“Il cecchino” di Paolo Ongaro

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“Il cecchino” di Paolo Ongaro potrebbe essere uno di quei fumetti ‘one-shot’ che molti definirebbero “banale”. Molti amici e conoscenti con cui ho condiviso questo pensiero mi hanno confermato questa visione, perché trovano la storia “già vista”, “già letta”.

Eppure, io qualcosa di speciale l’ho intravista e molto probabilmente sono uno di quei pochi che lo definisce interessante, con diversi punti di focus su cui potersi soffermare e ragionare.

Cercherò quindi di delineare una struttura che possa rivedere alcuni aspetti. Una critica insomma.

Ongaro non è un nome che risuona “nuovo”, anzi: la sua vita nel panorama del fumetto italiano (ma non solo) è ben radicata in questo lavoro. Di lui si afferma che è stato il primo autore italiano a pubblicare nel mondo del fumetto cinese, oggi non più l’unico, ma sicuramente è stato un antesignano in questo.

C’è un bell’aneddoto a questo proposito, da raccontare sull’avventura cinese di Ongaro, ma non lo riporto qui altrimenti rischio di dilungarmi troppo. Ma condivido una tavola così da incuriosire il lettore. Se qualcuno fosse interessato a questa vicenda, consiglio di leggere l’intervista realizzata ad Ongaro a cura di Luca Raffaelli nella rubrica “Nuvolette” nel n.2479 di Lanciostory.

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Disegnatore e sceneggiatore imperterrito, ha dato il suo contributo a diversi personaggi e testate ben conosciute. Da Topolino a Martin Mystère, con altre incursioni di personaggi Disney e Bonelli oltre quelli già citati.

Da Intrepido a Lanciostory la sua carriera è disseminata di storie, scritte e disegnate, amate e odiate, di belle e sicuramente di meno interessanti. Questa breve premessa per introdurvi l’autore di questo breve fumetto composto da 12 pagine e pubblicato sul numero 2481 di Lanciostory, uscito nell’autunno del 2022.

La versione che invece posseggo nella mia libreria e che mi ha permesso di leggerlo è incastonata nella Raccolta di Lanciostory n. 652 del dicembre 2023 (mi sembra giusto citare la pubblicazione corrente). Detto ciò – e fatte le dovute presentazioni e citazioni – passiamo all’analisi della storia.

Ci troviamo nel 1945, in piena Guerra Mondiale, nella seconda per essere precisi. Anche se cambia poco il numero, la guerra è sempre una brutta cosa da raccontare!

Il soldato Hardy Allan, classe 1924, è un tiratore scelto dell’esercito degli Stati Uniti. Si trova sul campo di battaglia da diversi anni, così tanti da assegnargli, forse e soprattutto per la sua esperienza, il ruolo citato.

In guerra, spesso capita che le fazioni che si contendono un territorio decidano di fare un giorno di tregua. I motivi sono diversi, ma in alcuni casi lo si fa per crearsi del riposo. Regola vuole che quando si stabilisce questo fatidico giorno, nessuno – da entrambe le parti – può aprire il fuoco o attaccare o fare qualsivoglia altra cosa a discapito dell’altro.

Succede però che il soldato Allan, nella sua postazione – da solo, nel giorno di tregua – veda arrivare in lontananza un soldato tedesco. 

Cosa fare? Da questo momento in poi tutto si complica.

Il modo in cui l’autore scrive e disegna queste poche pagine è davvero bello. C’è una crescente e dinamica percezione che crea delle belle emozioni. Tanto che a un certo punto mi chiedo: ma da che parte mi devo porre, dalla parte giusta o sbagliata? E qual è quella giusta e quale quella sbagliata? Ecco, il gioco delle parti che ne scaturisce entra bene in testa tanto da rendere le 12 pagine esaustive perché ben studiate, ma alla fine della lettura, avresti voglia di continuare a leggere e far sì che la storia continui e si possa evolvere in qualche modo. Molte volte non è importante il fine che si raggiunge, bensì il modo in cui lo si fa. Paolo Ongaro arriva a “quel fine” attraverso la sua sagace esperienza da fumettista e mettendo in scena un momento toccante di una scena di battaglia.

Non vi svelerò cosa succede da quando il soldato Allan avvista il soldato nazista, perché protrei fare peccato dinanzi agli Dèi del fumetto, spoilerando il momento chiave della storia, ma la cosa che dovete sapere e di cui mi accingo a parlare sta nel suo “atto” di umanizzazione.

Tendenzialmente la cosa giusta da fare sarebbe una, quella più democratica e giusta: riuscire a catturare il soldato nazista e farlo presentare davanti a una commissione di giustizia per, eventualmente, accusarlo dei reati commessi. Nella storia questo non succede e l’umanità di cui accennavo prima è il motore centrale, seppur invisibile, del racconto. La scelta che prenderà il soldato statunitense non è né corretta, né sbagliata.

È una decisione dettata da fattori che nel campo di battaglia nessuno di noi riuscirebbe a gestire. Restare concentrato e far funzionare razionalmente la mente è cosa assai difficile, soprattutto in momenti pieni di adrenalina.

La scrittura di Ongaro non è difficile da recepire, nel senso che non ci sono sottostrati nella narrazione che ti fanno arrovellare il cervello, ma la sua è – nella struttura generale – molto lineare. Ciò che personalmente ho apprezzato molto è la cosiddetta “morale” o “il messaggio” che lo stesso ha voluto condividere con i lettori. Quel che resta è la bella trasposizione di alcune emozioni: la paura, la solitudine, il senso di disorientamento. La morte, che aleggia nell’aria, quasi a sentirne l’odore mentre sei lì, con gli occhi nel mirino a capire cosa fare nel mentre l’avversario si avvicina a te…

Questa storia mi ha fatto balzare in mente il graphic novel di Garth Ennis, Sara, disegnato splendidamente da Steve Epting. Anche in questo caso si parla di Seconda Guerra Mondiale, di una cecchina e di nazisti. È la storia ispirata alla vita di Lyudmila Pavlichenko, soldatessa dell’Armata Rossa che diventerà famosa per aver ucciso molti soldati tedeschi (309, quelli confermati). 

La cecchina più letale della storia.

Chiudo e, nel farlo, ricordo come importante sia il modo in cui gestiamo il nostro “atto” del pensare. Una storia può essere bella, ma anche brutta: ciò che fa spesso la differenza è il senso di “riflessione” che essa ci lascia. Come scriveva il grande romanziere Raymond Carver, gli influssi che non ci accorgiamo di ricevere, un giorno o l’altro, usciranno fuori e ci faranno ricordare tutto ciò che in passato abbiamo palesemente fatto finta di dimenticare.

Il soldato Hardy Allan in questa storia non dimentica, perché sa, in fin dei conti, che prima o poi tutto riemerge a galla.

Michele Tarzia

Vivo nell'ombra dei miei pensieri, ai margini della mia memoria

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