La mia conclamata idiosincrasia per i manga è già stata segnalata più volte in passato, all’interno di vari articoli delle mie rubriche. Proprio per questo, sono ancora più lieto di segnalarne uno che, invece, mi è piaciuto in modo particolare e che sfoglio spesso… anzi, per usare un verbo ancora più preciso, che contemplo spesso, abbandonandomi al piacere di gustare le tavole particolareggiatissime del grande mangaka giapponese Jiro Taniguchi e di seguire le peregrinazioni senza meta del suo uomo che cammina.
Una cittadina giapponese, senza nome, in un paesaggio indeterminato. Un uomo comunissimo che cammina, a volte insieme alla moglie, a volte con il suo cane, molto più spesso da solo. Un uomo non più giovane ma non ancora vecchio, un uomo che però non ha smesso di essere bambino e continua a sorprendersi delle piccole cose che scopre nel paesaggio circostante, invitandoci ad ammirare a nostra volta quello che incontra lungo il suo percorso.
Diciassette brevi storie, con testi ridotti al minimo, camminando al fianco di un uomo che riesce ad andare oltre lo sguardo veloce con cui invece noi guardiamo il mondo, senza più riuscire a osservarlo. Un manga minimalista scritto e disegnato da Jiro Taniguchi, pubblicato originariamente tra il 1990 e il 1991 e approdato in Italia per la prima volta nel 1999.
L’uomo che cammina è un uomo spensierato. Gli piace camminare con tranquillità. Non si preoccupa del tempo che passa. Possiede un corpo e uno spirito lievi. Perciò riesce a notare diverse cose. Persino in un paesaggio quotidiano, che nulla ha di particolare, trova motivo d’interesse e ne gode. Ogni tanto si ferma, si incanta, accarezza gli alberi, ci si arrampica, raccoglie dei ciottoli… Già, l’uomo che cammina è proprio un tipo strano. Eppure sicuramente quest’uomo ci riporterà alla mente dolci ricordi persi in qualche luogo lontano. Allora, arrestiamo un attimo le nostre corse affannose, e proviamo a camminare anche solo un poco. Però lentamente.
(Jiro Taniguchi)
Ci ho provato, eh: giuro che ci ho provato.
A farmi piacere i manga, intendo.
Ci ho provato a lungo, memore di quando – poco più che ragazzino – letteralmente sbavavo ascoltando i racconti del mio amico Butch Walts e degli altri compagni di scuola, che la sera prima avevano guardato Atlas Ufo Robot (“Lame rotanti!” “Alabarda spaziale!”)… In casa mia, la TV a quell’ora era vietata e riuscivo solo a vederne di straforo alcuni spezzoni, che alimentavano ulteriormente la mia curiosità per questo anime tratto – come venni a sapere dal solito amichetto più informato – dal manga di Go Nagai. Se il cartone animato era così avvincente, pensavo, il fumetto originario lo sarà ancora di più…
E invece, ancora per qualche anno, i manga non sarebbero sbarcati in Italia: e quando alla fine arrivarono, i primi che sfogliai – con tutto il loro apparato tradizionale: linee cinetiche, grandi occhioni, disegni deformed eccetera – non mi attrassero per niente, legato com’ero allo stile completamente diverso che trovavo nei fumetti Bonelli, nelle BD, nelle historietas… Per non parlare, poi, del fatto che alcuni di essi erano stampati “alla giapponese”, cioè con il senso di lettura da destra a sinistra: qualche tempo dopo, ho pensato che Moreno Burattini avesse proprio ragione quando affermò, in un’intervista che mi concesse per uBC, “ma se i lettori giapponesi leggono i loro fumetti nel modo naturale della loro lettura (da destra a sinistra) e dunque sono stati concepiti per la fruizione facile e istintiva, perché io devo fruirne a fatica e contro la mia natura?”
Certo non mi hanno aiutato i (pochi) manga acquistati a suo tempo per mia figlia, che mi avevano lasciato completamente indifferente. Ma nemmeno i consigli di lettura chiesti ai colleghi uBicciotti hanno avuto successo: ci ho provato con Erased, considerato un capolavoro dall’intera redazione mangofila, salvo arenarmi dopo poche pagine, letteralmente incapace di orientarmi con il senso di lettura ma anche poco attratto dai disegni… Né è andata meglio con il collaterale “didattico” I manga delle scienze, come ho ampiamente spiegato a suo tempo.
Insomma: una battaglia persa e un soggetto (il sottoscritto) irrecuperabile. Ma…
Ma c’è un’eccezione, un manga che ho scoperto assolutamente per caso e soltanto perché è apparso vent’anni fa nel primo, fondamentale collaterale antologico di Repubblica intitolato I classici del fumetto. Confesso che iniziai la mia lettura in modo completamente scettico, anche se parzialmente confortato dall’editoriale di Luca Raffaelli che (a beneficio del pubblico generalista che stava acquistando gli albi di quella collana) inquadrava in modo puntuale i fumetti giapponesi, evidenziandone gli stereotipi e spiegando che L’uomo che cammina NON poteva certo considerarsi un esempio tradizionale di manga…
È stato per questo suo carattere così atipico che L’uomo che cammina mi è piaciuto tantissimo? Per la presenza di un segno realistico (nessuna linea cinetica, pochissime onomatopee, tavole dettagliatissime) e, appunto, così lontano dalle caratteristiche in cui avevo sbattuto la faccia fino a quel momento? Oppure mi è piaciuto per la sua POESIA? Perché sì, le storie assolutamente minimaliste – in cui, praticamente, “non succede niente” – di questo comunissimo uomo che cammina sono pura poesia, sono un invito a rallentare i ritmi frenetici quotidiani e a lasciarsi andare alla contemplazione. Quando, cercando maggiori informazioni sul web, ho trovato la citazione dell’autore che ho riportato qui sopra, ho pensato: “Se dovessi descrivere questo fumetto, non riuscirei a trovare parole migliori”… e per questo non aggiungerò altro a questo mio articolo, in cui mi sono dilungato già fin troppo sull’onda dei ricordi.
L’uomo che cammina è una delle opere più conosciute del mangaka Jiro Taniguchi (1947-2017) ed è stato pubblicato originariamente tra il 1990 e il 1991 sui numeri speciali di Morning Party, della casa editrice Kodansha, sotto la supervisione dell’editor Tsutsumi Yasumitsu (cui si deve anche l’idea portante di questa serie di brevi storie). In Italia approda nel 1999 grazie a Planet Manga, dopo il grande successo riscosso da Taniguchi in Francia pochi anni prima grazie alla sua collaborazione con Moebius per il fantascientifico Icaro. La versione che consiglio fa parte del collaterale antologico intitolato I classici del fumetto di Repubblica, a cura di Luca Raffaelli. Ristampato in séguito anche da altre case editrici, L’uomo che cammina ha inoltre inaugurato un altro collaterale apparso nel 2019, intitolato semplicemente Jiro Taniguchi: 30 volumi pubblicati dai quotidiani del Gruppo RCS.
Buona lettura!
L’ARTE DI JIRO TANIGUCHI
L’uomo che cammina – Testi e disegni: Jiro Taniguchi
In: I classici del fumetto (Repubblica)
Numero 43*, 12 dicembre 2003
Editoriali di Luca Raffaelli
Brossurato con alette, bianco & nero, 240 pagine
*Questo volume contiene inoltre 8 episodi di un altro manga disegnato da Taniguchi, Gourmet, su testi di Masayuki Qusumi.
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