Valter Buio è stata una miniserie composta da dodici albi, pubblicata tra il marzo 2010 e il febbraio 2011 da Star Comics.
La presentazione del protagonista da parte della casa editrice, “lo psicanalista dei fantasmi”, mi ha sempre dato l’idea di un personaggio un po’ posticcio, senz’altro poco attraente, creato come altre serie del passato sulla falsariga del ben noto Dylan Dog. In più, la richiesta di un onorario di 90 euro a seduta mi ricordava tremendamente le 50 sterline al giorno (più spese) del famoso indagatore dell’incubo.
Niente di più sbagliato. Valter Buio è un personaggio che vive di vita propria e, tranne qualche lieve sfumatura, poco ha da spartire con il character sclaviano.
Alessandro Bilotta ha le idee chiare su come caratterizzarlo: Valter è un personaggio debole, sensibile, poco socievole, appeso ad un passato che non può e non vuole lasciare, tormentato da incubi strettamente legati con il presente. La sua professione, se di professione si può parlare, non è assolutamente finalizzata ad un ritorno economico (non pagano i vivi, figurarsi i defunti) quanto ad un percorso interiore per sconfiggere i propri fantasmi e cercare di risolvere i traumi che continuano ad affliggerlo.
La continua ricerca della solitudine lo spinge ad ascoltare solo le voci di chi non c’è più, a comunicare con un mondo invisibile agli altri. Da subito emergono due figure che lo accompagneranno in tutti gli episodi della serie. Il conte Balestra, medium che aiuta le anime tormentate a mettersi in contatto con Valter, rappresenta il suo unico fidato amico e, spesso, si raffigura come la voce della sua coscienza: squattrinato e pieno di debiti, donnaiolo impenitente, è a metà tra una figura paterna e un fratello e gli sarà vicino sino all’epilogo. La dolce Cecilia è la segretaria di Valter, da subito palesemente innamorata di lui: ragazza di una bellezza pura e sincera, senza filtri, proverà ad essere per lui quel salvagente cui aggrapparsi per non affondare in un passato doloroso e in un presente non meno difficile. I clienti di Valter sono chiamati da lui “inconsci”, sospesi in un limbo tra la vita e la morte, perché devono risolvere un evento traumatico che li trattiene ancora in questo spazio indefinito. Anime in pena, rabbiose, o solo spaventate, sono il motore per le storie vissute dal nostro psicanalista, anime immerse nel proprio dolore e nella propria tragica fine. Ma la loro è una paura solo apparente, che resta in superficie, perché l’origine non è nel futuro ma sempre nel passato e, come ci dice lo stesso Bilotta, <<chi ignora il futuro non ha più nulla da temere>>. Per loro c’è sempre un qualcosa da mettere a fuoco, qualcosa che non ricordano o che hanno sepolto nella tragicità degli eventi che hanno vissuto. Il loro dramma coinvolgerà sempre Valter in prima persona, fino alla metabolizzazione del fatto accaduto e del perché sia accaduto.
Roma fa da sfondo a tutte le storie, una città ben poco rassicurante, talvolta ostile, sempre protagonista. C’è una solitudine quasi insopportabile, anche nei momenti meno oscuri, come una gita al mare o una passeggiata nel parco. Una città eterna che si sgretola pian piano…
Al di là della bellezza delle storie narrate, quello che più mi ha colpito è la profondità e la qualità dei dialoghi, caratteristica che Bilotta esalterà ancora di più nel successivo Mercurio Loi. Inoltre, il suo lasciare nelle storie alcune cose irrisolte, spinge i personaggi a prendere una vita propria e quasi sempre a diventare di chi li legge.
Decisamente eterogeneo il team dei disegnatori, che passa da un Ivan Vitolo ancora alla ricerca del proprio stile (ad esempio in “Villa Torlonia” è troppo debitore di Dall’Agnol) alla coppia Sergio Gerasi e Matteo Mosca, future colonne delle successive creazioni di Bilotta, qui già bravi ma che diventeranno poi bravissimi. Meno convincente Andrea Rossetto, dal tratto troppo schematico ed elementare. Va però ricordato che allora le tempistiche editoriali erano serratissime e quindi i disegnatori non erano ancora ai livelli ottimi poi raggiunti negli anni successivi.
Difficile esprimere preferenze tra i dodici albi della serie, in quanto tutti hanno una loro peculiarità e un significato profondo. Ne cito tre, non perché siano più belli di altri, quanto per la loro grande drammaticità che inevitabilmente resta impressa nella memoria.
“Vita in tempo di guerra” è un complesso e riuscito crossover con un’altra pubblicazione Star Comics, “Cornelio”, il personaggio con le fattezze di Carlo Lucarelli. Magistrale il collegamento tra l’anima del padre defunto, il figlio che lega la realtà con la fantasia del fumetto e una madre che cerca di fare pace con il proprio lutto e fuggire dalla solitudine.
“Il signor Buio” si colloca su un piano altamente drammatico, dove una vita parallela all’apparenza felice ed appagante nasconde l’incubo di un futuro pieno di dubbi ed incertezze che può condurre alla follia più totale.
“Villa Torlonia” è un autentico labirinto che sta dentro ognuno di noi, dove la solitudine e l’isolamento spingono i personaggi a cercare di risolvere le proprie paure ed inquietudini, fino alla resa dei conti di ciò che ci aspetta e a quello che può costare.
Perché andare incontro alle proprie paure richiede sempre un prezzo.
La recensione del numero 1
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La recensione del numero 4
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