Carlo Ambrosini: l’estate in fondo alla vita

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La prima volta che lessi “Canale 666” (Dylan Dog n.15, dicembre 1987), i disegni mi fecero storcere parecchio il naso. Trovai il tratto del disegnatore decisamente ostico, poco attraente, con una delle figure femminili in perizoma – l’aspirante suicida Tess – tra le meno seducenti che avessi mai visto.
Con alcuni disegnatori scocca il colpo di fulmine già dalla prima lettura, con altri no. E con Carlo Ambrosini per me non è scoccato.
Ma già con la sua seconda fatica dylandoghiana, il ben più riuscito “L’isola misteriosa” (Dylan Dog n.23, agosto 1988), ho cominciato ad apprezzare alcune delle sue peculiarità, come la raffinatezza del tratto e l’espressività dei personaggi.
Ricordo che già dalle prime pagine notai qualcosa di diverso, mi sembrava che il disegnatore bresciano avesse preso confidenza con l’universo creato da Tiziano Sclavi, riuscendo a far suo quell’immaginario di mostri e poveri derelitti. Riconobbi al volo il rimando al primo episodio di Creepshow dall’espressione di Stephen, il ragazzone grezzo ed ignorante che trova il meteorite, interpretato nel film proprio da Stephen King.
Certo, non ci voleva un arguto colpo d’occhio, tuttavia il fatto di averlo reso in modo così preciso e nello stesso tempo anche così personale, mi diede una chiave di lettura diversa riguardo allo stile di Ambrosini.

Fece ancora meglio ne “La scogliera degli spettri” (Dylan Dog n.35, agosto 1989), dove potevo letteralmente respirare l’atmosfera di film come “Che fine ha fatto Baby Jane” e “Piano piano dolce Carlotta”, peraltro ripresi spudoratamente nella storia.
Citazioni che, anche in questo caso, non inficiavano minimamente l’efficacia dei disegni, perfetti nel rappresentare il clima morboso ed opprimente che pervade l’intera storia.
Non era diventato uno dei miei disegnatori preferiti, ma lo leggevo con occhi diversi e questo avverrà fino ad anni più recenti: infatti, in un’altra prova che ricordo sempre con immutato piacere – ovvero “No Smoking” nella collana “Le storie” (numero 4, gennaio 2013, su testi di Pasquale Ruju) – Ambrosini ha dimostrato di trovarsi a suo completo agio anche con le atmosfere plumbee di questa riuscitissima gangster story, dando una connotazione davvero azzeccata al protagonista e svelando solo nelle splendide tavole finali il significato del titolo.

Tornando invece a Dylan Dog, il suo debutto come autore completo – testi e disegni – era stata un’altra prova della sua bravura, con un episodio davvero notevole come “Dietro il sipario” (Dylan Dog n.97, ottobre 1994), dove l’autore è bravo a costruire sull’ambiguità dei personaggi una storia complessa ma facilmente leggibile ed interpretabile, oserei dire perfettamente sclaviana.
Il successivo – più ambizioso – “Il guardiano della memoria” (Dylan Dog n.108, settembre 1995) sancirà definitivamente il suo status di autore tout court.

C’è una sua prova, però, in cui quel colpo di fulmine citato all’inizio scoccò: pur rimanendo limitato alla sola durata di un albo, fu talmente forte da farmelo ricordare ancora oggi. Mi riferisco chiaramente a “Il lungo addio” (Dylan Dog n.74, novembre 1992), uno degli episodi più iconici dell’intera serie.
Una storia d’amore delicata, tratteggiata con i colori più tenui della fantasia, senza essere mai greve o stucchevole, con una malinconia e una tristezza di fondo che sfumano l’intero albo in un vero lungo addio.
Coinvolgente e appassionante, conduce il lettore ad un’estate della propria giovinezza, sogno o realizzazione di quel primo amore che fa battere il cuore.

Il tratto di Ambrosini si alza ad un livello altissimo, pulendo ogni minima asprezza e spigolosità, con gli splendidi flashback “acquerellati” che si alternano alle scure rappresentazioni del presente dei due protagonisti, che raggiungono il loro apogeo nella sequenza del luna park.
Tutte le situazioni che Dylan e Marina vivono nella loro vacanza a Moonlight sono illustrate magistralmente: la delusione di un bacio non dato, la gelosia per un rivale amoroso, i giochi innocenti in spiaggia, i sofferti litigi sono vissuti dal lettore direttamente in prima persona.
Solo l’inesorabile trascorrere del tempo e della vita riuscirà a dividere i due protagonisti, fino a quel salto che ne sancirà la separazione definitiva, illustrata in alcune delle tavole più struggenti che io ricordi, quelle che ti fanno inumidire gli occhi e inghiottire un boccone amarissimo.

So long, Carlo…

Stefano Paparella

"Quando il gringo incontra il messicano col coltello, il gringo è un uomo morto"

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