(Il mio) Nick Raider si è fermato a Saigon

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Giugno 1988: nelle edicole sbarca il primo numero di Nick Raider in concomitanza con l’esordio della nuova denominazione Sergio Bonelli Editore, come pubblicizzato nel Giornale in supplemento a tutti gli albi usciti in quel mese. Non potevo mancare l’acquisto di questa nuova collana, visto che sono sempre stato un grande appassionato di libri gialli, anche se più sul versante Poirot che su quello degli hard boiled americani (proprio il contrario di quanto confessato da Sergio Bonelli nel Giornale). I testi di Claudio Nizzi – all’epoca autore quasi solitario di Tex, con molte belle storie prima della “crisi” che lo colpì all’inizio degli anni Novanta – costituivano un’ottima garanzia e promettevano avventure interessanti, basate su reali procedure di polizia e su un’ambientazione “corale” con numerosi comprimari fissi, come succedeva nell’87° Distretto immaginato da Ed Mc Bain di cui avevo letto alcuni romanzi. Nick veniva presentato come “un investigatore, non privato ma con tanto di “patacca”, come direbbe Tex“, impegnato nella New York dei nostri giorni in indagini dalla connotazione fortemente realistica: una serie, insomma, agli antipodi delle atmosfere di quel Dylan Dog che tanto mi affascinava da un paio d’anni, ma comunque dalle buone potenzialità.

E invece… la scintilla non scoccò. Acquistai i primi albi, ma la serie non riusciva a “prendermi” e quando, nell’autunno 1989, partii per lavorare un anno in Francia sospesi senza rimpianti gli acquisti di Nick Raider (l’ultimo albo che acquistai fu il numero 16): anzi, per essere più precisi, prima di partire rivendetti tutti gli albi insieme ai pochi numeri di Tutto Mister No che avevo acquistato fino a quel momento – anche se lì c’era un’altra motivazione, di cui ho parlato in questo articolo.

Perché Nick Raider non mi convinse, nonostante alcuni albi ben fatti? Me lo sono chiesto spesso, senza trovare una risposta precisa. Certamente il cambio continuo di disegnatori – alcuni dallo stile davvero molto diverso tra loro – da un albo all’altro non mi entusiasmava, dopo essere cresciuto con serie come Tex e Zagor in cui (negli anni eroici) i disegnatori “titolari” si contavano sulle dita di una mano… ma un cambio continuo di disegnatori c’era anche sulle pagine di Dylan Dog, senza che questo influisse più di tanto sul mio gradimento. Non c’erano nemmeno svarioni di sceneggiatura o exploit incredibili dei protagonisti – tipo la mira infallibile di Tex o i volteggi acrobatici di Zagor, per capirci – che in una serie così realistica avrebbero stonato troppo. E quindi? Forse ero stato deluso dalla ripetitività dei comportamenti di certi personaggi, che fin dai primi albi erano ai limiti della macchietta (penso soprattutto al gran capo “Ciao Cara“…), ma anche questa era una risposta parziale pensando a come mi sarei affezionato, anni dopo, agli stereotipi e all’immutabilità del commissariato di Vigata di Camilleri. Insomma, ancora oggi non saprei rispondere.

E tuttavia, anni e anni dopo, quando mi è capitato di procurarmi su eBay, a un prezzo bassissimo, i primi 50 albi di Nick Raider non ho saputo resistere alla tentazione di dargli una seconda chance. Durante la mia collaborazione con uBC davo spesso un’occhiata alle recensioni e alle schede prodotte su Nick, e anche se la serie non era mai divenuta un best seller si segnalavano qua e là ottime storie, grazie anche agli sceneggiatori che avevano poi dato una mano a Nizzi (D’Antonio, Medda, Colombo…) e ad alcuni personaggi particolarmente ben centrati: basti pensare a Holly Wood o al sergente Rafferty, veri e propri co-protagonisti dei numeri 32 e 33. Pensai che una rilettura organica e sistematica avrebbe potuto farmi cambiare idea e, magari, spingermi al recupero dell’intera collana – come già mi era successo per Ken Parker e la Storia del West.

E così ci riprovai: rilessi gli albi che già conoscevo e poi continuai dal numero 17… ma fu un nuovo buco nell’acqua. La mia riscoperta della serie non arrivò neanche al numero 50, visto che mi fermai proprio con il numero 33, Saigon: trovavo le storie banali e piene di luoghi comuni (spesso anche nei dialoghi), l’approfondimento dei personaggi continuava a latitare e spesso ero insoddisfatto anche dei disegni. Il colpo di grazia, probabilmente, fu dato proprio dai due personaggi di cui parlavo prima: tanto mi sembravano interessanti dalle schede a loro dedicate in uBC, quanto mi sembrarono poi deludenti all’interno degli albi… Evidentemente, pensai, il problema non era Nick Raider, bensì ero io: semplicemente, quella serie non era la mia cup of tea.

Negli anni successivi, in realtà, molte delle mie impressioni furono confermate: la serie iniziò a trascinarsi stancamente fino alla contro-apoteosi del numero 200, che chiudeva – in modo davvero molto deludente – le pubblicazioni di Nick con il marchio SBE prima del breve passaggio sulle pagine delle Edizioni IF. Non starò a ricordare la caterva di incongruenze e semplificazioni che trascinano Nick in un’avventura senza capo né coda: basterà ricordare la recensione e la scheda che uBC gli dedicò a suo tempo, come pure le interessanti considerazioni complessive di Vincenzo Oliva che ben inquadravano la collana, gli autori – soprattutto il creatore Nizzi – e i personaggi.

Adesso Nick Raider è tornato alla SBE e sbarcherà presto in edicola con una miniserie, con il primo albo significativamente intitolato Trent’anni dopo in cui faremo la conoscenza di Richard Varelli, a suo modo protagonista proprio del primo numero della collana: era lui la vittima senza nome che dava il titolo all’albo e che sarebbe stato rimpiazzato, dopo il suo omicidio, da Marvin Brown come collega di Nick. Sembra però che gli albi non saranno tutti in flashback, anzi i protagonisti invecchieranno fino ad arrivare ai nostri giorni: ma devo confessare di non essermi documentato sull’argomento perché ho già deciso di non dare una terza chance al personaggio. Il mio Nick Raider si è fermato a Saigon, senza rimpianti.

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