di Capitan America. Entrambi erano stati posti in animazione sospesa per poi liberarsi e combattere contro Steve, Falcon e Sharon Carter.
Burnside era poi morto nel n. 236 mentre a Jack, dopo un periodo di riabilitazione ad opera dello S.H.I.E.L.D., era stato concesso di tornare in libertà.
Dopo essersi riconciliato con l’originale Steve Rogers, su Captain America 282 Jack Monroe indossa il costume di Nomad, riprendendo l’identità che Steve aveva usato dopo gli eventi del Secreto Impero. È proprio lo S.H.I.E.L.D. a convincere Jack ad assumere questo ruolo per combattere al fianco di Cap la malvagia Viper. In passato, infatti, la criminale era stata sconfitta da Steve/Nomad e il servizio segreto dell’Universo Marvel pensa così di “giocare” in vantaggio. Dopo aver sconfitto l’ex madame Hydra, Monroe decide di tenere il costume e l’identità di Nomad e prosegue la sua lotta contro il crimine al fianco di Cap e Falcon.
Dopo un poetico e toccante interludio disegnato da Sal Buscema, nel quale viene mostrata la morte per cancro dell’anziano Jeff Mace (il supereroe chiamato Il Patriota che aveva ricoperto il ruolo di Capitan America dal 1946 al 1954, come avevamo raccontato qui) e una storia futuristico-fantascientifica di quattro numeri con il personaggio di Deathlock (Captain America 286/289), il disegnatore Mike Zeck abbandona la testata per andare a disegnare il primo mega-evento della Marvel: le Guerre Segrete.
Un numero disegnato da Ron Frenz, che vede Helmut Zemo tramare ai danni di Cap e Nomad affiancato da una nuova malefica avversaria, Madre Superiora (la figlia del Teschio Rosso!), un racconto riempitivo di Bill Mantlo e Team America e una storia “natalizia” illustrata dal nuovo disegnatore regolare della serie Team America (in cui viene presentato per la prima volta il supereroe nativo americano Team America), precedono Captain America 293 a partire dal quale J.M. DeMatteis lancia la sua ultima saga che si dipanerà sino al n. 300.
Il Teschio Rosso sta morendo. Gli effetti del gas inalato alla fine della Seconda Guerra Mondiale che lo avevano mantenuto giovane si sono esauriti ed è repentinamente e inesorabilmente invecchiato… ma non vuole morire da solo: vuole portare con sé anche il suo più grande nemico. Ecco allora che, con la collaborazione di Helmuth Zemo e di sua figlia Madre Superiora, il Teschio non solo cattura gli amici più cari di Cap (Falcon, Bernie, Nomad e Arnie) manipolandone le menti, ma riesce anche – con uno stratagemma – a far invecchiare il suo decennale avversario e ad avvelenarlo. Dopo una serie di colpi di scena, il Teschio Rosso muore tra le braccia di Capitan America, mentre quest’ultimo viene guarito dagli effetti del veleno grazie ai poteri mistici di Corvo Nero che, però, non riesce anche a farlo ringiovanire.
E con questa immagine di un Cap invecchiato e indebolito, DeMatteis conclude la sua lunga run sulla serie, come dicevo, con il numero 300.
Sull’albo, datato dicembre 1984, lo sceneggiatore però decide di firmare solo la trama con il proprio nome. Per i dialoghi sceglie invece uno pseudonimo (Michael Ellis): DeMatteis, infatti, aveva programmato un importante cambiamento per Cap, inizialmente approvato dall’editor della testata, che dal 1982 era diventato Mark Gruenwald.
Il numero 300 di Captain America, nei piani dello sceneggiatore, oltre a raccontare la morte del Teschio Rosso avrebbe dovuto porre le basi per un cambiamento ancora più importante. Lo stesso DeMatteis lo avrebbe svelato anni dopo:
“Dopo aver risolto i problemi con i pugni per oltre quarant’anni, Steve Rogers avrebbe cominciato a interrogarsi se ci fossero altri modi per tenere fede ai suoi ideali e fare la propria parte per cambiare il mondo. Cap, alla fine, avrebbe rifiutato la violenza come strumento per il cambiamento e iniziato a lavorare per la pace del mondo. Il mondo si sarebbe rivoltato contro Cap, il suo stesso governo lo avrebbe definito antiamericano, altri leader mondiali lo avrebbero evitato, la comunità dei supereroi sarebbe rimasta sbalordita dalla sua scelta. Gli unici alleati di Rogers in questa sua missione per la trasformazione del mondo sarebbero stati Namor il Sub-Mariner e il Dottor Destino. Nei numeri seguenti, Jack Monroe sarebbe stato plagiato dai nemici di Cap e lo avrebbe assassinato durante un raduno in cui Steve si rivolgeva ai suoi sostenitori. Solo allora, con Cap morto, il mondo avrebbe realizzato l’errore fatto. In onore del grande eroe, tutte le nazioni avrebbero deposto le armi per un’ora e solo per 60 minuti il mondo avrebbe conosciuto la pace. Ovviamente, non mi aspettavo che Capitan America sarebbe rimasto morto, del resto era il primo e il più grande eroe della Marvel, ma pensavo che lo sarebbe rimasto per un po’. Avevo anche scelto il suo successore. Inizialmente avevo valutato l’idea di fare di Sam Wilson/Falcon il nuovo Capitan America. Poi, ricordo di essermi deciso per Corvo Nero, un personaggio nativo americano che avevo ideato per la serie. Chi poteva rappresentare meglio l’America di uno dei primi americani?”
Quelle scelte furono considerate troppo rischiose dall’editor-in-chief Jim Shooter e dunque bocciate. Così DeMatteis decise di abbandonare la testata…
A conclusione dell’articolo, segnalo che nel periodo temporale che abbiamo analizzato comparvero anche tre Annual di Capitan America, e precisamente i numeri 5, 6 e 7 della collana. Il primo e il terzo, datati ottobre 1981 e ottobre 1983, scritti rispettivamente da David Michelinie e Peter Gillis e disegnati dal decano Gene Colan e dal semi-sconosciuto Brian Postman, contengono storie abbastanza dimenticabili; mentre il secondo, datato novembre 1982, scritto da J.M. DeMatteis e disegnato da Ron Wilson, propose un’interessante racconto nel quale i quattro uomini che, nel corso della storia della Marvel, avevano sino ad allora impersonato Capitan America (Steve Rogers, William Nasland, Jeff Mace e William Burnside) vengono presi dalle rispettive linee temporali per combattere una comune minaccia in un universo alternativo.
(continua)
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