Cari amici di uBC Fumetti,
l’articolo che Marco Gremignai ha dedicato – nella sua rubrica Evergreen – a Jiro Taniguchi, l’unico autore di manga capace di entrare nelle sue grazie, mi ha strappato un sorriso.
Ricordo ancora l’emozione che mi sommerse quando scoprii nell’aprile 1990 in edicola, per puro caso, il primo numero di Akira di Katsuhiro Otomo, preludio all’invasione manga in Europa: finalmente i disegni «animati» non sparivano spegnendo il televisore! E chi come me collezionò quella prima, pioneristica edizione, non può dimenticare la pazienza biblica che ci volle per conoscere la fine della storia, da quando Glenat interruppe la pubblicazione nell’ottobre 1994 (a due numeri dalla fine!), sino alla ripresa in mano da parte di Panini Manga nell’aprile del 1997.
Il punto in comune con Marco (un altro tra i tanti, di cui ha parlato quando ho votato per la rubrica Zagor Top 5) non è quindi l’avversione per i manga, ma al contrario l’ammirazione – per me quasi devozione – nei confronti di Jiro Taniguchi, di cui lessi per primo proprio L’uomo che cammina, nella prima edizione italiana Planet Manga del marzo 1999, precedente il collaterale di Repubblica.
Jiro Taniguchi…
Sono, queste, storie che non esauriscono certo la produzione di Taniguchi (che invito ad approfondire, magari con il collaterale a lui dedicato dai giornali del Gruppo RCS) nel 2019, ma che a mio avviso non possono mancare nella biblioteca di un qualsiasi appassionato di fumetti, non solamente di manga.
Critici come Benoît Peeters (nel libro-intervista L’homme qui dessine, Casterman 2012, non tradotto) e Frédéric Potet (nel necrologio lungo un’intera pagina che Le Monde dedicò il 14 febbraio 2017 a Taniguchi) ne avvicinano la sensibilità a quella di un regista del calibro di Ozu. D’altronde, Taniguchi ha saputo con i suoi pennelli dar vita ad un’indagine sociale ed estetica dei maggiori autori di letteratura giapponese di fine Ottocento-inizio Novecento (Ai tempi di Bocchan, testo di Natsuo Sekikawa, 1987-1997, ristampa Coconino Press 2023). Sono vere e proprie emozioni disegnate.
A latere e a testimonianza dell’immenso prestigio di cui Taniguchi, poco conosciuto in Giappone, gode in Francia (Quartieri lontani vinse nel 2003 l’Alph-Art du meilleur scénario al Festival di Angoulême; l’autore è stato inoltre insignito del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres nel 2011), mi permetto di segnalare l’adattamento cinematografico di In una lontana città (Quartier lointain, di Sam Garbarski, 2010), quello televisivo di Un cielo radioso (Un ciel radieux, di Nicolas Boukhrief, 2017) e la trasposizione animata di La vetta degli dei (Le sommet des dieux, di Patrick Imbert, 2021), premiato l’anno successivo col César (equivalente del nostro Donatello) come miglior film d’animazione.
…& Friends: Taiyô Matsumoto e Tetsuya Toyoda
A quanti ammirano Taniguchi e ne sono stati incuriositi, mi permetto di segnalare altri due autori che, nel mio pantheon personale, gli si avvicinano e quasi gli contendono il primo posto.
Tornando a Matsumoto, non è invece più disponibile lo splendido catalogo della mostra che il Festival di Angoulême gli dedicò nel 2020: Taiyô Matsumoto. Dessiner l’enfance (9e Art+ éditions). Ma sicuramente i più curiosi non si scoraggeranno per così poco.
Oltre a questo, non molto è disponibile di una produzione comunque esigua (come esigue sono le notizie biografiche che si trovano in rete), se non le traduzioni francesi di due antologie di racconti brevi, Coffee Time (2008, Ki-oon 2014) e Goggles (2012, Ki-oon 2013, nei quali riappaiono personaggi già presenti in Undercurrent, per ulteriori esplorazioni delle relazioni familiari alla base della società giapponese.
È stato annunciato per l’autunno di quest’anno l’adattamento cinematografico live-action di Undercurrent da parte del regista Rikiya Imaizumi, secondo il quale la lettura di questo racconto «fa parte di quelle opere che possono salvare chi le legge».