Giovanni Eccher confeziona una storia prevedibile, superficiale e quasi scolastica nella sua costruzione – soprattutto nella prima parte – nonché banale nella caratterizzazione dei personaggi secondari, che rimangono piatti e intercambiabili mentre vagano, insieme a Dylan Dog, in un plot abusato e, come detto, scontato nel suo dipanarsi.
Eppure…
Eppure, nonostante un inizio incerto, qualche caduta stilistica e tutti i difetti di cui sopra (oltre ad una latente e talvolta stucchevole retorica), pian piano la storia si infila su binari dylaniati, riuscendo a coniugare horror, profondi dolori umani ed empatia. Viene a configurarsi così una sorta di vademecum di quel filone dylaniato che Barbara Baraldi ha predicato di riportare sulla testata sin dal suo insediamento. La storia diventa così quasi simbolo e summa di una restaurazione dello sguardo dylaniato sul dolore del nostro tempo. Un modo coerente ed efficace di guardare l’orrore come riflesso della deriva emotiva e sociale contemporanea.
Retorico quindi? Sì.
Banale e già visto? Sì.
Prevedibile? Sì.
Quindi un albo da dimenticare?
E invece no.
Perché nelle ultime dieci pagine Eccher, con l’ottimo lavoro di Luigi Siniscalchi – che sporca e deforma le sue figure con spigoli e chine nervose e si diverte con l’horror con piacevole forza – fa tutto quello che deve fare per attivare Dylan Dog e renderlo potente.
Più potente di quanto auspicato, viste le premesse di cui sopra.
Nel rapido finale – da pag. 86 a pag. 94 – la storia si sposta ad esplorare il senso di giustizia. Qui l’autore apre al culmine, amplificando e portando ai massimi livelli la retorica già fondante della prima parte. Nelle successive tre pagine – da 95 a 97 – il climax raggiunge la sua vetta, spiazzando il lettore: tre pagine certo prevedibili, ma anche intense, quasi liriche, innegabilmente ben sceneggiate e ottimamente disegnate, con Siniscalchi che carica gli sguardi dei personaggi di una luce nuova, ritrovata, come se in queste ultime pagine l’artista avesse finalmente intercettato il senso del racconto e, con esso, il gusto stesso del disegno.
Subito dopo, a pag. 98, l’inevitabile e forse necessario momento fortemente emotivo. È così che Eccher va ad esplorare davvero l’orrore.
In questo finale, Eccher con la scrittura e Siniscalchi con i disegni mostrano l’empatia, il pentimento, la violenza, la disperazione, la speranza e la rassegnazione. Il dolore.
Lo fanno in poche pagine.
Sono sufficienti a rivalutare un intero albo?
Un albo retorico, banale e prevedibile.
Eppure…
