Con Sono una testa di panda, Keison Bevilacqua realizza per Bao Publishing un’operazione cui raramente si è assistito nel mondo del fumetto italiano, raccontando se stesso in una sorta di confessione intima lunga tutto un anno, in cui mette in scena la propria esistenza quotidiana.
Bevilacqua si racconta senza filtri, a parte la maschera da Panda (il suo personaggio più celebre) che sostituisce il suo viso, realizzando una sorta di percorso di autoanalisi, con l’emersione del suo rapporto con se stesso, affrontando le proprie ansie e inadeguatezze. Mettendo in scena la propria vita professionale e privata, costruisce una riflessione anche sulla professione dell’autore di fumetto, rivelando i retroscena dietro alla realizzazione delle sue opere e i rapporti con il mondo delle nuvole parlanti. Particolarmente gustose le scene dedicate ai suoi esordi – decisamente fortunati – e i rapporti con i lettori sui forum, sempre altalenanti, ma che Keison affronta con la dovuta ironia e leggerezza, in contatti che a volte diventano straordinari, soprattutto quando si scopre quanto si è importante per i propri lettori.
Traspare anche la fatica della professione, nonostante la consapevolezza che diventando un autore di fumetto si è riusciti a realizzare la propria massima aspirazione.
Nel trascorrere dei mesi, Bevilacqua sembra non nascondere nulla al lettore: gli incontri con i medici, le sedute con la psicanalista, i ricordi d’infanzia con la propria famiglia e la quotidianità attuale con il figlio piccolo, i ricordi dei viaggi con la propria compagna. Lo scorrere placido del tempo è inframmezzato dalle tavole di A Panda Piace.
Anche nel racconto lungo, Bevilacqua non perde mai la costante ironia e il buffo umorismo che contraddistingue A Panda Piace, la cui genesi è raccontata anche attraverso una breve storia di ZeroCalcare; fanno invece da contrappunto altre pagine decisamente più profonde e malinconiche, come il ricordo di Lorenzo Bartoli, sceneggiatore delle sue prime storie a fumetti. Emergono poi le passioni dell’autore: la musica (estremamente importante per chi come lui proviene da una famiglia di compositori), i videogiochi, l’ossessione per i platani – alberi rei, con la loro presenza ingombrante, di inquinare Roma e i suoi abitanti. E poi il rapporto con i lettori quando si fanno i disegnini alle fiere.
Lo stile grafico di Bevilacqua notoriamente è un mix di diverse influenze, e soprattutto agli inizi richiamava l’estetica manga: ora ci sembra che emerga una grande capacità di sintesi – dimostrata anche dai suoi incantevoli acquarelli – sempre gradevole, aspetto che gli consente di collaborare con più realtà editoriali, mantenendo una coerenza stilistica invidiabile. In Sono una testa di panda ad emergere sono ovviamente altri aspetti: la consapevolezza della precarietà che dobbiamo tutti quanti affrontare, il coraggio di fermarsi e di cercare intorno a sé chi e cosa ci può sostenere, e soprattutto la grande umanità di un autore unico nel panorama fumettistico italiano.