Confesso di non conoscere la produzione precedente di Michel Rabagliati, cinquantenne autore canadese che vent’anni fa ha iniziato a raccontare – romanzandola – la sua vita, chiamando Paul il proprio alter-ego e declinando le storie (inedite in Italia) secondo tappe da cui siamo passati tutti: in campagna, durante i lavoretti estivi, celibe in appartamento, poi in coppia ecc. E ammetto che sono stato incuriosito dal formato – ibrido, né fumetto né illustrazione, ma i due media combinati assieme – e dal disegno a matita (e siano ancora lodate le librerie dove, cercando qualcosa, si scopre altro).
Come Rabagliati svela nella breve prefazione, nel momento in cui ha iniziato a suddividere la pagina in vignette queste gli sono sembrate troppo vincolanti per rappresentare la natura, e la china e il pennello «duri e radicali». E non possiamo che ringraziarlo dell’audacia, che ricorderà ai lettori italiani la magia grafica de Il porto proibito di Radice & Turconi (la matita non lascia scampo: non si corregge poi, non si copre con colori sempre più digitali) ed essere d’accordo con lui per la scelta.
Perché nelle infinite possibilità e variazioni della mina, la Natura si disegna maestosa, relativizzando le paturnie e i drammi umani, in tre giorni durante i quali Paul (Michel) si ritrova in un’isola selvaggia con la figlia, regalo di compleanno, cercando di ricomporre non il legame filiale (questo solido e temprato) ma il proprio passato e forse anche il futuro.
E chi scrive ha adesso una buona ragione per recuperare i volumi precedenti.