La domanda “Groucho, chi sei?” è davvero così importante?

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A fronte di un complesso progetto di disvelamento del “dietro le quinte” dell’universo di Dylan Dog, manifestatosi con l’inevitabile avvicendamento dei curatori del personaggio, sono stati esplorati nuovi orizzonti narrativi fino ad ora rimasti sopiti e/o sottintesi.

In particolare Roberto Recchioni, una volta ricevuta luce verde dalle figure dirigenziali di via Buonarroti, si è indaffarato a (creare ed) aprire porte che fino ad allora non esistevano – e per le quali in realtà nemmeno si era sentita tanto l’esigenza di aprirle (forse avranno tutti visto “The cabin in the woods” una volta di troppo, chissà!).

Ed ecco come Groucho torna alla conquista della ribalta in una seconda ondata di storie che lo vedono protagonista e ospite del Color Fest di Luglio, testata questa che nel corso degli anni ha assunto un sempre più marcato carattere di “cantiere di sperimentazione” di nuovi approcci all’universo dylaniato. Ciò ovviamente comporta anche un allineamento delle storie ospitate – o meglio, di 2 su 3 – alla filosofia spiegazionistica del “Groucho, chi sei?

Andiamo con ordine.

Le regole della comicità

l binomio Bilotta/Dylan Dog è indissolubilmente legato a quel “pianeta dei morti” che, da semplice storia in uno dei primi DDCF è riuscito ad assurgere a nuova dimensione narrativa per l’Old Boy, alternativa (?) rispetto a quella della serie regolare, e comunque autonoma ed in continua evoluzione anno dopo anno sulle pagine degli Speciali. Forse la vera punta di diamante del famoso “downgrade” dylaniato di cui anche a queste coordinate si è già abbondantemente parlato. Groucho non compare nelle storie del Dylan del futuro, o almeno non lo fa nella forma canonica, ragion per cui è ancora più interessante analizzare l’approccio dell’autore al personaggio. Ebbene, leggere un Groucho in salsa Mercurio Loi (o forse è il contrario?) è un’esperienza alla fine appagante: è un Groucho che in fondo cerca di capire se stesso attraverso i giudizi di una persona appartenente al suo passato, ma che non rinuncia ad esplorare i limiti della sua comicità e, nel frattempo, riesce anche a risolvere un caso di infestazione ai danni di un lord decaduto. E c’è anche spazio per un cameo di Lord Wells! Troppa roba per una trentina di tavole? Non sarebbe comunque corretto dirlo, visto quanto avveniva nei grouchini di un tempo. Emerge però un’attenzione molto razionale nel gestire il personaggio, cosa che di per sé sarebbe impropria o poco adatta, ma che viene fortunatamente smussata dalle evidenti capacità dell’autore. Dal canto loro, Ponchione e Bertelè donano al racconto un certo gusto visivo retrò, quasi caricaturale, caratterizzato da forti sfumature in grigio e seppia, per un effetto finale quasi da “Piccolo mondo antico” che il bianco e nero non avrebbe saputo rendere altrettanto bene.

Per un pugno di like

Riccardo Torti esplora come autore completo il lato “social” di Groucho, aspetto che già da tempo fa capolino sulle pagine mensili ma che qui viene spinto molto oltre, ed inserito nella cornice di una storia dylaniata dalle caratteristiche tutto sommato classiche, e che anche classicamente si conclude, attraverso l’impiego di un espediente tipicamente chiaverottiano a mo’ di refugium peccatorum per un autore ancora poco a suo agio con le dinamiche dell’universo della creatura sclaviana. Lo stile visivo abbastanza essenziale valorizza poco Dylan, molto di più Bloch ma soprattutto Groucho, che pur con pochi tratti può sfoggiare una buona gamma di espressioni; complice è il sapiente uso delle campiture, che sembrano celare una sorta di messaggio in codice sui suoi stati d’animo, o meglio su “chi è chi” in questa o quella particolare inquadratura, sulla falsariga de “Il sesto senso”. 

Groucho-con

Ideale “ponte” tra le due ondate di cui si è detto è la terza storia, a Firma di Faraci e Ziche: una sorta di “Uno, nessuno e centomila incontra il cosplaying, ed entrambi incontrano le atmosfere dei fratelli Marx”. La bravura di Faraci nell’imbastire storie godibili come questa è innegabile, oltre al fatto di avere dalla sua l’esperienza della prima ondata dei grouchini. Su un palcoscenico dove tutti fanno ironia, forse sono proprio i vari emuli di Groucho ad essere la reale nota stonata: un contrappasso che l’autore risolve con un classico twist, che in realtà ne nasconde un altro ancor meglio celato. Anche in questo caso, il registro grafico della Ziche fornisce un considerevole apporto alla valorizzazione del soggetto, esaltandone la (comunque non elevata) sapidità iniziale sulla scorta di una collaborazione ormai rodata che permette all’uno di coprire i difetti dell’altra, e viceversa.

 

In tutti e tre i casi, Groucho (o “un” Groucho) si trova a riflettere su se stesso: se però Faraci lo fa con una leggerezza dovuta alla maggior familiarità con il personaggio, negli altri due casi il rischio è di prendersi troppo sul serio. Come però detto, questo non è che uno dei sottoprodotti dell’attuale corso dylaniato, tutto volto a fare autocoscienza e a cercare il proprio posto nel mondo – letteralmente: la geografia dei luoghi è in generale molto più precisa che in passato, e qui nello specifico Torti geolocalizza Groucho una vignetta sì e l’altra pure.

A fronte della breve analisi raccontata qui, non si può parlare quindi di passi in avanti o all’indietro, né tantomeno di lato, tra la prima generazione di albetti allegati e questa nuova infornata di storie ospitate in un contenitore di nuova concezione. I binari su cui si muovono gli autori di questo DDCF sono infatti ben diversi da quelli di Sclavi & compari dei tempi che furono: sono semmai le due concezioni editoriali dell’universo Dylan Dog gli elementi da comparare, confermando tra l’altro come le due ondate poggino su fondamenti molto diversi che ne impediscono un confronto diretto, permettendo di fare valutazioni puntuali solo su singoli aspetti.

Il gusto personale vorrebbe ovviamente la sua, ma solo perché se ne infischia di fare discorsi analitici un minimo più impegnati.

Forse con la conclusione del ciclo della Meteora, e l’avvento del tanto decantato momento del “cambiamento radicale totale”, anche la caratterizzazione di questo nuovo Groucho diverrà più chiara; fino ad allora, guardiamo Horrorpoppin’ da lontano mentre ci si inumidisce il ciglio.

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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