Nathan Never n.391
È più facile fare l’astronauta!

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Com’è noto, l’universo neveriano nasce con una decisa impronta dinamica: cose e persone evolvono, i grandi eventi affondano le loro origini nel passato, ed hanno ripercussioni tanto nel breve quanto nel medio/lungo periodo (a volte anche centinaia di anni nel futuro!), e finanche lo scorrere del tempo è un fattore non (del tutto) inerte.

La “cronologia interna” di tale universo ruota attorno ad un anno particolare: il 2024. Pochi anni dopo l’esordio in edicola del personaggio, Vigna alzò il sipario sulle origini di quella Grande Catastrofe che aveva sconquassato il pianeta fin dalle fondamenta. Nel racconto, l’allora papa Gregorio XVIII, in analogia con il suo predecessore sul soglio petrino, propose una nuova riforma del calendario riportando il calendario indietro di 78 anni, dal 2024 appunto fino ad un “nuovo” 1948.  

Con l’approssimarsi del 2024 anche nella realtà, diventava quindi critico affrontare questo “nodo narrativo” così particolare. In particolare, ci si proponeva di perseguire due obiettivi apparentemente antitetici: da un lato mostrare come il futuro di Nathan fosse la reale conseguenza del nostro presente; dall’altro, fare comunque in modo che la sua linea temporale e la nostra si mantenessero differenti tra loro.

La domanda è in realtà in parte oziosa, dato che sin dai tempi del terzo gigante Serra calò l’asso delle linee temporali alternative, che più volte ha permesso di salvare capra e cavoli (a partire dalla macro-trama legata ai Tecnodroidi) grazie all’assunto della compresenza di più futuri possibili all’interno presumibilmente di un meta-verso composto da un numero indefinito di universi paralleli (leggere a tale proposito anche qui per un ulteriore “chiarimento” da parte degli autori).

Il lascito di questa manovra narrativa è stato gestito in maniera diseguale nel corso del tempo, e nei tempi più recenti l’unico dubbio che rimane a tale proposito è quello relativo alla continuity privata che Vigna sta portando avanti in maniera progressivamente stringente, sin dal secondo Almanacco, passando per il n.300 fino alla più recente miniserie “missione Giove”.

Lo stesso Vigna continua a parlare di più linee temporali in “Stazione spaziale internazionale”, primo dei tre albi speciali che, in altrettanti anni, hanno sancito la collaborazione tra la testata e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Nella storia in questione Nathan fa l’esperienza di un inaspettato viaggio indietro nel tempo – reso possibile anche grazie a quella misteriosa stringa di energia che aveva dato origine allo spin-off “Asteroide Argo” –, approdando nello spazio cislunare della nostra epoca e arrivando ad incontrare il “nostro” astronauta Luca Parmitano.

Come raccontato dal redattore capo centrale Luca Del Savio nella rubrica Alfacom, l’intenzione di dare un seguito a quell’incontro di matrice meta-fumettistica era sì forte tuttavia, al di là delle prevedibili difficoltà per “incrociare le agende”, era necessaria una valida idea su cui poggiare la collaborazione – che stavolta avrebbe visto Parmitano nelle vesti non solo di co-protagonista, ma anche di co-autore (da cui la sua conclusione che dà il titolo all’articolo). Ad affiancarlo è infatti tornato in campo lo stesso Serra e, sempre nel citato redazionale, si parla di come la difficile gestazione della storia risiedesse, al di là della congerie di spunti da armonizzare, anche nella sua forte dipendenza da eventi reali, come la missione Artemis 1 del Novembre 2022.

Ciò detto, sulla tavola gli ingredienti per tirare fuori un albo davvero speciale c’erano tutti, dalla presenza di Parmitano ai riferimenti a Hyperion di Dan Simmons (testo seminale per la space opera per come la si intende oggi), dal riferimento specifico alla Grande Catastrofe al controllo dei rimandi interni alla serie. Eppure, il tono generale della vicenda sembra prendere tutt’altra strada, specialmente nella seconda parte, faticando così a mantenere ciò che (per quanto involontariamente) era stato promesso.

Dal punto di vista della tensione climatica, il primo terzo della storia va in crescendo, e la verosimile descrizione della reazione e del comportamento delle varie agenzie spaziali di fronte ad un evento pur sconvolgente come quello narrato, fa pensare come il contributo di Parmitano sia stato più rilevante. Il climax vero e proprio si mantiene quindi da quel punto fino a circa metà della storia, ossia da quando Nathan (in un modo o nell’altro) entra in scena.

Qui Serra dà un colpo al cerchio e uno alla botte: se da un lato infatti opera di fatto, in maniera estremamente plausibile, una ret-con circa le origini della Grande Catastrofe, dall’altro si perde in derive para-scientifiche circa l’unicità/molteplicità del continuum e delle linee temporali, i danni derivanti dai viaggi nel tempo, la presenza di punti fermi nello spazio-tempo che sono destinati – pur se con modalità differenti – ad avvenire comunque, e infine la volontà di riscrivere il destino. 

Al di là della ricerca di coerenza con quanto lo stesso Serra aveva introdotto alla fine del terzo gigante, la suggestione che questo delicato passaggio porta con sé, mostra com’è prevedibile la corda ad una seconda lettura, e la presupposta logica argomentativa che Nathan sciorina di fronte al top degli scienziati dell’intero pianeta risulta in realtà un gigante dai piedi d’argilla. A questo si aggiungono anche un paio di vistose leggerezze sul piano della sceneggiatura, come la (non) spiegazione di come la tecnologia ad entropia inversa possa funzionare pur con i limiti della tecnologia attuale.

Nella seconda metà, la storia si abbandona al Serra-pensiero, focalizzandosi sugli aspetti intimistici tanto cari all’autore, il quale accompagna Nathan in questo sogno ad occhi aperti nella Terra del passato, concedendogli un tempo di stupore e riappacificazione con se stesso. 

Lo scioglimento della vicenda sembra quindi andare in diminuendo, con Nathan da un lato che scende nelle viscere della terra in una sequenza altamente alla “ ‘o dimo” di Borisiana memoria, e l’autore dall’altro che non riesce a non infilare il “solito” paradosso temporale, derubricato tra l’altro con fin troppa facilità. Tutto ciò rischia di far perdere di valore anche a quello che, a detta di chi scrive, è il vero e proprio “atto di coraggio” che Serra compie, rivestendo di canonicità gli eventi (e le conseguenze) narrati a suo tempo nel secondo team-up tra Nathan e Martin Mystère. 

Il finale riprende poi un’altra suggestione che è possibile annoverare tra i cavalli di battaglia di Serra: il futuro è un luogo utopico di meraviglia e di speranza, sulla scia della più famosa “Città del Sole” sognata, ipotizzata e descritta da Tommaso Campanella.

Sul contributo di Sergio Giardo c’è ovviamente ben poco da dire: in quanto attuale copertinista della serie, il “suo” Nathan è inevitabilmente per molti versi la cifra rappresentativa della testata, sebbene i disegnatori della “vecchia guardia” come Bonazzi, De Angelis, Toffanetti o D. Bastianoni continuino, pur con alterna regolarità, a mantenere una qual continuità grafica con il passato. E proprio a tal proposito, essendo stato Giardo ad introdurre Parmitano nell’universo neveriano, solo a lui sarebbe potuto spettare il compito di rimettere in piedi questo anomalo quanto patriottico dream team.

Per apprezzare appieno questa storia, non si può che considerarla un “what if” pur all’interno della non ottimale gestione delle tematiche di natura spazio-temporale, portata avanti nel corso degli anni. Come detto, l’aspetto intimistico alla fine prevale su quello puramente drammatico, e in fin dei conti non è detto che ciò sia un male: dipende dalle aspettative con le quali il lettore si pone di fronte ad una storia del genere. Il tema critico “2024 anno della Grande Catastrofe” avrebbe tecnicamente meritato di essere trattato in maniera più epocale, marcando quindi la contiguità tra la nostra realtà di lettori, e quella di Nathan come personaggio letterario, ma forse questo è già stato fatto a suo tempo con il citato team-up a firma di Beretta. Seguendo questo ragionamento, deve essere allora questa la ragione per cui Serra ha preferito puntare l’attenzione sul “piccolo” anziché sul “grande”, ricordandoci in qualche modo che anche il più minuto degli eventi sottende al miracolo dell’unicità della combinazione di circostanze precedenti che hanno portato in quel luogo, in quel momento, quel dato soggetto a compiere quella data azione.

E in fondo, l’abbraccio sincero tra Luca e Nathan ci dice proprio questo.

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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