Jiro Taniguchi & Friends

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Cari amici di uBC Fumetti,
l’articolo che Marco Gremignai ha dedicato – nella sua rubrica Evergreen – a Jiro Taniguchi, l’unico autore di manga capace di entrare nelle sue grazie, mi ha strappato un sorriso.
Ricordo ancora l’emozione che mi sommerse quando scoprii nell’aprile 1990 in edicola, per puro caso, il primo numero di
Akira di Katsuhiro Otomo, preludio all’invasione manga in Europa: finalmente i disegni «animati» non sparivano spegnendo il televisore! E chi come me collezionò quella prima, pioneristica edizione, non può dimenticare la pazienza biblica che ci volle per conoscere la fine della storia, da quando Glenat interruppe la pubblicazione nell’ottobre 1994 (a due numeri dalla fine!), sino alla ripresa in mano da parte di Panini Manga nell’aprile del 1997.

Il punto in comune con Marco (un altro tra i tanti, di cui ha parlato quando ho votato per la rubrica Zagor Top 5) non è quindi l’avversione per i manga, ma al contrario l’ammirazione – per me quasi devozione – nei confronti di Jiro Taniguchi, di cui lessi per primo proprio L’uomo che cammina, nella prima edizione italiana Planet Manga del marzo 1999, precedente il collaterale di Repubblica.

Jiro Taniguchi…

A quanti volessero scoprire l’opera di questo poeta delle «nuvole parlanti» non posso che suggerire la lettura, almeno, di altri capolavori quali: L’olmo e altri racconti (1993, Planet Manga 2001), adattamento a fumetti di alcune novelle di Ryuichiro Utsumi che esplorano con delicatezza la società giapponese come mai mi capitò di leggere prima di allora; Al tempo di papà (1995, Planet Manga 2000), racconto nato dall’essere stato troppo distante dai genitori e con il quale Taniguchi esplora le relazioni di una famiglia ricomposta dall’immediato Secondo Dopoguerra ai giorni nostri; Allevare un cane (2000, Planet Manga 2003), toccante poesia sull’ultimo saluto – pieno di ricordi – di una coppia al loro cane; e Quartieri lontani (1998, Premio Micheluzzi nel 2001, Coconino Press 2016 e 2019; prima edizione con titolo diverso, In una lontana città, Rizzoli 2006), splendido racconto intriso di nostalgia e rimorsi di un uomo adulto che, davanti alla tomba della madre, ridiventa adolescente e cerca di impedire il divorzio dei genitori nel Giappone degli anni Sessanta.

Sono, queste, storie che non esauriscono certo la produzione di Taniguchi (che invito ad approfondire, magari con il collaterale a lui dedicato dai giornali del Gruppo RCS) nel 2019, ma che a mio avviso non possono mancare nella biblioteca di un qualsiasi appassionato di fumetti, non solamente di manga.

Critici come Benoît Peeters (nel libro-intervista L’homme qui dessine, Casterman 2012, non tradotto) e Frédéric Potet (nel necrologio lungo un’intera pagina che Le Monde dedicò il 14 febbraio 2017 a Taniguchi) ne avvicinano la sensibilità a quella di un regista del calibro di Ozu. D’altronde, Taniguchi ha saputo con i suoi pennelli dar vita ad un’indagine sociale ed estetica dei maggiori autori di letteratura giapponese di fine Ottocento-inizio Novecento (Ai tempi di Bocchan, testo di Natsuo Sekikawa, 1987-1997, ristampa Coconino Press 2023). Sono vere e proprie emozioni disegnate.

A latere e a testimonianza dell’immenso prestigio di cui Taniguchi, poco conosciuto in Giappone, gode in Francia (Quartieri lontani vinse nel 2003 l’Alph-Art du meilleur scénario al Festival di Angoulême; l’autore è stato inoltre insignito del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres nel 2011), mi permetto di segnalare l’adattamento cinematografico di In una lontana città (Quartier lointain, di Sam Garbarski, 2010), quello televisivo di Un cielo radioso (Un ciel radieux, di Nicolas Boukhrief, 2017) e la trasposizione animata di La vetta degli dei (Le sommet des dieux, di Patrick Imbert, 2021), premiato l’anno successivo col César (equivalente del nostro Donatello) come miglior film d’animazione.

…& Friends: Taiyô Matsumoto e Tetsuya Toyoda

A quanti ammirano Taniguchi e ne sono stati incuriositi, mi permetto di segnalare altri due autori che, nel mio pantheon personale, gli si avvicinano e quasi gli contendono il primo posto.

Taiyô Matsumoto, del quale in italiano hanno pubblicato molto e di cui consiglio almeno l’autobiografico Sunny, in 6 volumi (2010, edizioni BD 2013-2016), storie di una struttura per ragazzini dei quali i genitori non possono occuparsi. Non è invece disponibile in traduzione italiana Le samourai bambou (2006, medio il titolo dalla versione francese, 8 volumi, storia e sceneggiatura di Issei Eifuku), il cui tratto espressionista è lontano anni luce da quanto ci si aspetta da un manga. Ma il lettore italiano potrà rifarsi con Number 5 (2000, Edizioni BD 2022), uno dei suoi primi lavori – dove palese è l’influenza di Mœbius – e soprattutto con I gatti del Louvre (2016, Edizioni BD 2020), storia malinconica e onirica frutto della commissione che il Louvre chiede ad affermati autori di fumetti. Anche in questo campo Taniguchi è stato un apripista, con I guardiani del Louvre (2014, Rizzoli Lizard 2016), i cui acquerelli preludono al suo ultimo, testamentario La foresta millenaria (2017, Oblomov edizioni 2018, ristampa 2020), progetto in cinque volumi pensato direttamente per il mercato europeo come testimonia l’inusuale, per il mercato giapponese, formato orizzontale: un vero peccato che sia stata realizzata soltanto parte del primo volume.

Tornando a Matsumoto, non è invece più disponibile lo splendido catalogo della mostra che il Festival di Angoulême gli dedicò nel 2020: Taiyô Matsumoto. Dessiner l’enfance (9e Art+ éditions). Ma sicuramente i più curiosi non si scoraggeranno per così poco.

E poi l’immenso ma troppo raro Tetsuya Toyoda, del quale in Italia hanno pubblicato il magnifico Undercurrent (2004, Dynit Manga 2019), immersione nel quotidiano di una giovane proprietaria di un bagno termale e di ferite infantili appena evocate ma la cui eco impregna la vita dei protagonisti.

Oltre a questo, non molto è disponibile di una produzione comunque esigua (come esigue sono le notizie biografiche che si trovano in rete), se non le traduzioni francesi di due antologie di racconti brevi, Coffee Time (2008, Ki-oon 2014) e Goggles (2012, Ki-oon 2013, nei quali riappaiono personaggi già presenti in Undercurrent, per ulteriori esplorazioni delle relazioni familiari alla base della società giapponese.

È stato annunciato per l’autunno di quest’anno l’adattamento cinematografico live-action di Undercurrent da parte del regista Rikiya Imaizumi, secondo il quale la lettura di questo racconto «fa parte di quelle opere che possono salvare chi le legge».

Vasco Zara

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