L’ultima stazione

Sullo sfondo delle imminenti guerre apache, Magico Vento e Poe, eroi cambiati.

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1882.
In cielo non c’è più traccia della cometa di Halley, della sua lunga e abbacinante coda di stupore, paure e nefaste profezie. Al suo posto, un anno dopo, solo stracci di nuvole e sole, che inonda della sua essenza le alture della Sierra Madre e le umili case, i volti, le intenzioni degli abitanti de la Fortaleza: l’impenetrabile rifugio offerto dalla natura messicana all’imponente e scaltro capo apache Juh per condurvi in salvo la sua gente, per sottrarla alle affilate grinfie dei soldati americani e dei rurales, per accogliervi i ribelli fatti fuggire da Geronimo dall’inferno della riserva di San Carlos; il paradiso capace di avere temperature miti in inverno e di presentarsi verdeggiante finanche nel mezzo della stagione più torrida; la base dalla quale muovere per mettere a segno razzie a nord o a sud del Rio Grande; l’ardito esperimento teso a riunire e a far coesistere tribù tra loro irrimediabilmente diverse e ostili; il luogo dove consentire ai vari clan la possibilità di crescere liberi i loro figli, di concepire e realizzare una comunione spirituale e guerriera; alla fine, forse, soltanto il visionario tentativo di allontanare lo scontro cruciale tra gli Apache e i loro nemici, di opporsi all’ineluttabile…
È qui che ritroviamo Magico Vento.
Qui, dov’era diretto più di quattro anni or sono, al tramonto dell’ultimo degli albi che hanno preceduto questa nuova, splendida miniserie dedicata alle superbe avventure sue e del suo amico fraterno Willy Richards detto Poe; in uno scenario fortemente striato dalle atmosfere e dai colori caldi e intensi delle imminenti guerre apache…

Ned e Poe, eroi cambiati

L’impervio cammino per la Fortaleza

Ancor più delle vicende narrate, ancor più dei colpi di scena e del bel finale, a restare nella memoria come un’eco dolce e interminabile una volta completata la lettura, è l’ulteriore, decisiva progressione del processo di evoluzione dell’universo interiore dei nostri, il suo essere giunto a uno stadio pressoché conclusivo.
Ned e Poe sono cambiati, differenti.
Sono uomini, non freddi e imperturbabili monoliti.
E in quanto tali si sono nutriti del loro passato e del loro presente, delle tante storie scritte di loro pugno, delle conquiste e delle piccole e grandi sconfitte che hanno inciso loro pelle e anima.
Così, eccoli offrirsi per ciò che sono diventati.
Due eroi disillusi.
Che, al declino di un’epoca, lottano ancora disperatamente, certo, contro i consueti, giganteschi mulini a vento, ma sapendo ormai alla perfezione di non poterli superare, di non avere più alcuna speranza di sottrarre alla loro vorace e invincibile ombra i nobili ideali da sempre perseguiti: la pace, la giustizia, la salvezza degli indiani oppressi dalle squallide speculazioni dei bianchi, la strenua difesa delle classi sociali più deboli, adesso minacciate anche dall’inesorabile avvento della meccanizzazione del lavoro.
Eccoli procedere di nuovo insieme e allo stesso tempo costantemente separati – non si incontreranno mai, neppure spiritualmente, per l’intera durata del racconto -, lanciati nel loro folle volo, lungo le rotte distanti e parallele delle rispettive, impossibili imprese

Magico Vento è stanco.
Stanco di combattere, di impugnare le armi, di ammazzare – nell’arco dei tre albi, sparerà uccidendo soltanto quattro volte -; è in cerca di silenzio, di pace, di amore, di un mondo in cui non ci sia più il bisogno di ricorrere alla violenza per affermare le proprie ragioni; di un mondo che in cuor suo sa che non vedrà mai… I venti tesi di un ennesimo, incombente conflitto tra il suo popolo e le giacche blu guidate dal generale Crook non riescono a spazzar via questi suoi pensieri, radicati e profondi. Vuole un figlio, un erede cui trasmettere tutta la propria esperienza, cui insegnare ciò che la sua esistenza gli ha permesso di comprendere.
Perciò si interroga, Ned, scruta ripetutamente dentro di sé mosso dall’urgenza di risposte che possano placare la sua inquietudine. E nel farlo non si nasconde, non ha vergogna di mostrare il proprio stato d’animo alle persone cui concede fiducia: non cela al saggio Nana la paura di essere sterile, un albero senza frutti; non cela a Lozen i suoi dubbi, i suoi timori sul futuro… Fino a che, nella solitudine notturna di una montagna della Sonora somigliante a quella sacra dei Lakota, non sarà lo spirito di Cavallo Zoppo a indirizzare i suoi passi lontano dalla sorella di Victorio, tra le braccia di Estrella, verso il domani che lo attende…

Notte di pace

Poe pare più simile a se stesso, a quello che è sempre stato.
Perennemente all’inseguimento della verità, si precipita a percorrere l’itinerario segnato sulle sue mappe per portare a compimento gli incarichi assegnatigli da Crook: guidato dal suo acume, senza disdegnare di mettere mano alla sua Sharps calibro 32 quando necessario, egli punisce il papago Con Quien, autore – assieme a novantadue dei suoi uomini e a rancheros messicani – dell’ignobile strage degli indiani Aravaipa consumatasi a Doubtful Canyon, nei pressi di Camp Grant, nel 1871; scava fino a portare in superficie il marcio che si annida tra gli uffici e le distese di terra e rocce della riserva di San Carlos; si indigna di fronte alla morte di Jesse James, vigliaccamente ucciso da Bob Ford, un componente della sua banda vendutosi all’agenzia Pinkerton…
Sì, il grande giornalista, il nemico giurato dell’indimenticabile Howard Hogan, sembra non essere stato scalfito dal fluire degli anni, dai mille chilometri lasciati alle spalle, dagli innumerevoli avvenimenti e pericoli affrontati.
Già, sembra.
Perché in realtà, oltre l’apparenza, anche lui si trascina dietro il pesantissimo fardello della consapevolezza, della certezza che il suo sbattere e sbattere e sbattere come le onde di un mare in tempesta non avrà mai la meglio sull’imponente e indistruttibile scogliera dell’ingiustizia, della corruzione, del malaffare… Anche lui si scopre fragile e impreparato nel fissarsi allo specchio, nell’indagare su se stesso, nel decidere come dover agire nei confronti dell’amata Chona, vedova papago, e di sua figlia Josepha, che lo considera un secondo padre. Si scopre turbato, profondamente segnato dal dover scegliere tra sé e loro, dall’assoluta contezza che i sentimenti provati per quelle due donne non potranno prevalere sulla sua natura, sul suo irrefrenabile istinto di uomo libero…

La locomotiva

Willy Richards detto Poe

Li osserviamo comodi, all’interno dei lussuosi vagoni di una narrazione organica, spettacolare – esaltante la lunga, magistrale messa in scena dello scontro tra i guerrieri di Chato, Geronimo e Magico Vento e i soldati del tenente McDonald e del colonnello Forsyth, impreziosita da controcampi e inquadrature che ne rendono la fruizione avvincente e velocissima -, dove la successione degli eventi è scandita da un ritmo selezionato con sapienza, dove non c’è spazio per inutili soste, per momenti che fungano da mero riempitivo. Dove spiccano le meravigliose figure femminili, da Estrella a Maria, la sua piccola e sveglia aiutante, da Lozen a Walpi, da Chona a Zerelda James, madre di Jesse; dove ogni personaggio è tratteggiato, definito volumetricamente in modo efficace per mezzo di una sempre adeguata concatenazione di dialoghi e silenzi, di decisioni e gesti che ne evidenziano ogni sfaccettatura caratteriale; dove non manca mai la luce necessaria per muoversi agevolmente ed esplorare i meandri dei loro rapporti tutt’altro che banali, nei quali il bene e il male sovente si confondono, si intrecciano, scivolano attraverso la trama intricata e le mille pieghe di variopinti tessuti sociali, fino ad arrestarsi e farsi trovare in punti in cui non sarebbe lecito aspettarseli…
E anche nei tratti in cui la prepotente locomotiva del racconto dà l’impressione di tirare il fiato, quando le armi, l’odio, la follia tacciono, lungo i binari non muta l’incanto dei paesaggi circostanti, celeri nell’offrire – a mo’ di impressionistiche istantanee – pagine in cui scorre immediata e realistica la vita dei protagonisti, quella di ogni giorno, dura e semplice, atroce e gentile. Come la cerimonia di purificazione della giovane indiana Walpi, preceduta dalle sue lacrime scintillanti del terrore di non essere accettata – senza di essa, porta per l’età adulta – dal resto del suo clan e seguita dal complicato desiderio della ragazza di autodeterminarsi, di affermarsi come donna capace di scegliere per se stessa in ogni situazione, di decidere di lasciarsi vincere dalle lusinghe amorose di un corteggiatore senza che nessuno, nemmeno suo fratello maggiore Angel, si senta in dovere di doverla proteggere…

Battaglia!

Come il bagno in una pozza ghiacciata di Ned e Geronimo, i loro scherzi nell’acqua, la loro capacità, anche se per pochi attimi, di scordarsi di essere dei totem in carne e ossa, continuamente chiamati a dimostrare il proprio valore; come i delicati meccanismi che marcano gli scambi tra le donne, le complesse relazioni tra loro e i maschi, tra i molteplici capi indiani. Come i fotogrammi dalle tenui tonalità pastello di un Ned inedito, intento a conoscere suo figlio Alejandro, a giocare con lui, a farlo addormentare; di un Ned che alla luce della luna cede alla stanchezza nell’hacienda di Estrella, ricambiando lo sguardo della Vergine Maria ritratta in un quadro appeso sopra alla testata del suo letto…

Quando il viaggio giunge al termine, quando il camino della locomotiva smette di eruttare e vapore e fumo si perdono lenti tra i cartelli e gli edifici che costeggiano la ferrovia, non uno dei passeggeri accenna ad abbandonare il suo soffice sedile, a prepararsi a scendere. Non è una certezza, la loro. Piuttosto una gradevole, nitidissima sensazione. Secondo cui l’ultima stazione, quella autentica, è ancora distante. Perché Ned ha trovato la pace e l’amore che bramava, è vero. Ma mentre immagina le proprie radici penetrare e inabissarsi nella terra fertile dell’hacienda, mentre culla il suo bambino, mentre bacia sull’uscio di casa la donna che intende sposare, è del tutto cosciente del fatto che nulla è stato deciso in modo risolutivo.
Che del suo passato non riuscirà mai a liberarsi.
E che esso, presto o tardi, tornerà a cercarlo…

Uno strepitoso Perovic!

Estrella, Magico Vento e Alejandro, il loro figlio

Magnifica.
Non c’è altra definizione che possa qualificare in maniera migliore l’opera di Darko Perovic. L’artista serbo, che nel 2019 aveva già firmato la tetralogia di Magico Vento – Il ritorno, ha posto al servizio della sceneggiatura tutto il suo smisurato talento, riproducendola in immagini dal fascino straordinario.
Incastrata in un telaio nero, classica o parzialmente libera dalla gabbia bonelliana, ogni vignetta è nient’altro che una sontuosa vetrina davanti alla quale è assai piacevole soffermarsi senza badare allo scorrere del tempo per ammirarne il contenuto: la fiera, aspra bellezza della Sierra Madre, gli occhi e i lineamenti di Zerelda James, inermi prigionieri di un infinito dolore; la poesia delle sequenze notturne, la delicatezza di quelle d’amore, l’adrenalinica icasticità di quelle colme d’azione; il ributtante aspetto delle incalcolabili concretizzazioni della malvagità umana; l’estrema crudezza delle diverse articolazioni di San Carlos, dei conflitti a fuoco e delle loro conseguenze; la precisa resa degli abiti e delle armi; la rappresentazione mai banale dei poteri sciamanici di Lozen e di quelli via via più difficili da prevedere e controllare di Magico Vento; l’eccellente recitazione di ogni personaggio, la potenza della loro caratterizzazione fisica, della loro struttura psicologica, dei loro comportamenti, delle loro espressioni, dei loro legami proteiformi…
Si sa, la perfezione non è merce rinvenibile in questo mondo.
Eppure è assai complicato non indulgere nel corteggiamento di un simile concetto per valutare, nell’occasione, il lavoro di questo grandissimo disegnatore.

L’omaggio a Tex e a Galep

Stupende la prima e la terza delle copertine realizzate da Corrado Mastantuono.
La numero 1 – reinterpretazione di quella dell’albo n.190 di Tex, El Muerto – è uno degli omaggi dedicati dalla Sergio Bonelli Editore ai settantacinque anni di Aquila della Notte e alla sublime arte del suo creatore grafico, l’immenso Aurelio Galleppini.

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