Confesso che, da lettore bonelliano tradizionalista e grande cultore della serialità a fumetti, non sono mai stato un amante dei graphic novel – a meno di considerare come tali fumetti nati in tutt’altra modalità e che un certo dibattito (online, ma non solo) ha cercato di riclassificare in tempi recenti: onestamente, mi è sempre sembrata una forzatura indicare come “primo romanzo grafico” L’Eternauta o la prattiana Ballata del mare salato.
Altrettanto forzato mi sembra assegnare questo titolo al famoso Contratto con Dio del 1978, assegnazione anche in questo caso a posteriori visto che non era stato l’autore – Will Eisner – a coniare il termine.
Last but not least, ancora più sterile mi è sempre sembrato il dibattito sul genere grammaticale da usare – il o la graphic novel? – visto che la stessa Accademia della Crusca, pur indicando una preferenza per il genere maschile, ammette anche l’uso del femminile.
Dati questi presupposti, perché mi sono comunque fiondato in edicola, il 4 novembre 2006, per acquistare il primo numero della collana Graphic Novel pubblicata da Repubblica? Semplice: perché conteneva l’edizione integrale di Maus, lo straordinario successo di Art Spiegelman basato sul racconto autobiografico di suo padre Vladek, di cui Repubblica aveva pubblicato nell’altra sua collana Classici a fumetti soltanto la prima parte (probabilmente per questioni di diritti).
Comunque lo si voglia definire – graphic novel, romanzo grafico, letteratura a fumetti o, per recuperare la celebre definizione di Hugo Pratt, “letteratura disegnata” – Maus mi sembra un’opera imperdibile tout court, e al diavolo le definizioni e i dibattiti sul sesso degli angeli (pardon, dei / delle graphic novel).
Secondo quanto afferma Spiegelman nell’introduzione al volume, “la Civiltà Occidentale è finita ad Auschwitz. E noi non ce ne siamo ancora resi conto. Me compreso, che me ne sto qui seduto, a scrivere e disegnare mentre mia figlia dorme al piano di sopra, come se ci fosse un mondo dopo Auschwitz“. E la caratterizzazione grafica con cui l’autore visualizza e racconta l’indicibile – topi i maltrattati ebrei, gatti gli aguzzini tedeschi, maiali gli ambigui polacchi – è una scelta ben precisa e non una banale semplificazione stilistica (stessa “accusa” rivolta a Marjane Satrapi per il suo Persepolis, apparso nella collana Serie Oro).
La collana si avvale della collaborazione della casa editrice Coconino Press e ha il pregio di proporre al grande pubblico, a un prezzo accessibile, opere spesso “difficili”, caratterizzate da una veste grafica e (soprattutto) da tematiche molto diverse da quelle mainstream. Risultato: dieci volumi – brossurati, in gran formato – da non perdere, spesso impreziositi da schizzi, illustrazioni e interviste, con autori del calibro di Craig Thompson, Joe Sacco, Baru nonché, tra gli altri, gli italiani Gipi, Igort e Mattotti. Le presentazioni sono affidate ancora una volta a Luca Raffaelli che propone anche la rubrica “Il segno e lo stile”, mentre una seconda rubrica – intitolata “Un altro fumetto è possibile” – è affidata a Paolo Interdonato.
Un unico altro titolo da segnalare, oltre al fondamentale Maus? Indicazione difficile, vista la qualità complessiva delle opere proposte… Se comunque dovessi proprio scegliere, opterei per il quarto volume della collana, Palestina. Si tratta del fumetto-reportage di Joe Sacco, ambientato nei Territori occupati al tempo della prima Intifada (tra la fine del 1991 e il 1992), vero e proprio esempio di graphic journalism. Con il suo stile particolarissimo, l’autore – noto, in precedenza, per i suoi fumetti dedicati alle tournée di gruppi rock – racconta la vita quotidiana di un’umanità dolente, segnata da drammi personali e collettivi. Palestina si è aggiudicato il prestigioso American Book Award nel 1996.
Ah, PS: ai tempi, nella collana, il termine “graphic novel” era declinato al femminile 🙂
GRAPHIC NOVEL
Repubblica in collaborazione con Coconino Press
10 uscite settimanali
4 novembre 2006 – 6 gennaio 2007