Noma Bar nasce in Israele nel 1973, durante la guerra del Kippur. Non a caso i primi schizzi e disegni della sua infanzia sono caratterizzati dalla predominanza di armi, carri armati e violenza. Dopo l’obbligatorio ed alienante servizio militare, finalmente riesce ad entrare al Bezalel Academy of Arts and Design a Gerusalemme. Già durante l’accademia comincia a lavorare per alcuni studi televisivi e ad esplorare la computer grafica.
In questo periodo sviluppa e perfeziona il suo caratteristico stile pulito ed essenziale. Tale forma espressiva è una sua interpretazione derivata sia dal costruttivismo russo e dai manifesti di propaganda dell’era sovietica, sia dalle litografie dei manifesti cinematografici Art Déco e dai disegni del Bauhaus oltre che dai lavori di Alan Fletcher. Non da meno sono le influenze di artisti quali Paul Rand o Saul Bass capaci, prima di lui, di far percepire loghi, locandine e i titoli di testa dei film come una forma d’arte.
Illustrazioni o graphic journalism?
Nel 2000 si trasferisce a Londra dove, in pochi anni, collabora con BBC, Random House, The Observer, The Economist, Internazionale, Les Echos, Esquire e altri.
La collaborazione con riviste e testate di attualità, di politica ed economia gli consentono di produrre un’estrema varietà di opere in cui si impegna ad elaborare “osservazioni positive sulla negatività nelle nostre vite”. La sua opera diviene quindi la ricerca di quel briciolo di umanità, il tentativo di coinvolgere il lettore a guardare il mondo con una emotività che gli impedisca di ignorare le questioni che lo circondano.
Spazi negativi
“The thing I notice most from looking through my sketchbooks is that there is a lot of negative space, and many faces. Often the faces are in the negative space, in fact. I like the shadow in a face more than the features themselves, and the line between eye and nose is particularly important to me.”
Nonostante l’apparente semplicità dei suoi lavori, è sempre sorprendente scoprire il messaggio secondario che si palesa talvolta solo in seguito e, come un twist, regala un nuovo significato all’intera opera. Spesso questo si manifesta, soprattutto per i lavori personali, semplicemente con uno sguardo e una lettura più attenta. In altre occasioni, quando magari l’opera è a corredo o cover di un articolo, il messaggio si percepisce solo dopo la sua lettura.
“what looks like an ordinary illustration is out of the ordinary when you look again”
Spiegare cosa sia lo spazio negativo è abbastanza semplice: “ogni positivo ha un lato negativo. L’uno non può esistere senza l’altro. Come esercizio, guarda il profilo di un animale o di un essere umano. La sua forma. E poi guarda l’area intorno a lui, quello è il positivo e il negativo.”
La forza di questo concetto è ad esempio perfettamente godibile nei suoi lavori pubblicati su GQ. In queste opere, particolarmente esplicite, il suo tratto minimale ed i suoi giochi fra spazi negativi e positivi creano un’astrazione tale da permettere all’autore di osare senza mai superare quel limite di “decenza” imposto dalla società perbenista contemporanea. Quelle pubblicate su GQ sono provocazioni argute e piccanti tanto forti quanto inattaccabili, o quasi. Geniali quelle a corredo degli articoli di Maia Mazaurette o, ancora, controverse quelle pubblicate sulle pagine del Times.
Sketchbooks e ritratti
Da adolescente, durante la guerra del Golfo, al riparo in un bunker, giocò con la somiglianza tra il simbolo della radioattività ed il volto di Saddam Hussein per creare una delle più iconiche rappresentazioni dell’ex Presidente iracheno. Questa semplice ed efficace opera sarà il trampolino che gli permetterà di arrivare a Londra e dare il via alla sua carriera.
Il suo interesse per i volti e le espressioni umane è sempre stato profondo e curioso. I suoi ritratti sono forse la rappresentazione più immediata e comprensibile di quella che è la sua arte: sintesi ed efficacia. Con pochi tratti e argute citazioni riesce ad esprimere in maniera tanto ermetica quanto dirompente la forza e la storia di un volto, di un’icona, di un personaggio.
Nei suoi ritratti quindi è essenziale non includere solo la fisionomia, ma anche e soprattutto il background e l’impatto sociale che il personaggio porta con sé. Ancora una volta le semplici e minimali linee delle sue opere sono il risultato di un profondo e accurato studio, fatto di brainstorming, eliminazioni e ricerca dell’essenziale.
Un essenziale che racchiude non solo informazioni e citazioni, ma soprattutto emozioni.
Questa ricerca la si comprende bene sfogliando e godendo degli appunti che continuamente prende e annota sui suoi sketchbooks.
Perché Noma vive con uno sketchbooks in tasca.
In viaggio, a lavoro, in un momento di pausa sotto un albero, al capezzale del padre negli ultimi momenti. La curiosità di Noma Bar e la sua necessità di filtrare, con la propria arte, quello che lo circonda, trova spazio e dimensione al college quando, per un progetto, comincia ad usare degli sketchbooks. Da lì in poi ne riempie decine che ancora oggi lo accompagnano ovunque lui sia.
“My sketchbooks tell my story but in a different way, reminding me of particular events and moments. I fill them up in airports, restaurants, bank queues, meetings and on the Tube, with my daughters, at moments of happiness and sadness.”
Una necessità quasi compulsiva quella di appuntare, decifrare, sintetizzare per forse comprendere il mondo che lo circonda, riassumendolo nei suoi spazi positivi e negativi per poi comunicarli con forza ed immediatezza.
Scoprire Noma Bar in Italia
Nonostante, come visto, l’artista abbia prodotto centinaia di opere, copertine, illustrazioni e tre pubblicazioni (Guess Who?: The Many Faces of Noma Bar. Brooklyn – New York: Mark Batty, 2008, Negative Space – Brooklyn, New York: Mark Batty, 2009 e Bittersweet – London: Thames & Hudson, 2017), in Italia, di suo, non è ancora stato pubblicato nulla.
Da noi è possibile goderne solo sulle pagine di Internazionale, il settimanale fondato da Giovanni De Mauro, o sulle copertine dei libri tradotti in Italia da Einaudi.
Molto poco, ma poco importa. La forza di Noma Bar è tutta nella sua forza visiva, quindi è sufficiente seguire i social di The Observer, The Economist, GQ o leggere Internazionale per ritrovarsi davanti una sua opera per avere la possibilità di cercare un barlume di positività nel buio che ci accade attorno.