La recente, dolorosa e prematura scomparsa di John Cassaday mi ha riportato a molti anni fa, alla lettura del Planetary di Warren Ellis, l’opera per la quale il disegnatore americano resta giustamente più noto; e sull’onda di quel ricordo, ho preso in mano e infine letto il volume che raccoglie i tre episodi di Io sono Legione, incursione di Cassaday nel fumetto europeo – francese nello specifico – pubblicati tra il 2004 e il 2007.
Opera seconda di Fabien Nury, che diversi anni più tardi ci darà un capolavoro come La morte di Stalin, Io sono Legione è un lungo racconto dal respiro di un romanzo nel quale confluiscono tematiche fantascientifiche e horror, intrecci polizieschi e di spy-story, suggestioni fantasy e folkloristiche, i ritmi tesi del thriller e quelli drammatici e romantici del racconto di guerra. Il tutto in una cornice ucronica, in un altrove storico dove arcane entità demoniache sono all’opera al fine di mutare, per fini propri, i destini della II Guerra Mondiale.
Di questo mondo e di questa temperie, allucinati e allucinanti, John Cassaday dà un’interpretazione grafica ad essi fedele in ogni sfumatura, esaltata dai colori di Laura Martin: oppressivi, cupi e glaciali anche nei frangenti più drammatici e frenetici, rappresentano un’autentica campitura emozionale, un vibrato di sottofondo della tessitura narrativa, scenica e attoriale delle tavole di Cassaday. Del lavoro del disegnatore americano colpisce come egli abbia reso in modo perfetto, almeno ai nostri occhi, la fauna umana del tempo e dell’ambientazione del trittico di volumi che compongono Io sono Legione: retrostante ai volti spesso disfatti, grifagni, repulsivi – e comunque sempre segnati da una sorta di immanenza dei tempi, dell’orrore della guerra e del terrore del Male – si apprezza un lavoro di ricostruzione psicologica prima ancora che scenografica e di costume, comunque tutt’altro che secondaria. I protagonisti e i comprimari sembrano usciti dalle pellicole degli anni della II Guerra: sono spioni d’alto bordo, politici variamente corrotti o corruttibili, poliziotti più o meno irreprensibili, lenoni e pervertiti, soldati, omicidi di ogni sorta – dai macellai di piccolo cabotaggio agli assassini di massa – e infine la povera gente di ogni genere, i vasi di coccio stritolati dalle loro controparti di ferro, le perdite collaterali, il bestiame umano sacrificato quotidianamente nei mattatoi della Storia.
A tutti costoro, come a coloro che di volta in volta sono gli innumerevoli “ospiti” umani o animali degli strigoi, le creature demoniache che duellano sul palcoscenico approntato da Fabien Nury e da cui il riferimento evangelico del titolo al demone Legione, John Cassaday dà il volto, le movenze, i gesti che più si mostrano adatti a farceli percepire per quello che sono e che rappresentano. È un disegno che attraverso questa ricerca fine di aderenza psicologica si rivela emotivamente profondo e di sicuro effetto e, come detto, esaltato dalle fredde variazioni cromatiche che intervengono a sottolineare ulteriormente il tono sottostante di orrore immanente del racconto: un orrore materiale, di morte e di sangue; e un orrore metafisico che affonda le sue radici nelle leggende rimosse e le innerva nella contemporaneità, più tenue eppure non meno significativo.
La storia in sé è banale, trita perfino, e sicuramente derivativa: nello scenario sommariamente descritto un ispettore di polizia britannico, Stanley Pilgrim, indagando sulla morte di un notabile si imbatte in due entità demoniache che da secoli si combattono e le cui incarnazioni storiche più famose sono state quelle dei due più famosi figli del Drago, il voivoda Vlad II di Valacchia, ovvero Vlad III l’Impalatore e Radu III. Incarnazioni più famose e possibilmente primigenie: entrambi i demoni si riferiscono a loro stessi con i nomi di Vlad e Radu e con l’appellativo di fratelli. Lo scacchiere sul quale si muovono, come detto, è quello di una II Guerra Mondiale che, pur alternativa, resta in tutto il confronto/scontro multilaterale tra ideologie politiche e sociali, immagini di mondo inconciliabili e brame di potere che hanno condotto alla mattanza probabilmente più acerba della nostra storia. E più di Vlad e Radu, più degli altri protagonisti principali che completano il cast di questo racconto articolato e complicato, è proprio la guerra il centro nevralgico della narrazione, il “personaggio” principale.
Una guerra che a volte risulta spettacolarizzata, caricaturalizzata perfino, e che pure mantiene intatto il suo portato di orrore vero: non l’orrore delle leggende transilvane o valacche, o quello letterario che le ha elaborate trasformando l’Impalatore nel vampiro per eccellenza di film, romanzi e fumetti via via più ridicoli; l’orrore, invece, della morte senza alcun senso di milioni e di singoli. A Nury e Cassaday sono sufficienti piccoli dettagli qui e là: lo sguardo remoto dal mondo e le azioni apatiche del generale delle SS Heyzig (una chiara maschera dello Heydrich storico); l’inumana ragione di Stato incarnata da Churchill e dalla sua cerchia; la burocratica efficienza del colonnello von Kleist; la disumana umanità dell’ammiraglio Canaris. È sufficiente, più di ogni altra cosa, l’escamotage escogitato da Heyzig e la sua coorte di diligenti impiegati dell’orrore di trasformare gli ebrei imprigionati in vettori di morte, annullandone la volontà e mettendoli sotto il controllo di Radu, un qualcosa che risuona con quanto accade nel nostro mondo negli ultimi anni, mesi, settimane.
In sé la storia si presenta come un gran mischione: come detto affastella tutti o quasi i generi della letteratura popolare, ha la struttura di un best-seller – di base è insomma un moderno thriller d’avventura ibridato con la qualunque. È una lettura non solo legittima ma forse anche privilegiata, e chi ami il genere credo la apprezzerebbe in quanto tale, trovandola più o meno adrenalinica a seconda del proprio gusto. Tuttavia sono altrettanto innegabili le riflessioni e suggestioni sopra riportate, che affiorano talvolta quasi inavvertitamente e talaltra con maggiore evidenza, fino ad occasionali ed efficaci pugni nello stomaco. Anche il (doppio) finale si presta a una duplice interpretazione: dalla devastazione morale e sociale sin lì descritta emerge un messaggio di speranza quando infine si concretizza il banale, umanissimo amore tra Stanley Pilgrim e la sua storica collaboratrice Marjorie. E ugualmente si intravede una speranza nella (apparente?) ricomposizione tra Vlad e Radu, forse, in qualche modo, toccati infine dai sentimenti e dal dolore delle loro ultime “ospiti”.
Forse davvero Vlad aveva sperimentato l’insensatezza della sete di potere, e forse davvero Radu aveva compreso che, come detto dal fratello, la sopravvivenza nascosti agli occhi degli uomini era l’unica cosa che contasse? Forse. Un finale consolatorio, in linea con la prima anima della storia, quella di moderno best-seller dalle fattezze di thriller. Ma anche un finale in qualche modo anodino, realistico: nei grandi cataclismi storici saranno sempre tantissimi quelli che ci lasceranno tutto, la vita o l’equilibrio mentale, la sanità spirituale od ogni affetto; e vi saranno sempre anche coloro a cui andrà invece bene. Gli uni e gli altri senza riguardo a eventuali fattori di “merito”.
A far propendere per quella che potrei definire in senso figurato lectio difficilior è da un lato l’abilità con la quale Nury ha saputo trapuntare il suo thrillerone fanta-horror-bellico di quelle piccole e grandi stilettate nella carne del lettore che ho cercato di descrivere più sopra; d’altro lato, e soprattutto, è la visionaria interpretazione grafica fornita da John Cassaday e Laura Martin che hanno tradotto con fedeltà completa al lettore questa realtà di piatto, corrivo orrore; questo romanzo di ordinaria dis-umanità che sopravanza largamente l’orrore di maniera che qualunque vampiro, demone o mostro letterario non può non rappresentare in questi nostri anni duemila e passa.
Collaborando con altri disegnatori, Fabien Nury ha dato poi dei seguiti alla sua opera, che non mi risultano essere stati tradotti per il nostro mercato. L’opera disegnata da John Cassaday resta a ogni modo conclusa e compiuta di senso.