“Snow Angels” di Lemire & Jock

Un racconto di sopravvivenza dove il viaggio rompe il silenzio del ghiaccio

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7.5/10

Il plot di Snow Angels parte da basi fin troppo familiari, ma Jeff Lemire trova comunque un modo per farlo respirare, per farlo suo. Milli e Mae vivono con il padre in un mondo di ghiaccio, dentro una lunga e misteriosa trincea scavata nella neve. Tutto ciò che sanno della vita si riassume in tre regole scolpite come un dogma: La Trincea provvede. Non bisogna mai lasciare la Trincea. La Trincea non finisce mai. Quando queste regole si rivelano menzogne e il padre si sacrifica per proteggerle, le due sorelle – rimaste sole – scoprono che il mondo che conoscevano è solo una costruzione, e che oltre il solco gelato si estende una verità diversa, più grande e più terribile di quanto avessero mai immaginato.

Lemire costruisce un racconto che pur partendo, come anticipato, da un canovaccio arcinoto, riesce a rendere personale e coinvolgente la propria voce. La dinamica formativa alla base della storia richiama inevitabilmente Sweet Tooth (anche lì un bambino esce dal microcosmo protetto scoprendo un mondo più vasto, complesso e spietato di quanto gli fosse stato raccontato), ma anche una numerosa serie di racconti e opere, da City of Ember ad Attack on Titan, fino a Snowpiercer e The Road, passando per Horizon Zero Dawn e Hiero’s Journey, in quanto il topos è molto più antico e, soprattutto, diffusissimo. Il motivo è chiaro: il viaggio oltre il villaggio è una potente metafora di emancipazione.

Quel piccolo mondo — la famiglia, la comunità, la tradizione — dà sicurezza, ma anche limiti: è una gabbia di regole che protegge e inganna. Uscirne significa rompere il guscio dell’infanzia e affrontare l’ignoto, passare dall’obbedienza alla responsabilità, come nei percorsi mitici descritti da Campbell o Eliade.

In Snow Angels questa metafora prende forma in modo quasi archetipico. Il sacrificio del padre segna la fine della protezione e l’inizio della solitudine; ogni passo oltre la Trincea è un passo nella consapevolezza. Eppure, in un hortus conclusus di regole che si rivelano bugie, la figura paterna — e, con essa, quella familiare — resta presenza costante. Pur custode di segreti, il padre diventa la forza interiore che muove le protagoniste: tra le molte verità infrante, gli insegnamenti ricevuti restano la loro unica bussola. È proprio il ricordo delle sue parole a spingere Milli e Mae a proseguire, a credere, a sopravvivere. In mezzo alle menzogne, la fiducia nella figura paterna non viene mai meno e, anzi, si trasforma in guida e in esempio, anche dopo la sua scomparsa.

Il gelo non è solo ambientazione ma cristallizzazione del passato, immobilità che le protagoniste devono sciogliere con la loro ribellione, con la loro ricerca, con la loro forza.

Lemire orchestra la narrazione con equilibrio: centellina le rivelazioni, dosa i colpi di scena e alterna accelerazioni e soste emotive, costruendo una tensione continua che tiene il lettore immerso nella lettura.

Jock accompagna il racconto con un lavoro grafico puntuale e incisivo. Le tavole, tagliate come il ghiaccio che rappresentano, alternano luci e ombre in modo netto, restituendo freddo, desolazione e silenzio. I personaggi, pur coperti e imbacuccati, restano riconoscibili e vivi, sostenuti da una regia visiva che amplifica la durezza del mondo e la fragilità di chi lo abita. Snow Angels non inventa nulla, ma trasforma l’archetipo in esperienza, e nel suo gelo lascia il calore di un racconto di formazione autentico.

VOTO
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Pasquale Laricchia

Cominciai a correre. Finché i muscoli non mi bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria. Poi continuai a correre.

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