Nell’articolo precedente, abbiamo visto che la terza serie di Captain America si era conclusa mostrando un eroe apparentemente morto e sepolto. Le cose non stavano proprio così perché, quasi per ironia della sorte, in quel periodo il destino editoriale di Cap ebbe negli Stati Uniti un’accelerazione vertiginosa, con diversi progetti speciali legati al personaggio e l’annuncio dell’arrivo di una nuova serie regolare.
Ciò che sembrava definitivamente tramontato (morto e sepolto, appunto), almeno secondo le prospettive della casa editrice, era il modello di Capitan America affermatosi dagli anni ‘70 agli anni ‘90. I fatti dell’11 settembre avevano cambiato le prospettive e imposto una valutazione di merito da parte degli autori Marvel nei confronti dei veri personaggi e delle loro motivazioni. Il Capitan America dubbioso, l’uomo fuori dal suo tempo, il difensore dei principi della costituzione americana era quello che aveva ricevuto i contraccolpi maggiori. Era ovvio che la Marvel non poteva ignorare l’attualità più dolorosa e torbida, e Cap fu uno dei personaggi che più subì l’invadenza quasi insopportabile della nuova situazione mondiale.
I nuovi autori incaricati di realizzare la serie nata dalle ceneri della gestione di Dan Jurgens si presero una pausa di riflessione: l’uscita del primo albo fu ritardata di alcuni mesi e la prima storyline da loro originariamente concepita fu posticipata per dare spazio a un’urgenza narrativa più immediata (una vicenda che inevitabilmente coinvolgeva dei terroristi) e a una nuova immagine del personaggio.
Negli anni precedenti, la Marvel aveva lanciato una nuova etichetta editoriale denominata Marvel Knights. Il debutto era avvenuto nel 1998 con il personaggio di Daredevil, scritto dal regista Kevin Smith e disegnato da Joe Quesada, che era anche a capo dell’iniziativa. Di lì a poco, il successo delle serie pubblicate nell’àmbito di quell’iniziativa convinse l’editore a nominare Quesada editor-in-chief della Marvel. Nei primi anni 2000, poi, si decise di allargare la linea Marvel Knights anche ad eroi più popolari come – appunto – Capitan America.
Fu così che nel giugno 2002 venne pubblicato, con un’elegante copertina illustrata da John Cassaday, il numero 1 della serie Captain America Vol. 4. A scriverla venne chiamato John Ney Rieber, che si era fatto notare con la serie Book of Magic per la DC Comics, basata sui personaggi creati da Neil Gaiman.
Seguendo lo stile della linea editoriale Marvel Knights, il Cap di Rieber e Cassaday (apparso sui primi sei numeri della serie sotto il titolo complessivo de L’avversario) ebbe dei toni maturi e tormentati, trasferendo sul personaggio le sofferenze e le amarezze, ma anche le incoerenze dell’America post 11 settembre. Nessun’altra serie di supereroi, fino a quel momento, aveva approfondito le conseguenze della tragedia come “questo” Capitan America.
La storia inizia a Ground Zero, dove uno Steve Rogers in abiti civili aiuta a cercare sopravvissuti tra le macerie. Qui viene avvicinato da Nick Fury che vorrebbe convincerlo ad andare in missione in Afghanistan, ma Steve si rifiuta categoricamente.
Il suo posto è lì, ad aiutare “quelli che potrebbero avere aria o sangue solo per altri cinque minuti prima di morire”. Egli non è spinto dal rancore o dalla vendetta, ma dalla compassione. Che ci sia bisogno di lui appare chiaro anche successivamente, quando si ritrova a salvare un ragazzo, cittadino americano da due generazioni ma dai tratti mediorientali, da un’aggressione da parte di un uomo, folle di dolore per aver perso la figlia nell’attentato.
“Capisco” dice Cap all’aggressore. “Vuoi giustizia. Questa non è giustizia. Siamo migliori di così. Risparmia la tua rabbia per il nemico”. E quando il ragazzo manifesta all’uomo il dispiacere per sua figlia, i due si stringono la mano. Cap si allontana pensando: “Ce la faremo… Noi, il popolo. Uniti da una forza che nessun nemico della libertà potrà iniziare a capire. Noi abbiamo… Noi siamo… Il Sogno Americano”. Un incipit in cui, nella tragedia, si cerca di dare luce alla speranza e, a detta dello sceneggiatore, a “risvegliare la coscienza degli Americani” senza cadere in una cieca spirale d’odio.
Sette mesi dopo, Capitan America è di nuovo in missione: un gruppo di terroristi di origine mediorientale, guidati da Faysal Al-Tariq, ha occupato la cittadina di Centerville prendendo in ostaggio la popolazione e minacciando un massacro. A Centerville, segretamente, si fabbricano componenti per mine antiuomo, e molti dei sequestratori sono ragazzini con arti artificiali rimasti mutilati da quelle stesse mine. Nel tentativo di fermare il piano di Al-Tariq, il nostro eroe capisce che il nemico a volte non mostra il suo vero volto e che non tutto è sempre bianco o nero. Un cambio di prospettiva in cui Rieber mostra che, a suo giudizio, l’attentato alle Torri Gemelle era la conseguenza di una politica estera sbagliata degli USA.
Capitan America, ovviamente, riesce a salvare i suoi concittadini evitando un’altra tragedia, ma nel farlo deve inevitabilmente uccidere il capo dei terroristi. Per impedire altre ripercussioni verso il suo paese si smaschera in diretta mondiale, assumendosi ogni responsabilità!
Infatti, a chiudere la saga denominata Gli estremisti (Captain America Vol. 4 nn. 7/11) partendo dagli spunti del predecessore, fu chiamato Chuck Austen, che continuò a mantenere i riferimenti a temi scottanti, per esempio i diritti dei nativi americani. Anche i disegnatori si avvicendarono.
A Cassaday subentrò per tre numeri Trevor Hairsine e poi Jae Lee sino al numero 16, entrambi assicurando alla testata un tratto “sporco” e tenebroso. Captain America Vol. 4 nn. 17/20 (novembre 2003-gennaio 2004) furono scritti da Dave Gibbons e disegnati con un tratto più classico da Lee Weeks i quali, discostandosi dalle atmosfere realistiche degli episodi precedenti, presentarono avventure ambientate in un mondo completamente diverso. Cap si trova per breve tempo catapultato (nel periodo tra il suo inabissamento nel Mare del Nord alla fine della Seconda Guerra Mondiale e il suo ritrovamento da parte dei Vendicatori nel 1964) in una realtà alternativa.
Lì la Germania nazista ha vinto la guerra e conquistato l’America, con il Teschio Rosso come nuovo Führer del Reich. Sconfitta la sua nemesi di quel mondo, Steve Rogers viene trasportato dalla macchina del tempo del Dottor Destino nelle acque del Nord Atlantico nel 1964, per essere recuperato dai Vendicatori nella sua linea temporale.
Si tornò a una narrazione più fedele alla vocazione realistica della linea Marvel Knights con lo story-arc Patria (Captain America Vol. 4 nn. 21/25) ad opera dello sceneggiatore Robert Morales e dell’artista Chirs Bachalo, uno dei dieci disegnatori più apprezzati dai Marvel-fans dell’epoca.
Ricca di riferimenti all’attualità, alla politica e alla cultura americana, la storia vede Capitan America in qualità di giudice presso il tribunale militare di Guantanamo Bay, nella prigione per terroristi istituita per ordine di George W. Bush all’indomani della guerra in Afghanistan contro l’organizzazione di Osama Bin Laden, responsabile degli attacchi dell’11 settembre 2001, e delle operazioni di intelligence contro il terrorismo internazionale.
Guantanamo si trova a Cuba, ma è una base militare americana. In Italia ne sentimmo parlare per la prima volta nel 2001 e ci parve strano che esistesse una base USA a Cuba, visti i rapporti fra gli Stati Uniti e Fidel Castro. Ma tutti gli studenti americani sanno che quella base esiste dal 1898. Nata all’epoca della guerra ispano-americana, il governo USA la ufficializzò nel 1903. Da allora Guantanamo Bay (situata in una delle località più belle dell’isola) divenne la maggiore installazione della marina americana nei Caraibi. C’era prima di Castro, e anche prima dell’URSS.
Lì Cap scopre una cospirazione terroristica che minaccia di mettere a repentaglio la stabilità del mondo occidentale, smaschera un generale americano corrotto e fa amicizia con alcuni militari cubani e le loro famiglie.
Il caso Bucky (Captain America Vol. 4 n. 26) è un one-shot di Morales & Bachalo nel quale Steve Rogers viene interrogato dallo staff di un senatore in merito al fatto che Cap potesse aver messo in pericolo l’adolescente Bucky Barnes per averlo preso come suo partner durante la Seconda Guerra Mondiale. Steve racconta come, nonostante la loro amicizia, gli fu assegnato Bucky come agente operativo sul campo per contrastare l’influenza della Gioventù Hitleriana; ebbe l’opportunità di combattere veramente e quando morì, lo fece non perché era un ragazzo ma perché era un eroe!
Anche se la quarta serie del Capitano ebbe una durata di 32 numeri, l’arco narrativo dal titolo Requiem – apparso su Captain America Vol. 4 nn. 27/28 – fu l’ultimo che uscì sotto l’etichetta Marvel Knights.
Dopo il realismo quasi documentaristico di Patria, l’ultima storia scritta per Capitan America da Robert Morales fu di tutt’altro tenore. Egli fece incontrare Steve Rogers con Isaiah Bradley.
Quest’ultimo era un personaggio creato da Morales per la miniserie La verità: Rosso, bianco e nero del 2003. Conosciuto anche come il Primo Capitan America Nero, fu uno dei 300 soldati afroamericani che vennero usati come cavie del siero del super-soldato. Bradley, l’unico sopravvissuto alla sperimentazione (e vista l’indisponibilità di Capitan America bloccato in una missione nel Pacifico), fu inviato in una missione suicida in un campo nazista. Isaiah, che portò a compimento la missione, indossò una copia del costume di Capitan America senza l’autorizzazione dell’esercito. Ciò fu considerato dai militari come un tradimento, e lo condannarono all’ergastolo. Solo dopo diciassette anni, nel giorno dell’insediamento di Kennedy, il presidente Eisenhower gli concesse la grazia.
Requiem vantava le matite di Eddie Campbell, l’artista inglese che aveva firmato insieme ad Alan Moore l’indiscusso capolavoro From Hell. Soltanto alcuni anni prima la presenza di Campbell nei credits di una storia della serie regolare di Cap sarebbe stata impensabile, e la dice lunga sui cambiamenti che Joe Quesada portò alla Marvel con la creazione della linea Marvel Knights.
Nei dialoghi si trova una serie di gustose citazioni, fra cui un omaggio a Jim Steranko e un accenno a Donnie Darko, film di culto del 2001. Citazione pertinente: la pellicola racconta di un viaggio nel tempo e della possibilità di cambiare il futuro…
In tal modo, quindi, terminò l’esperimento di Capitan America nella linea editoriale Marvel Kinghts. Dopo un iniziale interesse, sembra che i lettori avessero cessato di gradire le storie “impegnate” di un Capitano slegato dalla continuity. Pertanto, la serie Captain America Vol. 4 si chiuse con una run disegnata da Scot Eaton (numeri 29/32 del settembre/dicembre 2004), marginalmente legata al crossover Vendicatori Divisi (nel quale la squadra fu decimata, la loro storica base distrutta, il gruppo finì allo sbando), che presentò l’eroe combattere ancora una volta la Società dei Serpenti e il Teschio Rosso, affiancato dallo S.H.I.E.L.D. e dalla sua vecchia fiamma Diamante. Questa volta lo sceneggiatore incaricato fu un “tale” che si chiamava Robert Kirkman… colui che diventerà famosissimo come creatore dell’opera a fumetti The Walking Dead (trasposta, poi, in una – altrettanto famosissima – serie televisiva).
In conclusione, è doveroso segnalare che nel maggio 2004 venne varata anche la maxi-serie Captain America & The Falcon (che durò in tutto 14 numeri, sino al giugno 2005), dedicata alle avventure “in tandem” dei due eroi. Scritta da Christopher Priest, si avvalse dei disegni di Bart Sears, Joe Bennett, Andrea DiVito, Greg Tocchini e Dan Jurgens.
