Monster

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Ristampato in edizioni di pregio, continuamente citato tra i seinen di maggiore influenza, a 20 anni dalla sua uscita il manga di Naoki Urasawa non ha modificato di una virgola la sua potenza. Lo ricordiamo con il nostro pezzo dal sito storico.

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Il primo pregio che bisogna riconoscere alla Planet Manga è quello di imparare dall’esperienza.
Da quando, poco dopo il loro esordio, lanciarono Berserk, opera difficilmente qualificabile di uno sconosciuto e ancora acerbo autore, non hanno mai smesso di scommettere almeno una volta all’anno su una sfida ai “gusti consolidati” dei lettori.
A volte questa sfida l’hanno persa, ma sembrerebbe che le vittorie accumulate continuino ad incoraggiarli.
Urasawa Naoki, autore affermato in Giappone ma, fino a non molti mesi fa praticamente ignoto in Italia, parrebbe essere il fautore di un’altra di queste vittorie conseguite contro un’immagine limitata dei lettori di manga.
Questo assumendo che la pubblicazione di un’altra opera a poca distanza dal lancio della prima sia un indice del favore del pubblico. Infatti, dopo 20th Century Boys, fumetto fantapolitico di cui spero di riuscire a parlare nei prossimi mesi, la Planet ha da ormai un semestre bissato la presenza di Urasawa nei rivenditori con il “noir” Monster.

Ma, entrando nel merito dell’opera, vediamo cosa rende “Monster” tanto “inaspettato” da rendere difficile la sua collocazione sugli scaffali di un “otaku”.
Innanzitutto, l’ambientazione.
Appena il sipario si leva ci troviamo in Germania e, giusto per chiarire, non in una Germania “addomesticata”, da cartolina, ma a Dusseldorf ed in mezzo a cittadini di Dusseldorf.
L’unica concessione patriottica che Urasawa si concede è di fare del protagonista un suo concittadino. Il dottor Kenzo Tenma è un giovane apprendista chirurgo toccato dal genio. “Scoperto” dal Professor Heinemann direttore di una quotata clinica di Dusseldorf, vive ormai da tempo in Germania, ha la piena fiducia del suo mentore tanto per le operazioni difficili, quanto per la stesura di complicate relazioni accademiche, quanto per le relazioni intime, dal momento che è ufficialmente fidanzato con Eva Heinemann, la bella figlia del direttore.

In Monster, l’emergere del ‘mostro dentro di noi’ non è una sorpresa, ma la norma.
La sorpresa è scoprire che c’è qualcosa di ancora più spaventoso.

Questo quadretto è guastato da un piccolo particolare: Tenma è sfruttato dal suo capo per questioni di puro prestigio. Le operazioni “impossibili” che porta a termine, i documenti che scrive nonchè la scelta stessa di cosa scrivere (e “chi” operare), sono tutte azioni “in nome del padrone”, il quale lo compensa con un buon stipendio e altri benefici, ma nulla più.
Da qui in poi, il nostro protagonista diventa il dottor Tenma e, quasi sempre, verrà chiamato così. Diventa un po’ meno persona e un po’ più “personificazione”, della medicina salvifica, ovviamente.
In questo ruolo, rifiuta un ordine del direttore, ed invece di operare un pezzo grosso della politica, opera un bambino di sei anni, Johan Ribert a cui, apparentemente, un misterioso folle ha sparato alla testa dopo avergli ammazzato i genitori adottivi. Parafrasando una barzelletta: “l’operazione riesce ma (l’altro) paziente muore”. Il dottor Tenma cade in disgrazia, la volubile Eva lo lascia e di fronte a lui si para un futuro di anonimato sottoqualificato. La sua unica consolazione è che il suo ultimo paziente è salvo e si riprenderà.
Come tutte le fiabetta didascaliche, anche questa ha il suo “happy-ending”: i piani del malvagio padrone vengono scombinati e lui trova la morte con i suoi tirapiedi. Il dottor Tenma viene risollevato dalla polvere e ottiene un trionfo dopo l’altro.
Questo per quanto riguarda le prime pagine…

Ma Urasawa indulge in ciò che nella media dei manga “mainstream” difficilmente si vede: le complicazioni della vita reale.

Il dottor Tenma all’inizio dell’incubo

Il direttore, infatti, è stato assassinato con il veleno e, apparentemente, solo il dottor Tenma aveva il movente per eliminarlo, ma, d’altra parte, non sembra aver avuto “l’opportunità”.
Solo un’altra persona avrebbe potuto avvelenare le caramelle ingerite dal dottor Heinemann, ma Johan ha solo sei anni. Inoltre, contemporaneamente agli omicidi, lui e la sua sorellina Anna, in preda ad una sorta di “autismo” dal momento della morte dei genitori adottivi, scompaiono.
Così, l’ispettore Lunge della BKA si trova con due presunti colpevoli di cui nessuno inquisibile, e questo lo disturba parecchio. Memoria perfetta, acume eccezionale, logica ferrea, nessuna pietà: Lunge è un Holmes senza un Watson a stemperarne il rigore e, quindi, appare umanamente intollerabile. Non avendo remore di sorta, l’ispettore decide di circoscrivere le sue attenzioni al dottor Tenma per farlo passare da “perseguitato” a “perseguibile”.

Completato il “cast” di base, si comincia a scendere nei meandri di un labirinto di misteri che si incrociano dietro ad una serie di omicidi inspiegabili.
A partire dall’omicidio dei Signori Ribert, genitori adottivi di Johan e Anna, chi c’è dietro l’omicidio seriale di coppie di anziani coniugi? Chi ha tentato di uccidere Johan e chi ha ucciso il direttore Heinemann?
Dove sono scomparsi Johan e la sua sorellina? E, soprattutto, da dove venivano?

Anna Ribert da Piccola

La tentazione di cominciare a rispondere a queste domande è forte, ma, davvero, spero di incuriosirvi quel tanto che basta a spingervi ad acquistare questo fumetto, se non lo avete già fatto.
Come già detto, vi è in esso un sapore “internazionale” che, penso, lo renda irresistibile ad ogni amante dell’arte sequenziale.
E’ impossibile, infatti, non sentire quel retrogusto di “america latina”, nello svolgersi della trama e nel subentrare dei personaggi.
Il dottor Tenma e gli altri “narratari” sono sì interessanti, ma mai coinvolgenti come le persone che incontrano nel loro viaggio iniziatico: abbiamo un reporter disilluso, un ex-mercenario che ha adottato la figlia di una donna che ha ammazzato, un medico di campagna in cerca di redenzione, un killer che invecchia sereno dopo aver scoperto che non può più uccidere, un educatore in cerca del leader perfetto, un generale che ha scoperto quanto letale possa essere “l’arma definitiva”, un poliziotto corrotto che ama la sua nuova famiglia, un ex-mafioso che scopre cosa veramente voleva dalla vita.

E’ quasi impossibile, seguendo le loro brevi “sottotrame”, che emozionano quanto quella principale, non pensare a Dago e altri classici della scuola “latina”.
Ma, soprattutto, seguendo le loro storie si capisce che non si intende fare la solita “moralina” sul “mostro dentro”.
In “Monster”, l’emergere del ‘mostro dentro di noi’ non è una sorpresa, anzi è la norma, tutti i personaggi si confrontano o stanno confrontandosi con esso e vincono o ne vengono sconfitti. La sorpresa è scoprire che c’è qualcosa di ancora più spaventoso.

L’ispettore Lunge: una macchina della legge

Infine, una menzione merita il tratto di Urasawa Naoki. E’ indubbio che ci troviamo di fronte ad un professionista maturo che ha trovato un suo equilibrio.
Nelle tavole predomina la chiarezza: linee nette e pulite, retini misurati, un’impostazione geometrica che concede poco alla retorica del dinamismo che ha reso lo “stile manga” famoso.
La costruzione delle scene è funzionale alla narrazione e rispetta convenzioni che, fossimo nel cinema, definiremmo “hollywoodiane”: campi e controcampi per i dialoghi, primi piani dei protagonisti, campi lunghi per introdurre gli ambienti, quasi assenti le “misure” estreme come i dettagli o i primissimi piani o, all’opposto, le panoramiche. Se il lettore deve “sobbalzare”, deve essere la trama a farglielo fare, e non la vignetta.
Il “character design”, chiaramente, è pulito e anatomicamente corretto, con tendenza realistica e conseguente rifiuto di convenzioni tipiche come i grandi occhioni o gli arti iperdinamici: aleggia, per dirla tutta, un sentore di Europa.

Tirando le somme, ci troviamo di fronte ad un gran bell’esemplare di manga che dimostra come i migliori esponenti di una “scuola”, come un Miyazaki Hayao, un Taniguchi Jiro e, ovviamente, il presente Urasawa, possano creare delle opere davvero “universali” nella loro capacità di cogliere le migliori specifiche di questa arte e con queste avvincere il lettore.

Luca Cerutti

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