Io con il signor Naoki Urasawa ho un problema (e tre! Ma ne avrò di problemi…). Non penso esista autore di manga, anzi autore di qualsiasi cosa, tanto capace di farmi trovare una sua opera puro genio e ispirazione ad una condotta di vita migliore (che poi non metto in pratica, essendo ignavo e destinato all’inferno) e un’altra sua opera completamente indifferente.
Asadora, ultimissima opera fresca di pubblicazione italiana da parte di Planet Manga, al primo volume esprime le migliori intenzioni di collocarsi nella prima categoria. E io ringrazio piangendo.
Lo stile è quello dell’Urasawa di Monster e, soprattutto, di 20th Century Boys con questo “time lapse” che ci riporta ad un Giappone passato, in questo caso ancora più vicino alla fine della guerra, che ha appena finito di rimarginare le ferite più profonde ma è ancora ai primi malcerti passi di quella “riabilitazione motoria” perseguita con determinazione incredibile che lo porterà a tornare una potenza mondiale; e poi con questa protagonista, Asa Asadora, incrollabile e inarrestabile mocciosa “superflua” di una famiglia assurdamente numerosa con la passione per una canzone di cui non riesce a sapere titolo e autore (spoiler: probabilmente è Because I love you di Frankie Avalon), ideale amica della “posse” dei ragazzini del ventesimo secolo.
Ma soprattutto è lo stile di quell’Urasawa che non ti agevola l’ingresso nella narrazione: le cose capitano ed i protagonisti hanno da fare, se vuoi capire cosa succede è meglio che gli stai dietro perché di loro stessi, delle loro circostanze, di quello che sono, ti parleranno quando hanno tempo. Hanno da vivere e lo fanno di fronte a te.
Così in poche pagine ci si ritrova coinvolti in quello stile narrativo che io anni fa, ignorantemente, definii “inconsuetamente occidentale”, ma che ora posso ricondurre al miglior fumetto mondiale in cui è “eccezionalmente normale” trovare il racconto deviato fin dall’inizio in rivoli di storie “collaterali” che riguardano la supposta protagonista solo perché le incontra: “narrazione corale” non rende neanche l’idea, perché lascia pensare che non esista un protagonista, mentre nel migliore Urasawa il protagonista resta tale. E’ più come vedere il delta di un fiume: il fiume è sempre quello, ma si dirama e si spande nel panorama, mutandolo e abbellendolo, prima di disperdersi nel mare.
Dal punto di vista grafico poi abbiamo il caratteristico “verismo” di Urasawa, autore che non ha bisogno che i suoi personaggi siano belli per renderli carismatici anzi, molto spesso, tanto più li disegna “banali” quanto più brillano per il mero carisma delle loro azioni e delle loro parole. Eventualmente a variare rispetto alle altre sue opere note qui è la scansione di tavola che tende ad un maggior spezzettamento rispetto alle altre opere con una predilezione per inquadrature piccole e ripetute sullo stesso personaggio, quasi un montaggio di fotogrammi presi da diverse angolazioni.
In chiusura voglio ricordare quale sia l’aspetto dell’Urasawa che mi piace di più e che emerge prepotente da questo primo volume. Affiancandosi ad un altro enorme maestro, Hayaho Miyazaki, nelle sue opere migliori Urasawa non si nasconde mai che l’uomo è un animale violento che compie azioni terribili ma a cui a volte basta una spinta anche da poco per scegliere non solo di astenersi dal male ma di compiere il bene. A volte basta una parola e una possibilità di scelta.
Gli efferati omicidi di Monster o il genocidio avvenuto in 20th Century Boys sono qualcosa che Urasawa racconta come vero tanto quanto è vera la semplice fede che rinnova in Asadora nella possibilità dell’uomo di avere il coraggio di compiere il bene.