Tra i nodi rimasti aperti nella vicenda (non) iniziale, quello relativo ai quattro esploratori del Fantastick e al sovrano della Latveria presentava ben più di uno spunto da cogliere.
Reed Richards e compagnia, trascesa inevitabilmente la natura umana a seguito di un evento preternaturale, sono tornati in Anglaterra acconsentendo con Re Giorgio di non intraprendere più avventure come quella appena trascorsa. Li vediamo quindi calzare ruoli (relativamente) diversi, con Johnny Storm/la Torcia e Ben Grimm/la Cosa intenti a calcare le scene nella compagnia nientemeno che di un certo Shakespeare, mentre il plastico Reed riprende il suo character à là Isaac Newton ante litteram, ossia di filosofo naturale (anch’essa, espressione che precede quella più comune di “uomo di scienza”) ossessionato dal pensiero di razionalizzare qualunque evento gli capiti sotto gli occhi – inscenando così continui siparietti con la sua compagna (e madre della sua futura progenie) Susan, in stato di perenne invisibilità.
La situazione precipita per mano, ancora una volta, di Otto Von Doom, che stavolta si accompagna alla versione seicentesca dei Terribili Quattro, ossessionato anch’egli dal potere della conoscenza – o meglio, dal potere e basta – ma soprattutto in cerca di una soluzione alla sua condizione di sfigurato, guadagnata in quel del Nuovo Mondo.
Una gita oltre i confini del mondo, con tanto di Leviatano/Behemoth a guardia del confine delle acque, porterà tutti nel Regno di Numenor dai sandali alati e dal tridente di Nettuno, dove una serie di eventi condurrà alla distruzione della millenaria civiltà sottomarina, ma soprattutto al cospetto dello sguardo dell’Osservatore.
Come già detto, al di là della passerella delle diverse variant di più o meno noti personaggi Marvel, la storia ha il chiaro intento di fornire un bignami delle loro caratterizzazioni e conseguenti dinamiche di interazione: di conseguenza, il fatto che l’ambientazione sia antica o contemporanea perde abbastanza presto di importanza, impauperendo così lo spessore dell’intera vicenda. Nulla da obiettare circa le capacità di Peter David (tra l’altro, da poco scomparso) in quanto autore pluriennale al soldo della Casa delle Idee, ma ancora più di prima si avverte – e non avrebbe potuto essere altrimenti – la progressiva sfaldatura del peculiare intento narrativo alla base dell’opera scritta dal papà di Sandman. Un elegante esercizio di scrittura, quindi, capace sicuramente di fornire un efficace recap di personaggi e ambientazioni, ma invero non molto più di questo.
Per altri versi, il lavoro svolto da Pascal Alixe (con il supporto di Khoi Pham) ai disegni riesce a donare quell’aura vintage che fa tanto XVII secolo, ma il valore aggiunto ad un esercizio di stile perde anch’esso di nerbo e significato, a lungo andare.
La storia dei quattro del Fantastick non ha avuto ulteriori ripercussioni, e forse era già stata pensata fin dall’inizio per giungere ad un punto fermo – a discapito dell’altra linea narrativa ambientata, almeno finora, al di là dell’Oceano Mare. Rimane in ogni caso una lettura piacevole, capace di restituire in breve una sapiente panoramica su una parte importante della pur vasta scuderia Marvel.
