Il Peter Parker/Parquagh, ex-attendente di Sir Nicholas Fury, che era rimasto nella colonia di Roanoke e stava imparando a conoscere e padroneggiare i suoi aracnidi poteri, è costretto a tornare nella vecchia Europa: l’avido e mellifluo – e falsamente redento – Osborne torna a scagliarsi contro le popolazioni native e provoca anche la morte di Virginia Dare (tra l’altro, già profetizzata nell’opera originale), e viene così rispedito in terra inglese per affrontare la pena di morte, con Peter appunto a fargli da guardia.
Stavolta tocca a Jeff Parker (Agents of Atlas) mettere in scena un altro frammento di “storia alternativa”: tra turbolente traversate oceaniche, le fortificazioni di Carcassonne e i canali di Venezia, sfilano così tutti i più celebri nemici dell’amichevole Ragno di contrada (Octavius, Connors/Lizard, Osborne/Goblin), cui si aggiungono Kingpin e Bull’s eye, Pym/Giant Man assieme a Janette/Wasp e McCoy, e ovviamente MJ Watsonne con famiglia al seguito – con anche la comparsata di un tal capitano Stacey.
È quindi fin da subito chiaro che sì ampia rosa di personaggi renda ardua una equilibrata gestione degli stessi; ciononostante l’autore si prodiga per orchestrare una vicenda che cerca di collegare in maniera efficace quanti più spunti possibili, puntando anche lui l’accento sulle brillanti intelligenze di Pym, McCoy, Connors e Octavius quali “filosofi naturali” di prim’ordine e antesignani di buona parte della scienza moderna, le cui sperimentazioni (anche a base delle uova di dinosauro) sono praticamente alla base di tutte le mutazioni sciorinate nell’arco dei cinque capitoli nei quali la narrazione si dipana.
Non mancano ovviamente dei fili lasciati appesi, o inevitabili soluzioni “di comodo” necessarie per permettere all’impianto di mantenersi – magari anche contemplando qualche forma di autoindulgenza, dato che non tutto alla fine quadra perfettamente.
L’arte di Ramon Rosanas – qui praticamente al debutto in casa Marvel – si distingue per una dinamica gestione delle tavole in più di un’occasione, oltre che per la scelta di una delicata palette di colori che smorza in qualche modo la tensione narrativa (è pur sempre una storia di Spider-Man!).
Forse è però proprio quest’ultimo aspetto a risultare leggermente fuori luogo, così da privare il tutto di quel tocco di realismo in più che avrebbe giovato ai fini di un maggiore coinvolgimento del lettore.
Va ad ogni modo sottolineato come Parker sia riuscito ad infilare una sequenza finale che, seppur non brillando come resa, provvede a chiudere definitivamente il cerchio su questo scorcio di Terra-311, generata a suo tempo da Rojhaz. Uno scorcio che suggerisce l’idea di un multiverso intimamente concatenato – e forse mutuamente vincolato – e allunga lo sguardo verso sprazzi di futuro fortemente familiari ai lettori Marvel, rivelando così che l’eco del pensiero vichiano è forse l’unica, vera costante di qualsiasi multiverso.
