È, sin dagli inizi, una delle critiche più ricorrenti sollevate da pubblico e critica alla serie. E, in effetti, Julia – la testata ideata da Giancarlo Berardi e dedicata alle avventure della criminologa con il viso di Audrey Hepburn – si presenta, a partire dal numero 1 datato ottobre 1998, come l’equivalente su carta dei serial televisivi made in USA. Ambientazione fissa, cast di comprimari ridotto all’osso e (quasi) sempre presente in ogni episodio, dinamiche relazionali tra i personaggi ridotte a siparietti ben noti agli spettatori, tematiche narrative che si ripetono fino a diventare dei tormentoni. Tutto calcolato alla perfezione per far sentire il lettore a casa non appena apre l’albo, qualunque esso sia. Non è la cifra sulla costina del volumetto che conta, soltanto l’immutabilità della protagonista e del suo mondo.
Per i fans berardiani della prima ora, quelli che hanno adorato l’evoluzione ininterrotta del suo eroe precedente, il trapper Ken Parker (debutto in edicola nel 1977, ultima apparizione nel 2015) è stato un cambio di rotta troppo repentino per non essere visto come un tradimento da parte dell’autore al suo modo di intendere il medium fumetto e al suo séguito. Certo, per chi ha amato il Berardi passionale e iconoclasta alla regia delle storie del biondo scout giramondo non deve essere stato facile accettare che, poi, la stessa persona abbia deciso di stanziarsi permanentemente a Garden City con la sua nuova creatura e adagiarsi nella consueta routine del caso del mese. Sempre uguale a quello di trenta giorni prima, salvo minime variazioni.
Il menu offerto dallo chef Berardi ai suoi affezionati avventori è il seguente: incipit con presentazione dell’antagonista di turno e sprazzi delle sue motivazioni; scoperta del delitto e coinvolgimento di Julia nelle indagini da parte del Tenente Webb e del Sergente Irving; scambio di battute con la vulcanica governante Emily; eventuale richiesta di aiuto all’amico di sempre, lo scanzonato detective privato Leo Baxter, con inclusi mugugni di gelosia da parte del burbero Webb; eventuale ricorso alle doti da hacker del nipote di Emily, il rapper informatico Luther, se c’è da scandagliare la Rete; eventuale richiesta di informazioni al boss di colore, Bill “Bear” Drummond, se il reato è avvenuto nella sua zona; eventuale affiancamento della sorella Norma, ex modella adesso fotografa, se il caso riguarda il suo ambiente; sviluppo dell’inchiesta con tanto di confidenze a mezzo web con il fidanzato, il poliziotto genovese Ettore, gli incubi psicanalitici della protagonista e l’approfondimento della personalità dell’avversario; conclusione con smascheramento e arresto del colpevole, dopo aver sviato il lettore con false piste.
Una griglia narrativa ben strutturata, quindi, e facilmente decodificabile dal lettore abituale, a suo agio nel ritrovare sentieri ben noti nella lettura dell’albo e nel rivaleggiare in intuito con l’autore per la risoluzione del caso prima della rivelazione finale nelle ultime pagine. È il classico patto implicito tra le parti che si instaura in letteratura, specie quella che riguarda l’indagine su un delitto. Lo sceneggiatore Berardi gioca e distribuisce le carte dal mazzo: i lettori le prendono e cercano di giocarsele al meglio, confidando che la riconosciuta abilità dello scrittore gli consenta di farsi la sua partita senza ricorrere a trucchi da baro. Al massimo gli è consentito di cambiare un po’ le carte in tavola, vediamo se riesce a vincere la sfida con il pubblico anche se si muove un po’ al di fuori della sua comfort zone.
È il caso di questo L’isola del faro, numero datato marzo 2025, con Berardi autore del soggetto e della sceneggiatura in coppia con Lorenzo Calza per i disegni di Claudio Piccoli. Nuova location: niente Garden City, si parte per Temple Island, uno sperduto scoglio al largo del New England, sede di un carcere ormai abbandonato da tempo, di un convento e di un vecchio faro in disuso. Nuovo scenario: stavolta non ci sono omicidi e cacce ai criminali, soltanto un reportage fotografico sulle bellezze naturali dell’isola commissionato a Norma da una nota rivista. Nuova formazione: per l’occasione il coach Berardi manda in campo un trio inedito, con Julia che accompagna la sorella in qualità di assistente per il servizio assieme alla domestica Emily. Una vacanza rigenerante per sole donne, senza uomini tra i piedi, in perfetto stile Thelma e Louise, il film di maggior notorietà sul tema, anche citato esplicitamente nell’albo.
Si tratta chiaramente di un esperimento: l’autore spedisce il suo personaggio in trasferta, in un luogo sconosciuto, per testarne l’efficacia anche quando si muove in un ambiente molto diverso da quello usuale.
Allo stesso tempo gli affianca due spalle già note ai lettori ma utilizzate in un ruolo differente, per sondarne caratteristiche inedite e potenzialmente interessanti. La simpatica Emily è, da sempre, una colonna della serie per humour straripante e irrefrenabile verve comica ma, per questo, condannata ad essere soltanto una colf materna e brontolona. È stuzzicante vederla all’opera lontana dalla cucina della casa di Julia. Allo stesso modo Norma, finora molto poco rilevante nell’economia globale della collana, avrà la possibilità di emanciparsi dall’eterno stereotipo della sorella minore scapestrata da proteggere da qualsiasi minaccia, uomini compresi, e dimostrare che ha una sua ragion d’essere e può vivere di vita propria.
Tutto questo almeno nelle intenzioni dell’autore, ma i risultati portano a conclusioni ben distanti dai propositi iniziali. Intanto la suggestiva ambientazione dell’isola non risulta cosi determinante per edificare l’architettura narrativa del plot: l’ambiente circostante non viene mai percepito dai protagonisti come una minaccia ulteriore ma, almeno per come viene descritto, risulta lontano, distante, in definitiva anonimo. Esattamente come gli antagonisti che, per quanto raffigurati minuziosamente in perfetto stile berardiano, non bucano mai la pagina e non si distaccano mai dall’immagine scialba che si ha di loro, una fin troppo ordinaria e raccogliticcia banda di rapinatori semi improvvisati. Tutto tranne degli antagonisti di spessore, insomma.
Ma non sono loro la delusione maggiore della storia. A fallire in maniera netta è proprio l’esperimento più audace tentato da Berardi, il tentativo di presentare sotto una luce nuova le due coprotagoniste della vicenda, Norma ed Emily. La prima non va al di là del suo solito compitino da bella ragazza in pericolo, vittima delle indesiderate attenzioni dei componenti della gang e spesso in preda ad attacchi di fastidiosa isteria. La grintosa domestica, invece, ci prova a farsi valere, anche a furia di padellate in testa agli avversari.
Ma tutto quello che ci ricava è un’ingloriosa fuga verso un dirupo, per poi precipitare nel mare in tempesta ed essere sbrigativamente data come defunta per la disperazione delle due sorelle Kendall, ormai sole contro tutti.
A questo punto a Berardi non resta che una sola carta da giocare, l’unica che gli è rimasta. Forse è voluto, forse è lo sviluppo della storia che gli ha preso la mano ma la totale inadeguatezza di Norma ed Emily ad affrontare incisivamente la situazione lo costringe a puntare tutto su Julia. Esattamente come un allenatore che, trovandosi con le spalle al muro, intima ai suoi di giocarsi il tutto per tutto e affidare la palla al giocatore di maggior talento e carisma, nella speranza che si inventi dal nulla il prodigio che risolve la partita e ribalta completamente lo scenario.
Da questo punto di vista l’intrepida criminologa non delude per nulla, anzi. In mancanza della forza d’urto garantita dall’atletico Leo Baxter e del robusto sostegno logistico del duo Webb – Irving, tira fuori tutto il suo acume e la sua forza d’animo. Oltre che il suo fenomenale cervello: riordina le idee, conforta l’affranta sorella, soppesa le risorse a disposizione, architetta il piano di rivincita. E decide di cominciare nel modo più razionale possibile, riducendo il preponderante numero degli avversari.
È scaltra, insinuante, manipolatrice. Con astuzia machiavellica instilla il germe del dubbio nei componenti della banda. Li ha studiati, sa già che sono legati solo da un interesse momentaneo, basta poco per mandare a gambe all’aria una posticcia comunione di intenti. Qualche frase piazzata al momento giusto, con la persona giusta ed ecco che dal piano di sopra rimbomba l’eco delle pistolettate. Sarà sufficiente, poi, sopraffare i malconci sopravvissuti con l’ausilio del più imprevedibile (e starnazzante) degli alleati.
C’è persino tempo e modo di far resuscitare Emily e di farla partecipare all’operazione di riscossa a modo suo. Il suo auto salvataggio è molto inverosimile (una donna di una certa età precipita nel mare in tempesta e riesce a tornare a riva incolume) anche se Berardi si affanna a giustificarlo, inventandosi su due piedi un suo passato da tuffatrice. In ogni caso il suo recupero è finalizzato solo per farla tornare stabilmente alle sue ordinarie mansioni nella serie, ovvero il contrario degli obiettivi che si prefiggeva questa storia. Stesso, identico discorso per Norma che, anzi, non ha fatto una gran figura in questa vicenda e ne esce parecchio sminuita.
Dispiace per il futuro della testata, che – in caso di esito felice della sperimentazione – poteva far conto su nuovi elementi in grado di darle ulteriore linfa. Dispiace per il lettore che sperava in qualche cosa di diverso e si ritrova messo di fronte a dei limiti prefissati dalla rigida cristallizzazione dei ruoli imposta dall’autore. Dispiace per Berardi stesso che, dopo aver provato coraggiosamente ad uscire dalla gabbia narrativa da lui stesso approntata, si ritrova con una storia che dimostra implacabilmente che cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia.
Julia n.318 “L’isola del faro”
di Giancarlo Berardi, Lorenzo Calza e Claudio Piccoli
Copertina: Cristiano Spadoni
116 pagine, € 6,00
Sergio Bonelli Editore, marzo 2025
