Sono un sentimentale: se scrivi una storia di Dampyr con protagonisti quattro dei più grandi autori della letteratura fantastica americana a cavallo del secondo conflitto mondiale mi hai già conquistato per metà.
A ben vedere, questa è una storia pubblicata sulla testata di Dampyr, piuttosto che una storia di Dampyr; ma invero non v’è da dolersene: il cuore narrativo e concettuale del racconto è rappresentato dalle vicissitudini che Mauro Boselli inventa per la doppia coppia rappresentata da Catherine Lucille Moore e Leigh Brackett e i loro rispettivi mariti Henry Kuttner ed Edmond Hamilton, e che fa narrare da Timothy O’Brien ad Harlan e Kurjak e a noi lettori. La trama collaterale che coinvolge in prima persona Harlan e Kurjak risulta infatti quasi posticcia e d’intralcio rispetto al lungo racconto dell’avventura dei quattro, sospeso tra pura quest fantastica e riflessione filosofica sulla materia letteraria (in realtà è più un eco, una sottolineatura di quello).
Sono un sentimentale, come scrivevo, e l’incipit del racconto di Timothy che ricostruisce il primo incontro tra Kuttner e la sua futura consorte vale da solo la spesa degli albi e l’impresa della lettura. Non per il fatto in sé, certo, ma per l’attenzione posta nel raccontarlo, per la cura amorevole dei dettagli che si percepisce insieme a un affetto sincero per i due protagonisti, e senza che venga mai meno una loro raffigurazione realistica e si scivoli nell’agiografia: di ognuno si coglie la naturale umanità, nessuno è trasformato in un santino. L’antefatto è poi completato dal racconto, altrettanto ben cesellato da Boselli, del corrispondente avvicinarsi e incontrarsi, indubbiamente più complicato, di Hamilton e Leigh Brackett.
Sebbene siano state figure di primaria importanza nella storia della narrativa fantastica popolare americana negli anni intorno alla II Guerra Mondiale, credo che oggi come oggi i nomi e le opere dei quattro siano patrimonio di un ristretto numero di appassionati di fantascienza e del fantastico; dunque l’ampio racconto introduttivo era necessario sia per individuarli storicamente che per caratterizzarli narrativamente; e infine per illustrarne la relazione con i due numi tutelari del fantastico americano novecentesco qui largamente presenti, Howard P. Lovecraft e Robert E. Howard, colonne della pluricitata rivista Weird Tales che fu il crogiolo di una larga fetta di quel fantastico e dell’immaginario che ne scaturì. Introdotti i suoi personaggi, prendendo le mosse dal legame letterario e spirituale tra Lovecraft e Howard e dal carteggio tra lo stesso Lovecraft e Moore, Boselli li spedisce nel deserto del Nevada sulle tracce di una vecchia conoscenza di Harlan (e dei lettori di Lovecraft), il “dio” Nyarlathotep.
Di qui in poi, il racconto di Timothy/Boselli può essere apprezzato semplicemente come storia d’avventura dalle fortissime venature orrorifiche e genericamente fantastiche, come un omaggio – a un tempo professionale e amorevole – alla mitologia e ai modi della narrativa lovecraftiana. L’autore, però, va sicuramente oltre, e l’avventura dei nostri quattro protagonisti diventa riflessione sui meccanismi della scrittura, sulla figura dello scrittore popolare come artefice di mondi che divengono reali e vivi in funzione del talento del narratore (nella finzione del racconto boselliano sono in qualche modo davvero reali); il racconto assume poi i toni della rivendicazione d’intenti da parte di quel narratore la cui missione è far sognare i suoi lettori. Nulla di tutto ciò è particolarmente originale, va detto, e si può anzi affermare che nell’una come nell’altra lettura la storia risulti abusata, trita perfino; non si deve mai stancarsi di ricordare, tuttavia, che l’originalità non ha alcun valore sostanziale, e che quel che conta non è cosa l’autore narri, ma come egli lo fa.
Il racconto boselliano ha saputo restituire il vivido ritratto dei quattro scrittori rendendoli delle persone reali agli occhi del lettore: credibili sognatori con le loro personalità specifiche, le idiosincrasie, l’immaginazione sbrigliata; ma anche professionisti della penna alle prese con le difficoltà del mestiere e alla ricerca, talvolta spasmodica, dell’idea da trasformare in racconto o romanzo – ovvero in denaro, in vita quotidiana. Il Boselli di questa storia in due parti ne ricostruisce (con quella citata cura professionale e indubbio affetto) la psicologia e l’essenziale biografia, con una scrittura che è sì pletorica e a tratti anche prolissa, suo marchio di fabbrica, ma che diversamente dal suo Tex degli ultimi anni è controllata, senza ridondanze né inutili ripetizioni, o dialoghi gonfi di retorica fine a sé stessa. Ne risulta un racconto articolato, fluviale e senza meno barocco, ma di indubbio fascino – fascino dovuto in non piccola parte proprio a questo suo rendere omaggio a una narrativa che della ricchezza barocca faceva un proprio tratto distintivo.
Centrale per la storia e l’architettura narrativa costruite dall’autore è il sogno. Sogno che per quegli eletti che sono i “creatori di mondi” – i Lovecraft o gli Howard, ma anche eletti minori come i nostri quattro protagonisti – è a un tempo il meccanismo creativo e l’atto stesso della creazione. Nella nostra storia quei sogni, che ci vengono fatti vivere insieme ai sognatori, creano davvero tutti i mondi da loro immaginati; ma anche nella nostra quotidianità, immergersi nei mondi di fantasia offerti dalla grande narrativa popolare assume facilmente i contorni della concretezza, purché si sia disposti a lasciarsi trasportare dalla propria e altrui immaginazione: in questo siamo un po’ dei piccoli Nyarlathotep che collezionano costruttori di mondi.
Centrali sono i sognatori: Catherine, Leigh, Ed, Henry. Sono loro i “Dreaming jewels” del titolo posto a questa recensione, e che è il titolo di un romanzo di Theodore Sturgeon, uno dei maggiori autori del fantastico americano del secolo scorso, che fu coevo dei nostri quattro (il capolavoro di Sturgeon non ha nulla a che fare con questa storia, ma il titolo le calza a meraviglia). Sono i “Cristalli sognanti” della traduzione italiana, che schiudono i loro sogni per la gioia di tutti noi lettori.
Particolarmente apprezzabile l’equidistanza tenuta da Boselli rispetto all’annosa (e ammuffita) querelle su chi fosse il migliore tra Henry Kuttner e Catherine Lucille Moore, a chi spettasse il maggior merito dei capolavori scritti insieme dalla coppia dopo il loro matrimonio: le teorie più antiche volevano che toccasse a Henry, e inevitabilmente nei tempi più recenti la vulgata vuole che la migliore fosse Catherine. In realtà, quanto scrissero da soli prima di conoscersi ci restituisce due narratori superbi (ancorché in qualche misura acerbi, specialmente Henry che era il più giovane), che in coppia divennero ancora migliori, sotto qualunque nome o pseudonimo scrivessero. Similmente, nonostante le ripetute affermazioni contrarie di Nyarlathotep, Boselli mostra grande rispetto per l’opera del veterano Edmond Hamilton, e ne ha ben donde: sebbene di Hamilton vengano citate solo le opere più di consumo – i best-seller, potremmo dire – senza dubbio il co-creatore di Dampyr è pienamente cosciente del fatto che il meglio dell’opera hamiltoniana è nei racconti brevi, e che storie come “L’uomo che si evolse”, “Devoluzione” o “L’isola degli irragionevoli” non soltanto sono tra i più bei racconti fantastici degli anni ’30 del XX secolo, ma che ognuno da solo vale l’opera omnia di tanti scribacchini contemporanei.
Fondamentale l’apporto fornito alla storia da Nicola Genzianella, cui nel secondo albo si sono aggiunti Majo e Luca Rossi, e che ha(nno) saputo dar corpo concreto alla scrittura boselliana, ricreando in modo credibile l’ambiente dei tempi d’oro di Weird Tales e dei protagonisti di quei tempi, così come nelle scene più oniriche e horror ha(nno) saputo infondere alle tavole una coloritura senza dubbio non indegna di quella immanente presenza di Lovecraft che pervade tutto il racconto, come a suo tempo pervadeva l’opera dei suoi tanti discepoli e seguaci letterari.
Sono un sentimentale, e una storia che mi racconta con passione perché noi sognatori viviamo in ogni mondo possibile dove vogliamo vivere non può che conquistarmi in toto (e poco importa che siamo umili sognatori e non dei Grandi come HPL, Howard o anche i nostri quattro).
Vorrei chiudere con il breve poema che la terza figura titanica della Weird Tales di quei tempi, Clark Ashton Smith, assente in questa storia, dedicò all’amico e corrispondente Lovecraft, che pur non conobbe mai di persona, alla sua morte.
H.P.L.
“Outside the time-dimension, and outside
The ever-changing spheres and shifting spaces –
Though the mad planet and its wrangling races
This moment be destroyed – he shall abide
And on immortal quests and errands ride
In cryptic service to the kings of Pnath,
Herald or spy, on the many-spangled path
With gulfs below, with muffled gods for guide.
Some echo of his voice, some vanished word
Follows the light with equal speed, and spans
The star-set limits of the universe,
Returning and returning, to be heard
When all the present worlds and spheres disperse,
In other Spicas, other Aldebarans.”
Dampyr n.293 “Vacanza nell’ignoto”
Dampyr n.294 “Prigionieri su Yuggoth”
di Mauro Boselli, Nicola Genzianella, Majo e Luca Rossi
Sergio Bonelli editore, agosto – settembre 2024
98 pagine, bianco e nero, 4,90€