“E alla fine muoiono” di Lou Lubie

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Si dice favola, o fiaba? Qual è la differenza tra le due cose? Qual è l’origine delle storie? A chi sono rivolte? Come si creano? Qual è (se c’è) il loro reale significato?

La narrazione orale è una pratica che caratterizza e accompagna l’uomo da quando ha fatto la sua comparsa nella Storia, e in ogni civiltà è possibile trovare racconti che rimandano più o meno ad archetipi strutturati e condivisi. Nondimeno, i fenomeni migratori dell’uomo nelle varie epoche hanno fatto sì che questi stessi racconti si siano diffusi, e quindi modificati, diversificandosi a volte anche in maniera rilevante.

Il passaggio dalla forma orale alla forma scritta, per opera di una serie di autori sia maschili – Basile, Perrault, i fratelli Grimm – che (sebbene meno famosi) femminili – Němcová, de Villeneuve, de Beaumont – ne ha codificato tutta una serie di elementi costitutivi. Da lì, l’evoluzione dei media ha causato ulteriori reinterpretazioni dei materiali originali – un nome per tutti: Walt Disney – plasmando la sensibilità del pubblico (e subendone a sua volta l’influenza) fino ad arrivare allo scenario contemporaneo, in cui ci poniamo rispetto alle favole/fiabe in maniera del tutto peculiare rispetto al passato.

La fumettista francese Lou Lubie si propone ancora una volta come autrice completa, presentando questa volta un’opera che in realtà è un vero e proprio saggio sulla natura e l’evoluzione delle favole. La materia viene trattata in maniera puntuale ma anche smaliziata, giocando su molteplici registri narrativi che strizzano l’occhio a molte delle caratteristiche dei linguaggi contemporanei, e alternando testo e immagini in maniera fluida, senza una rigida costruzione della tavola (anzi, vignette in senso classico sono pressoché assenti), riuscendo a rapire il lettore anche e soprattutto grazie al suo tratto caricaturale ma non troppo, essenziale eppure espressivo, semplice eppure dinamico.

I diversi capitoli dell’opera mettono in risalto molti degli aspetti fondamentali della materia, puntando il dito sugli aspetti religiosi, razzisti, sessisti, mitopoietici, fino alle derive psicoanalitiche degli ultimi due secoli. Per ciascuno di questi, l’autrice introduce una specifica favola, più o meno nota, invitando ogni volta alla riflessione su quali siano i reali elementi costitutivi, sia intrinseci che esogeni – legati ossia alla sensibilità dell’autore che, di volta in volta, l’ha rimodellata sulla base del proprio vissuto personale, ma soprattutto culturale.

Ancora una volta quindi un sentito plauso va ai tipi di Bao, che hanno dato alle stampe un’opera che definire “a fumetti” sarebbe riduttivo, ma che anzi ha poco da invidiare ai testi più paludati in materia di tradizione e narrazione, prima orale, poi scritta, quindi per immagini, e che di certo non nasconde, seppure in maniera divertita, il suo intento (anche) pedagogico.

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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