Con sorprendente (!) scelta di tempo ci si ritrova a parlare a queste coordinate di una saga particolarmente significativa nella storia (più o meno) recente di Superman, vale a dire quel “Superman: President Lex” che ha tenuto banco tra il 2000 e il 2001 sull’onda della sfida per la Casa Bianca tra Al Gore (n.2 di Bill Clinton nelle due amministrazioni precedenti) e George W. Bush (“figlio d’arte” di George H. W. Bush, che aveva preceduto lo stesso Clinton), per poi venire raccolta in volume una prima volta nel 2003.
La ricerca di un allineamento quanto più dappresso con la realtà è stato storicamente un pallino più per la Casa delle Idee che per la Distinta Concorrenza – un caso su tutti, il celeberrimo albo di Spider-Man intitolato 11 Settembre 2001, caratterizzato da una cover all–black, e del quale nell’ultima ventina d’anni si è, giustamente, parlato ovunque e anche di più.
In entrambi i casi, però, sin dall’altrettanto celebre Crisi sulle terre infinite, la politica editoriale di entrambe le case editrici ha puntato in maniera crescente sull’orchestrazione di macro-eventi di ampio respiro, o cross-over, sviluppati su più testate e caratterizzati da un plot principale cui si collegano molteplici tie–in che hanno lo scopo di esplorare ramificazioni e conseguenze più specifiche, relative a questo o a quell’altro personaggio. Anche qui sarebbe abbastanza difficile stilare una lista anche solo rappresentativa dei principali tra di essi; purtuttavia, parlando dell’alieno più americano della storia a fumetti (e tralasciando i contributi fuori scala di Alan Moore), non si può non citare l’epocale evento centrato sulla Morte di Superman, che nel 1992 sconvolse tutti i canoni possibili e immaginabili, travalicando i confini di genere per diventare una notizia da prima pagina in buona parte dell’orbe terracqueo. Masters of puppets di quell’epopea furono i membri di un team creativo di altissimo livello che, al di là di Dan Jurgens che firmò l’albo principale, annoverava nomi del calibro di Roger Stern, Jerry Ordway e Louise Simonson.
Per quanto appunto epocale, anche una tale spinta creativa era destinata, in mancanza di un ricambio di nomi e di idee, a esaurire la propria inerzia, cosa che accadde neanche una decina di anni dopo. L’allora editor DC Eddie Barganza fece quindi entrare a bordo due personaggi che rispondono ai nomi di Jeph Loeb (già globalmente noto per titoli quali Batman: The Long Halloween) e Ed McGuinness (venuto in quegli anni alla ribalta specialmente per il suo contributo alla breve run su Mr. Majestic della Wildstorm).
Come è risaputo, un grosso elemento di difficoltà nelle storie di Superman è costituito dal fatto stesso di avere a che fare con una creatura dai poteri incommensurabili: la cifra distintiva di un buon plot deve quindi necessariamente girare attorno a qualcosa che ne intacchi in qualche modo il potenziale. Non va però abusata al contempo la “scorciatoia” kryptonite per evitare quell’effetto di ripetitività che, se pure nella cosiddetta Golden Age fungeva da deus-ex-machina una volta sì e l’altra pure, con il passare del tempo – e con il mutare della percezione di Superman e del suo universo narrativo da parte delle nuove generazioni di lettori – non era più riproponibile sic et simpliciter. È in questa dinamica che si inserisce una riconfigurazione non solo dell’azzurrone, ma anche e soprattutto dei suoi numerosi villains, primo tra tutti Lex Luthor.
Lo sanno anche i sassi che la caratura di un eroe si misura innanzitutto sulla base dello spessore del suo avversario, ragion per cui Luthor ha subìto nel tempo un processo di “tridimensionalizzazione” (ci si passi il temine) sempre più raffinato, e alcuni dei suoi climax sono giunti proprio sotto l’egida del citato duo Loeb/McGuinness: se infatti Loeb aveva già saputo rimodellare in maniera efficace e convincente le origini e il percorso di maturazione che porta da Kal-El a Clark, è la collaborazione con il suo sodale che alza definitivamente l’asticella della spettacolarità, oltre alla sapiente reintroduzione di elementi classici che avevano caratterizzato la Silver Age non solo di Superman, ma dell’intero parco editoriale della DC. L’apice di questa ascesa è quindi il presente ciclo di storie che, anticipando al pari di altri in maniera lungimirante molte delle dinamiche politiche moderne, portò Lex addirittura a diventare il nuovo POTUS.
Attorno a Loeb e McGuinness, il roster di nomi coinvolti è ancora una volta di primissimo livello: ai testi troviamo, tra gli altri, gente del calibro di John Marc DeMatteis (con ogni probabilità conosciuto in tutti i luoghi e in tutti i laghi per questa storia del Tessiragnatele) o Greg Rucka (per il quale vale come minimo la pena menzionare il suo contributo a Checkmate); il comparto grafico annovera invece nomi quali Mike Wieringo, Joe Madureira, e addirittura il “transfuga” Rob Liefeld.
Da un punto di vista squisitamente tecnico parliamo sì di un cross-over – dato che le testate DC collegate a Superman e coinvolte nell’operazione sono più di una – ma quello che manca è il citato plot principale leggibile anche a sé stante; la raccolta in volume (curata per l’Italia in prima battuta da Planeta DeAgostini nel 2008) compie quindi uno sforzo filologico enorme che, sebbene non completo causa l’eterogeneità della materia prima, rimane comunque apprezzabile con relativa facilità anche da parte del lettore casuale.
La questione è infatti sempre quella: a partire formalmente da quel 1986, la pressante continuity è implosa su se stessa più volte nel corso degli anni, proprio per l’incapacità ad ogni tot da parte degli autori di sbrogliare la matassa di trame da loro stessi pazientemente incasinata. L’atto stesso di stampare e ristampare una run come questa, in formato anche di pregio, comporta quindi di avere solo in un numero limitato di casi delle storie che siano perfettamente concluse, e di conseguenza fruibili in maniera ottimale; in tutti gli altri casi il lettore casuale di cui sopra dovrà sempre fare i conti con il fatto che non capirà da dove originano molte cose, e di molte altre non saprà se e dove continuano. Con riferimento poi al caso in questione, il fattore difficoltà di lettura aumentò a suo tempo anche per il lettore abituale, chiamato ad inseguire la vicenda ancor di più per vichi e vicarielli tra le molteplici testate collegate (direttamente o indirettamente) al Kryptoniano. Un ringraziamento va quindi ai curatori della ristampa in volume per aver fornito una piccola galleria introduttiva dei personaggi principali, così da fornire un set minimo di informazioni di riferimento.
Entrando nello specifico della questione, dopo i due tasselli introduttivi – il primo dei quali elegantemente orchestrato da Rucka senza quasi far ricorso ai balloons, ma capace nonostante tutto di rendere in maniera perfetta l’idiosincrasia di Luthor nei confronti dell’onnipresente Superman – il corpo centrale della vicenda ruota attorno alla trilogia, opera della citata coppia di showrunner, nella quale il tratto di McGuinness, a metà strada tra il bombastic e il manga – e dove i mascelloni si sprecano – è al servizio di una delicata questione geopolitica che vede il nostro affrontare un complotto di Luthor che coinvolge Atlantide e Aquaman. Il plot twist sul finale vede Luthor vittima di un attentato che, ironia della sorte, gli spiana la strada verso la Casa Bianca (chi ha detto Pennsylvania?). A seguire, la narrazione principale sfocia in un delta di vicende tra il simultaneo e il consecutivo che vedono alternarsi Jimmy Olsen, Lana Lang, Bizarro, Supergirl, la tecnologia B13, Batman e tanto altro ancora, convolando verso una sorta di necessaria conclusione che si fa coincidere con la presentazione della squadra di governo del Presidente Luthor. Ovviamente, come già detto vengono qui e là disseminati i semi di eventi successivi, i quali nello specifico troveranno uno sviluppo compiuto nella successiva serie Superman/Batman, sempre a firma di Loeb.
Rimane infine degno di nota l’arco narrativo interno alla run, che vede Superman portare un dono per Natale a tutti gli altri membri della JLA: per ciascuno di essi Loeb riesce – nell’arco di poche pagine – a tratteggiare un affresco puntuale, che testimonia della molteplicità di caratteri dei quali il supergruppo si compone, e che forse proprio per questo rimane, nonostante tutto, intimamente coeso. È la tanto decantata unità nella diversità – e l’ultima vignetta dell’incontro con Wonder Woman lascia (volutamente?) una buona dose di qualcosa di cui sparlare.
Più di ogni altra cosa, però, rimane da più parti evidenziato il senso di frustrazione di Superman, dilaniato tra la sua avversione verso Lex – e Lana non manca di ricordargli la cronica impossibilità di smascherare apertamente le malefatte di quest’ultimo – e la sua incrollabile devozione nei confronti del sistema di governo statunitense, chiunque vi sia a capo: è questa nel caso in questione la “spina nel fianco” che ha lo scopo in qualche modo di indebolire l’Uomo d’Acciaio, se non sul piano dei poteri, quantomeno su quello delle possibilità d’azione. Sul versante opposto, ma in qualche modo speculare, si pone invece la figura del Pipistrello che, costringendosi al netto di tutto a giocare secondo le regole, pur non nascondendo il suo livore verso Lex nulla può nei confronti dei poteri costituzionali di cui il Presidente degli Stati Uniti è investito “per volontà del popolo americano”.
La saga “Superman: President Lex” ha avuto all’epoca un impatto enorme, proprio per l’idea di fondo che andava a chiamare in causa direttamente un’idea che, ai più, ancora poteva apparire off–limits. Se però, come si dice, “sky is the limit”, in ogni caso il plauso va alla squadra di artisti che hanno imbastito un evento che, proprio per la sua portata, richiedeva elevata perizia per essere gestito al meglio: questo non è accaduto, e proprio in virtù del mancato rispetto della classica struttura di un cross-over l’alternanza tra momenti di grande intensità ed episodi meno incisivi si nota chiaramente. Rimane in ogni caso lo sdoganamento di un tabù, che ha dato di conseguenza la stura ad opere dalle finalità similari anche dalla parte opposta della strada, e che quindi, pur con tutti i suoi difetti, merita un posto d’onore nella storia editoriale dell’Uomo d’Acciaio.
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