Dylan Dog n.470 “Una forma reversibile di morte”

La recensione del Dylan Dog di Barbara Baraldi e Nicola Mari

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6/10

Barbara Baraldi firma un episodio di Dylan Dog che, pur partendo da suggestioni fortemente derivative, riesce a trovare un equilibrio raro nel suo percorso dylaniato. Una forma reversibile di morte si muove tra la fantascienza e l’horror più psicologico, costruendo un racconto di percezioni alterate, esperimenti estremi e vite sospese. Le influenze sono dichiarate con l’idea di base ripresa quasi pedissequamente dai “semivivi” di Ubik di Philip K. Dick fusi con gli echi cronenberghiani — soprattutto quelli di Scanners con le teste che esplodono — che attraversano l’albo come canovaccio fortemente riconoscibile. Ma nonostante le citazioni, la scrittura di Barbara Baraldi riesce a non farsi eccessivamente derivativa, trovando nella parte finale un’intensità personale che la distingue ed eleva il racconto ad un qualcosa di più personale.

Questo è probabilmente il suo miglior lavoro su Dylan Dog degli ultimi anni. Non solo per il tema — che si presta naturalmente alla sua sensibilità — ma per la maturità con cui sceglie di rinunciare alla consueta struttura “a spot”, fatta di episodi e suggestioni slegate, per cercare invece una vera unità narrativa più concreta. La storia si sviluppa quindi in modo lineare, accompagnando il lettore in una progressione coerente e riconoscibile. La soluzione paga: il racconto è più centrato, più chiaro nelle intenzioni e nei passaggi emotivi.

Non mancano, certo, le scorciatoie, con alcune accelerazioni troppo comode, passaggi spiegati in modo frettoloso e soprattutto un senso di “superficialità” nella prima metà dell’albo che penalizza il ritmo e fa storcere il naso. Ma quando la storia trova il suo baricentro — e Dylan comprende di trovarsi dentro una trappola mentale più che investigativa — l’atmosfera si fa densa, quasi intima, e la sceneggiatura comincia a respirare davvero.

Nicola Mari, come spesso accade, è nel suo elemento. La sua linea cupa restituisce un mondo intenso attraversato da un senso costante di inquietudine. È perfettamente a suo agio nelle contaminazioni horror-fantascientifiche e accompagna la sceneggiatura senza sbavature né eccessi, con una regia precisa e un ritmo che tiene bene il mood del racconto. Non il suo lavoro più ispirato, ma sicuramente funzionale al racconto.

Dimenticabile invece Groucho, piatta la cliente di turno e, ancora una volta, gratuita la scena di sesso, che esplode dal nulla e senza chimica, più per dovere di copione. Bella ma distante la copertina, più interessata a citare A New Kind of Love che il cuore tematico della storia. 

VOTO
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Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

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