Quando Vincenzo Oliva mi ha proposto una sua idea per una nuova rubrica di uBC, in cui intedeva rovistare nel cassetto della memoria di tutte quelle storie bonelliane che lo hanno nutrito e fatto vivere con la fantasia per oltre cinquant’anni, non ho esitato a dargli carta bianca, evitando di porgli scadenze e/o di chiedergli di scrivere un minimo di pezzi prima di iniziare. Le puntate di questo suo “viaggio nell’anima” saranno quindi completamente aperiodiche, secondo il suo estro del momento (e non gli impediranno naturalmente di scrivere, nel frattempo, altri articoli per il Magazine).
Per iniziare con una sorta di “numero zero”, Vincenzo ha analizzato una storia bonelliana pubblicata da poco… e che tuttavia rientra appieno in questo tuffo nel “passato bonelliano” da ricordare, centrando in pieno – come sempre – i temi che ha approfondito. Non mi resta quindi che augurarvi buona lettura.
Il Direttore
In questo lunghissimo, probabilmente definitivo inverno di Tex, e di tutta quella Bonelli Editore che ha rappresentato la “casa” della mia infanzia e adolescenza e che ha enormemente contribuito a farmi crescere e diventare per come sono (e come sono soddisfatto di essere), ho dovuto imparare a godere furtivamente dei sempre più rari lampi di bellezza che a sorpresa squarciano il buio gelo di una così brutta stagione, di quegli albi che occasionalmente mi riportano al fascino delle storie di quaranta o cinquant’anni fa (ma in realtà ancora quindici, forse anche dieci anni fa tali circostanze non erano troppo infrequenti). Data la sempre maggiore rarità, che ormai fa di queste occasioni degli eventi veri e propri, spesso rimando a lungo il piacere della lettura delle storie di quegli autori nei quali ripongo incondizionata – e ben riposta – fiducia, ritrovandomi dunque a centellinarne i racconti come un povero tabagista con l’ultimo pacchetto di sigarette al tempo del famigerato sciopero dei tabaccai.
Il presente sproloquio nasce dal fatto che infine ho ceduto, e molti mesi dopo la sua pubblicazione ho letto l’occasione-evento di tutte le occasioni-evento di questo genere: Ombre di morte.
Non semplicemente una storia di quegli autori di cui ancora so di potermi fidare, ma l’inedito fortunosamente ritrovato, risalente alla metà degli anni ’60, del patriarca Giovanni Luigi Bonelli morto da oltre vent’anni. Ombre di morte rappresenta ancor più un unicum per il mondo di Tex perché risulta il solo racconto del personaggio, oltretutto rimasto ignoto al pubblico sino al 2023, disegnato da un gigante del fumetto italiano, e del western in particolare, come Sergio Tarquinio.
Il lavoro di Tarquinio è splendido: le tavole sono ricche di dinamismo; le figure umane realistiche e al tempo stesso scolpite e definite con grande precisione; i paesaggi semidesertici della riserva Navajo, dove è prevalentemente ambientata la storia, hanno tutto il fascino polveroso dell’immaginario western delle antiche pellicole in bianco e nero; le scene notturne e urbane sono permeate dall’atmosfera dei tenebrosi chiaroscuri che Tarquinio sa tirar fuori con il suo pennello; Tex, suo figlio Kit e Tiger, i tre pards qui presenti, appaiono indubbiamente eterodossi rispetto alle interpretazioni grafiche che i personaggi avevano avuto sin lì, ma sono perfettamente riconoscibili ed è evidente come il disegnatore avesse trovato un bilanciamento ottimale tra le specifiche dei personaggi e il suo stile, così personale e singolare. A tratti i volti cambiano un po’, ma ci può stare nell’economia di una prima volta alle prese con l’universo texiano; ed è da ribadire come Tarquinio avesse colto immediatamente la natura dei personaggi: in particolare trovo che la sua interpretazione di Kit sia tra le più belle che io ricordi, un Piccolo Falco raffigurato come l’adolescente che al periodo doveva essere nella mente di Bonelli padre, sul volto tutta l’ingenuità e la spavalderia del ragazzino eccezionale che GLB andava definendo nel tempo.
Cosa sia poi accaduto, e perché la storia sia rimasta inedita e incompiuta, e perché Tarquinio non abbia mai più disegnato Tex resta un piccolo mistero. Probabilmente, fu l’abituale paura bonelliana (del Bonelli figlio ed editore, in questo caso) a osare un qualcosa in più, un minimo in più, a scommettere una mezza lira sulle capacità critiche dei suoi lettori; confesso che talvolta, leggendo sulle pagine Facebook o nei forum superstiti le considerazioni che vengono fatte sui disegni di Tex (e non solo di Tex) arrivo a comprendere a perfezione le paure di Sergio, ma penso anche che, chissà, se avesse provato a sfidare i lettori in certe occasioni, a proporre loro qualcosa di meno rassicurante della routine abituale – qualcosa come questa storia, appunto – li avrebbe fatti anche crescere, e avrebbe fatto ulteriormente crescere il fumetto “popolare” e il debito che abbiamo con lui. Può anche essere che Bonelli figlio non c’entri, magari tra Tex e Sergio Tarquinio non scattò alcun feeling artistico e fu il disegnatore a non voler proseguire l’avventura texiana, tanto più che di lì a poco ebbe inizio la Storia del West di cui sarebbe stato una vera e propria colonna. Resta il fatto che il racconto ritrovato ci mostra un’occasione mancata; e resta il rimpianto che l’idea dei Texoni sarebbe nata soltanto una ventina d’anni dopo o quasi, perché a conti fatti questa storia potrebbe essere vista come un “Texone numero zero”.
Il testo bonelliano viene poi a rappresentare, agli occhi del disperato tabagista di cui sopra, un’intera stecca delle sue sigarette preferite apparsa dal nulla per magia. Intossicati da anni di narrazioni soporifere oltre il limite della decenza, si stenta a credere a ciò che si va leggendo. Il racconto, con ogni evidenza, è un seguito della storia della strega Zhenda, una delle migliori del periodo immediatamente precedente l’epoca aurea di Tex, e seppure incompiuto pare avere le stimmate di un gioiello non inferiore a quella. Ciò che colpisce, dolorosamente per molti versi, è come sia straordinariamente moderno il racconto bonelliano se paragonato a tutte le storie apparse negli ultimi anni (almeno da una decina d’anni a questa parte): può certamente apparire un po’ datato il linguaggio, che d’altronde risale a una sessantina di anni fa, ma la sceneggiatura ha un ritmo sostenuto, con le pause inserite sempre al momento migliore per tirare il fiato; i dialoghi sono secchi, essenziali, eleganti, diretti, divertenti, energici; le didascalie, lungi dal rallentare il ritmo della narrazione, oliano il racconto facendone scorrere la lettura sul velluto e facendo sì che gli snodi temporali e la scansione dei tempi narrativi non si appesantisca. I protagonisti sono genuinamente quei personaggi che hanno fatto innamorare milioni di lettori e hanno reso Tex il più letto e longevo fumetto italiano. Per quanto tautologico sia, visto che la storia è appunto del suo creatore, il Tex qui in azione, che pure in questo lungo prologo è spesso defilato, è quello quintessenziale bonelliano: sicuro, deciso, reattivo; ma anche sempre in controllo, regista delle azioni da compiere, saggio e avveduto. Il giovane Kit ha tutta la sfrontatezza della sua gioventù, ma anche la giusta sicurezza del suo valore, appare il degno figlio di suo padre, differenziandosi da lui in modo naturale per età ed esperienza – ed è stato fondamentale Tarquinio nel rendere visivamente questo Kit, questa differenza, con un impatto alla lettura che non ricordo spesso. Tiger è infine il perfetto braccio destro di Tex e il perfetto amico e “fratello maggiore” di Kit.
Tutto molto banale, questo lavoro di sceneggiatura e caratterizzazione dei personaggi, se non fossero, tutti questi elementi, le basi di Tex e del suo duraturo successo. Le basi, anche, della sua unicità: di eroi “umani” è pieno il fumetto, il cinema, la letteratura; di eroi profondamente umani che però nascondono la propria umanità non ve n’è praticamente. Per distillare questa profondità così travisata, quei pochi elementi essenziali prima richiamati necessitano di un controllo assoluto dei tempi narrativi, della scrittura, così come del contemperamento tra azione, dramma, alleggerimento (anche umoristico), riflessione, sentimento, spessore morale, intreccio, scioglimento della tensione. Necessitano anche di un talento verbale e linguistico fuori dal comune, in grado di amalgamare gli elementi in un meccanismo funzionante. Necessitano di protagonisti che rappresentino un ideale senza ridursi a figure bidimensionali e anzi rendano vivido e vitale per i lettori quell’ideale, che lo incarnino. Bonelli padre era il creatore di Tex e ovviamente ne definì le basi, potrebbe sembrare dunque scontato che il suo Tex fosse tanto efficace, tanto “perfetto”, ma dobbiamo rammentare che egli non fece semplicemente di Tex un fumetto efficace e neppure “perfetto”, ma, come detto in precedenza, lo rese unico. E lo rese unico perché evidentemente era unico il suo talento di narratore, dietro il quale vi erano idee precise e forti.
In Ombre di morte ritroviamo al loro posto pressoché tutti questi elementi, e tutti correttamente amalgamati; seppure quel che abbiamo è solo un corposo prologo rimasto incompiuto, non fatichiamo a immaginare che gli sviluppi successivi potessero tradursi in un racconto davvero molto interessante, e difficilmente il GLB non ancora sessantenne avrebbe sbagliato a concludere una storia così ben impostata.
È possibile che un certo effetto nostalgia incanaglisca il mio giudizio, ma non si può nascondere che il confronto tra questa incompiuta e le storie degli ultimi anni appare impietoso: a fronte di quanto detto, i racconti odierni sono quasi sempre involuti nell’ideazione; complicati senza divenire complessi; privi di un’idea forte del personaggio e della sua etica; presentano sceneggiature farraginose e piene di buchi logici; riducono i protagonisti a macchiette o fungibili soprammobili delle storie; si gingillano con personaggi “problematici” che ammorbano ritmo e tensione narrativa; sono infarciti di dialoghi pedanti, retorici, accademici, prolissi. Più che vecchie, sono storie senili. Per soprammercato, nei tempi più recenti due storie su tre sono ret-con che vanno a riscrivere inutilmente (quando va bene…) storie del passato bonelliano. Io sarò dunque incanaglito, ma oggi Tex è per certo immiserito.
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