Un fumetto godibilissimo e un documento eccezionale.
In quest’ordine, perché il secondo non orienta la lettura.
Il racconto (ironico, semi-serio e ampiamente autobiografico) segue lungo vent’anni – sino al momento della partenza – quattro studenti giapponesi sbarcati a San Francisco a inizio Novecento per carpire i segreti del mondo occidentale, in un quotidiano (e in questo risiede il valore storico aggiunto) intessuto di incomprensioni reciproche e di razzismo latente.
Tra gli emigranti c’è l’autore, Yoshitaka Kiyama, pittore desideroso di perfezionarsi al San Francisco Art Institute, che aggiunse al proprio patronimico l’americano Henry per meglio integrarsi. Se il tratto richiama George MacManus, Kiyama se ne distacca per una scelta formale all’avanguardia: non le strisce, ma un racconto strutturato in 52 doppie tavole domenicali, ciascuna composta di 8 vignette quadrate nel senso di lettura occidentale, pensate come tanti capitoli lungo un intero anno. Se da un lato ciò lo rende una sorta di graphic novel ante litteram, dall’altro la scelta non ne favorì la pubblicazione, resa già difficile dal bilinguismo anglo-giapponese (conservato nella traduzione francese, che mantiene tutte le espressioni americane, vicine all’effervescenza linguistica di Krazy Kat): il libro, interamente concepito verso il 1927, fu stampato quattro anni dopo a Tokyo per (non) essere venduto in America.
Il volume è corredato dall’ampio apparato critico, storico, sociale e biografico di Frederik L. Schodt, specialista di manga e curatore dell’edizione americana (1999), al quale si deve la riscoperta dell’opera su un vecchio catalogo universitario e delle tavole originali nel Museo di Yonago nel nord del Giappone.
Un capolavoro.