L’Eternauta:
la sensazione del capolavoro

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Una premessa fondamentale: questo articolo NON è legato in alcun modo all’uscita, il 30 aprile, della serie Netflix dedicata all’Eternauta (si veda anche il Post Scriptum), di cui non ho nemmeno – volutamente – guardato il trailer.

Ho in testa questo articolo da più di due anni (ne ho parlato per la prima volta qui), ma ne ho sempre rimandato la stesura definitiva perché mi sembrava di non riuscire a trasmettere appieno le sensazioni che ho provato quando ho scoperto questo fumetto, quasi cinquant’anni fa, né riuscivo a far capire cosa ha significato – per chi, come me, è nato a metà anni Sessanta – scoprire certi fumetti, certa musica, certa narrativa (di fantascienza o meno): e cioè leggere / ascoltare qualcosa di nuovo e avere immediatamente la sensazione di star leggendo / ascoltando un capolavoro SENZA che nessuno te l’avesse suggerito, o che tu avessi trovato informazioni in TV o su una rivista… per poi scoprire a posteriori che ciò che ti sembrava un capolavoro LO ERA DAVVERO, ma era stata solo la tua sensibilità a fartelo sembrare tale, NON informazioni o suggerimenti di altri.

Si tratta di una sensazione che ho sperimentato soltanto tre volte in vita mia, tutte durante l’adolescenza, in quanto all’inizio degli anni Ottanta – e con l’inizio del liceo – le occasioni in cui approcciarsi a una “novità” senza conoscerla affatto si ridussero praticamente a zero: c’era sempre un amico, un compagno di scuola, una recensione stampata o trasmessa, insomma un qualcosa che aveva attirato la mia attenzione e/o aveva già parzialmente orientato il mio giudizio. Quindi, quelle tre occasioni – in cui, ripeto, una “novità” mi è sembrata un capolavoro e ho scoperto solo dopo che molti altri la pensavano come me – mi sono rimaste impresse in modo fortissimo e indimenticabile. E quali sono state?

Iniziamo con la musica. Il mio complesso preferito è sempre stato i Pink Floyd, sin dalla metà degli anni Settanta: naturalmente, mi ero procurato appena possibile le musicassette contenenti The dark side of the moon e Wish you were here, due album che TUTTI consideravano capolavori – ed erano effettivamente tali. Avevo anche ascoltato – e apprezzato – la suite Atom heart mother ma quando, su una bancarella al mare, acquistai Meddle ero completamente all’oscuro del suo contenuto… Riconobbi immediatamente (anche se fino a quel momento non ne conoscevo il titolo) il brano che apriva l’album – cioè il cupo, ossessivo, trascinante bordone di basso di One of these days – ma gli altri brani mi scivolarono abbastanza addosso…
Poi girai la musicassetta ed ebbi la folgorazione: Echoes. L’ascoltai compulsivamente per giorni, senza capire una sola parola del testo (a scuola studiavo francese) ma lasciandomi trascinare da quei 23 minuti e passa di musica, affascinato in particolare dalle sezioni strumentali inserite intorno a quella centrale in cui venivano riprodotte quelle che sembravano strida di gabbiani… e diventò immediatamente la mia canzone preferita, anche se quando ne parlavo estasiato agli altri capivo che non la conoscevano affatto.
Soltanto in séguito scoprii che Echoes era stata, per quasi cinque anni, la punta di diamante dei Pink Floyd nei loro concerti dal vivo (incluso quello storico a Pompei, che avrei visto solo molti anni dopo) e che moltissimi appassionati la adoravano proprio come me, tanto che i Floyd la riproposero all’inizio della loro tournée nel 1987 e la scelsero come title track del loro doppio Best of del 2001.
Potrei parlare per ore di Echoes e della mia raccolta di bootleg con (quasi) tutte le sue esecuzioni dal vivo che ho raccolto negli anni… ma andrei troppo fuori tema, in un sito che si occupa di fumetti.

Veniamo ai libri di fantascienza. Già ai tempi delle scuole medie, seguendo i consigli di un professore illuminato, avevo scoperto il Good Doctor Isaac Asimov, in particolare i suoi libri su Fondazione, Impero e Robot (che, negli anni Ottanta, il geniale autore avrebbe poi “accomunato” in una sorta di storia del futuro in cui i tre cicli si legavano tra loro). Erano capolavori, senza ombra di dubbio, e quindi iniziai a cercare sulle bancarelle di libri usati altri suoi romanzi o antologie, rimanendo deluso ben poche volte.
Proprio mentre cercavo qualche Asimov mancante alla mia collezione mi capitò in mano uno snello Oscar Mondadori, intitolato Anni senza fine, scritto da tale Clifford D. Simak: un nome che non avevo mai sentito prima. La copertina recitava: “Il nascere di nuove civiltà alla conquista del pianeta Terra”. Fu quello che mi attrasse, oppure – semplicemente – il fatto che costasse poche centinaia di lire? Non lo so… però so che scoprii un vero e proprio capolavoro, ma NON di fantascienza: un capolavoro tout court, che da quell’occasione ho letto e riletto decine di volte, scoprendo in séguito che proprio il mio amato Good Doctor (nella sua biografia Io, Asimov) definiva Simak “una delle figure meno controverse nella fantascienza. Non ho mai sentito una parola fuori posto su di lui, ma solo approvazione ed elogio universali”.
Insomma, come per Echoes, questo era un altro capolavoro che avevo percepito immediatamente come tale… per poi scoprire che lo era davvero, a detta di molti lettori. E anche di Anni senza fine (anzi, di City, come da titolo originale) potrei parlare per ore, ma andrei anche in questo caso fuori tema – però se qualcuno fosse interessato ad un breve approfondimento su quest’opera, può cliccare qui.

E L’Eternauta? Beh, quello fu ancora più una folgorazione: perché Echoes è una canzone che, per quanto lunga, potevo ascoltare ripetutamente ogni volta che volevo; e anche Anni senza fine era un libro compiuto in sé e che potevo rileggere a volontà… L’Eternauta no: perché lo scoprii nella versione a puntate pubblicata su Lanciostory e, quindi, alla sensazione immediata del capolavoro si sommava la spasmodica attesa degli episodi successivi. Ma riavvolgiamo un attimo il nastro della memoria e torniamo a questo articolo in cui ho parlato per la prima volta, ormai quattro anni fa, della mia passione per questo fumetto.

Era la mattina di sabato 9 luglio 1977 e mio fratello era tornato a casa da Roma, durante la notte precedente, sfruttando una licenza: infatti era sotto le armi e, di conseguenza, la mia fonte principale di approvvigionamento per i fumetti era temporaneamente a secco (riservavo la mia scarsa paghetta ai mensili, in primis Mister No e Zagor). Tra le cose che aveva portato dalla caserma c’era anche l’ultimo Lanciostory uscito in edicola, il numero 27 della III annata: su una tradizionale copertina western sbucava un timido strillone… “IL 1° EPISODIO DELL’ETERNAUTA”.

Come ho raccontato più volte nella mia rubrica Anni ’70, in quel decennio leggevo tutto quello che mi capitava a tiro, alternando fumetti di tutti i tipi: i soli acquisti regolari erano Mister No (la mia prima collezione “completa”) e gli Zagor della Golden Age, visto che mio fratello era appunto partito militare. Lanciostory, invece, l’avevo lasciato momentaneamente perdere in quanto, essendo settimanale, era fuori dalla mia “disponibilità economica”: ma la lettura di quel primo, travolgente – e sconvolgente – episodio rivoluzionò completamente le mie priorità, dirottando per mesi la mia paghetta verso un unico obiettivo e facendomi recare ogni lunedì in edicola. Con l’Eternauta, il concetto di “non vedo l’ora di scoprire come prosegue questa storia” (già sperimentato per alcuni, bellissimi albi bonelliani) veniva completamente rivoluzionato e portato a livelli fino a quel momento mai provati: perché non sapevo quanto sarebbe durato e, inoltre, ogni settimana i colpi di scena e l’evoluzione della trama erano assolutamente imprevedibili, a differenza delle avventure di Tex o di Zagor che, come ormai avevo imparato, sarebbero comunque finite “bene” in capo a 3-4 numeri al massimo.

E qui torno alle considerazioni che facevo all’inizio: sì, anche in questo caso ebbi subito la sensazione del capolavoro SENZA avere alcuna informazione che mi guidasse in qualche modo e mi segnalasse che ero di fronte a una pietra miliare del fumetto mondiale. A dire il vero, pensai che forse questo fumetto era stato presentato in modo adeguato nei numeri precedenti che io, semplicemente, non avevo letto… e invece, quando recuperai il numero 26 di quell’annata, scoprii che le presentazioni erano semplicemente state (!), nell’ordine:
– un’indicazione nella Posta del Direttore, secondo cui (parole testuali) “…noi di Lanciostory stiamo dedicando tutte le nostre forze per preparare “L’Eternauta” cioè “Il vagabondo dell’infinito”, il fumetto che verrà pubblicato tutte le settimane (un fumetto in più, omaggio della ditta!) a partire dal numero 27, in edicola il prossimo lunedì”;
– una doppia pagina di grande impatto ma volutamente “misteriosa”, in cui parole e immagini mostravano una nevicata – apparentemente mortale – su Buenos Aires;
– una breve anticipazione in quarta di copertina, facente anch’essa riferimento alla nevicata che costituiva “l’inizio di una dramma allucinante… e l’inizio di un fumetto che ha conquistato l’America”.

TUTTO QUI. Nessun accenno al fatto che questo fumetto risaliva addirittura a una ventina di anni prima (e quindi era ancora più “fantascientifico” di quanto sembrava), oppure al fatto che ne esisteva un’altra versione disegnata da Alberto Breccia e pubblicata anni prima su Linus… né si accennava al fatto che questa versione era un adattamento al “formato Lanciostory” dell’originale (realizzato a strisce) e nemmeno veniva indicato da quante puntate sarebbe stato composto… ma soprattutto, ripeto, MAI quella prima parte dell’Eternauta veniva presentata come meritava, fatta salva la generica allusione al “fumetto che ha conquistato l’America”.
Ricordo vagamente qualche informazione ulteriore nella Posta dei numeri successivi, diversamente dal lancio (nel 1983) dell’inserto dedicato all’Eternauta e pubblicato su Skorpio, dove i toni nei confronti di questo fumetto erano giustamente – e finalmente – osannanti e veniva sottolineato che migliaia di lettori avevano richiesto a gran voce quella ristampa.

Insomma, NIENTE (in quel sabato mattina del 1977) poteva farmi presagire che milioni di appassionati, in tutto il mondo, già conoscessero e apprezzassero questo fumetto, considerandolo un capolavoro – come in effetti era e come immediatamente mi sembrò: e non mi sbagliai.
Quasi cinquant’anni dopo, la prima parte dell’Eternauta resta il mio fumetto preferito di sempre.

PS: l’articolo che avete appena letto, frutto di decine di rifacimenti nel corso degli ultimi due anni, rende a malapena le sensazioni che ho provato di fronte a questi tre capolavori della musica, della narrativa e del fumetto. Forse avrei continuato a rimaneggiarlo per chissà quanto tempo, se alcuni redattori di uBC non mi avessero fatto notare che l’uscita della serie TV su Netflix rischiava di cambiare la prospettiva sull’Eternauta aggiungendo altre chiavi di lettura – o facendo sembrare il mio articolo un frutto dell’hype generato da tale serie – e consigliandomi quindi di finalizzarlo e pubblicarlo prima del 30 aprile.

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Marco Gremignai

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