Le avventure minimaliste dell’immortale Mort Cinder

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Come scrivevo nella puntata precedente, ho completato con Diabolik la mia personalissima panoramica di generi inseriti nella rubrica Evergreen, che si occupa di un unico albo pubblicato in una delle innumerevoli collane di collaterali apparsi negli ultimi vent’anni in edicola. Riepiloghiamo un attimo…
Historietas? Il mio amato Eternauta.
Graphic novel? Il capolavoro Maus.
Disney? La storia e gloria della dinastia dei Paperi.
Bonelli*? Tex contro il figlio di Mefisto.
Manga? La poesia di Jiro Taniguchi.
Bandes Dessinées? L’esordio di Largo Winch.
Supereroi americani? Gli Avengers e la loro Civil War.
Altro fumetto italiano? Diabolik, come dicevo all’inizio.
(*A dire il vero, per i Bonelli ho anche aggiunto una storia di Zagor, una di Martin Mystère e un’altra di Tex in occasione di varie ricorrenze.)
Adesso, quindi… riparto per una nuova panoramica, ancora una volta dalle historietas con l’immortale – in tutti i sensi – Mort Cinder. Ma in séguito non rispetterò necessariamente lo stesso ordine: anzi, anticipo fin d’ora che vi saranno vari evergreen bonelliani ad alternarsi con gli altri generi.


L’anziano antiquario londinese Ezra Winston vede la sua tranquilla vita sconvolta dall’arrivo dell’enigmatico Mort Cinder, braccato da misteriosi uomini dagli occhi di piombo. Chi è Mort Cinder? Un morto vivente? Come fa a sopravvivere – o meglio, rinascere – continuamente? Domande destinate a restare senza risposta ma che aprono la strada ai ricordi di un uomo che ha vissuto in tante epoche diverse, ricordi che condividerà con Ezra prendendo spunto dagli oggetti antichi contenuti nel suo negozio…
Le avventure complete dell’immortale creato da Hector G. Oesterheld e Alberto Breccia e pubblicate in Argentina tra il 1962 e il 1964, raccolte in un unico albo che mostra l’evoluzione del rapporto tra i due protagonisti in una continua alternanza tra ricordi di imprese epiche – la Torre di Babele, la battaglia delle Termopili – e altri frammenti di storie del passato, legate ai sentimenti di una madre o ad amori eterni che attraversano il tempo… “Il passato è davvero morto e sepolto come crediamo?”

 


Ci sono storie, fumetti che mostrano anche una necessità vitale: quella di descrivere ciò che accade intorno, di rappresentarlo e di condividerlo. Leggendo queste pagine […] sentiamo tutte le preoccupazioni di un personaggio che cerca di trovare scampo, attraverso gli oggetti del passato, alla tragedia del presente.

(Luca Raffaelli)

Come raccontavo in questo articolo, il mio primo impatto con Mort Cinder è avvenuto probabilmente “troppo presto” per apprezzare appieno le misteriore avventure di questo personaggio e, soprattutto, i disegni quasi impressionisti del suo creatore grafico, Alberto Breccia. È andata meglio qualche anno più tardi, quando fu pubblicato come inserto su Lanciostory, nei numeri da 6 a 18 della XI annata (1985), pur se in un’edizione di piccolo formato e con un rimontaggio non eccezionale di alcune tavole – nate in formato orizzontale, come spesso avveniva per i fumetti pubblicati nelle riviste argentine.

Che bella sorpresa, quindi, poter rileggere l’edizione integrale delle avventure di Ezra e Mort in un volume di gran formato, con alcuni episodi addirittura riproposti nell’originaria disposizione orizzontale! Le storie del grande Oesterheld acquisivano ancora più vigore e potevo rituffarmi non solo negli episodi più conosciuti – quali la Torre di Babele o la splendida battaglia delle Termopili, che concludeva degnamente l’intera saga – ma anche in quelli più intimisti, in cui vengono raccontate storie quasi minimaliste che, tuttavia, colpiscono nel segno.
Emblematica, in questo senso, è “La madre di Charlie”, prima storia dopo “Gli uomini dagli occhi di piombo” (che fu poi preceduta, nelle ristampe, da una breve introduzione apparsa durante la pubblicazione a puntate degli Occhi di piombo sulla rivista Misterix). Una signora vecchissima attende pazientemente, alla stazione, il ritorno di suo figlio dalla guerra, confortata dalle premure di un ferroviere: Mort decide di tornare direttamente nel passato – trascinandovi anche Ezra, involontariamente – per verificare cos’era accaduto al figlio della vecchietta, accusato di viltà durante la Prima Guerra Mondiale, per poi scoprire (al ritorno nel presente) che si tratta effettivamente di “quel” ferroviere. Un soggetto, se si vuole, anche banale e forse prevedibile, ma trattato con una delicatezza impareggiabile nel condurre la storia ad un lieto fine scontato eppure credibile, perché come dice lo stesso Morta una madre non interessa granché l’eroismo in guerra. Le interessa molto, molto di più un poco di affetto tutti i giorni… i fiori di ogni sera, le piccole attenzioni che Charlie non le ha fatto mancare. Perfino il fatto che le abbia nascosto la sua viltà… Tutto questo insieme ha lavato ogni infamia del passato“.

E che dire dell’episodio “La nave degli schiavi”, già inserito a suo tempo nell’Oscar Mondadori dedicato agli Occhi di piombo? Partendo, ancora una volta, da un oggetto acquistato da Ezra per il suo negozio, Mort racconta una storia struggente che condanna lo schiavismo e la tratta di esseri umani perpetrato dalle navi negriere nel corso del XIX secolo… ma lo condanna non con tratti epici o didattici, bensì raccontando la vita quotidiana a bordo, le vessazioni inferte ai prigionieri, il naufragio della nave e il salvataggio di Mort grazie al sacrificio di uno degli schiavi, proprio quando il protagonista vorrebbe lasciarlo affogare per salvare la propria vita… Storie, come dicevo, quasi minimaliste ma al contempo bellissime da leggere, accanto alle uniche due “epiche” di cui parlavo in precedenza.
Ed è questo che più mi ha colpito in Mort Cinder rispetto all’altro personaggio immortale delle historietas, quel Gilgamesh di Wood & Olivera perennemente impegnato a “salvare il mondo” in una serie di episodi sì trascinanti ma spesso al fianco di personaggi noti e all’interno di situazioni in cui il suo intervento cambiava (o stava per cambiare) la Storia, fino poi alla partenza dalla Terra distrutta su un’astronave, con dodici neonati, per salvare ciò che resta dell’umanità… Niente di tutto questo nelle avventure di Ezra e Mort, nessuna spiegazione di come il protagonista è diventato immortale, nessuna “missione” da perseguire per salvare il mondo: solo belle storie illustrate da disegni fantastici e volutamente inquietanti, talvolta di non immediata leggibilità eppure imprescindibili alla riuscita di questo capovaloro. Buona lettura.

Mort Cinder viene pubblicato, suddiviso a puntate (brevi e talvolta brevissime), sulle pagine della rivista argentina Misterix tra l’agosto del 1962 e il marzo del 1964. In Italia la sua avventura più lunga (“Gli uomini dagli occhi di piombo”) viene pubblicata nell’Oscar Mondadori n. 521 pubblicato nel 1974, mentre l’intera saga viene ristampata nel 1985 come inserto di Lanciostory.
La versione che consiglio fa parte del collaterale intitolato La Serie Oro di Repubblica, collana antologica dedicata a personaggi di vari generi di fumetto pubblicata tra il 2004 e 2005 a cura di Luca Raffaelli, che in questo volume propone tra l’altro un’interessante analisi dell’eredità lasciata dai due creatori sugli altri fumettisti della scuola sudamericana, come pure una disamina sulla tecnica con cui Breccia “riproduce” sé stesso nel coprotagonista Ezra Winston (l’artista era soprannominato “El Viejo” per le rughe che invecchiavano il suo volto già quando aveva solo quarant’anni). L’unico piccolo rimprovero che mi sento di muovere a questa edizione è il titolo “Il vagabondo del tempo”, che richiama da vicino un altro capolavoro di Oesterheld & Breccia – l’Eternauta, “il vagabondo dell’infinito”  – in un parallelo evocato da Raffaelli all’inizio della sua presentazione ma, secondo il sottoscritto, in modo un po’ forzato.

MORT CINDER
Testi: Héctor G. Oesterheld / Disegni: Alberto Breccia
In: La Serie Oro di Repubblica
Numero 59, 4 novembre 2005
Editoriali di Luca Raffaelli
Brossurato con alette, bianco & nero, 224 pagine

 

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