Detective, indagatori, incubi, mostri…e (anti)eroi
Si conclude finalmente il team-up tra Dylan Dog e Batman.
Come già anticipato in occasione della recensione della prima parte, l’hype generato da questo incontro era decisamente alto – e di conseguenza lo erano anche le aspettative dei lettori.
Dove eravamo rimasti
Il primo numero aveva infatti smarcato subito la presentazione dei personaggi per condurre, con buon ritmo, nelle vicende composte da tanta azione, battute ad effetto e ottimi disegni, pur evidenziando l’assenza di una trama forte a sostegno della sceneggiatura. Era però ancora troppo presto per trarre delle conclusioni sulla effettiva riuscita o meno di questo esperimento.
A miniserie conclusa invece possiamo provare a tirare le somme di quanto abbiamo letto.
All’inferno e ritorno
La seconda parte, dal suggestivo titolo “All’inferno e ritorno”, ha il delicato compito di fungere da trait d’union fra il primo capitolo (che fa da apripista con l’introduzione dei personaggi principali, e fornisce i primi elementi della trama orizzontale) e il terzo (dove si aspetta una conclusione e il necessario ritorno ad un generale status quo ante).
Roberto Recchioni ci aveva già abituato ad exploit danteschi con il suo Detective Dante. Questa volta il viaggio è concreto e non metaforico e, seguendo pedissequamente i dettami di Propp, l’autore spedisce Dylan all’inferno con un Virgilio d’eccezione: John Constantine.
John è forse il personaggio DC Comics più nelle corde di Roberto Recchioni: cinico, disincantato, punk (anche se una versione di Recchioni sarebbe stata più Metal, n.d.r.), irriverente, politically incorrect e fanatico delle battute spiazzanti. La continua ricerca da parte di Recchioni di una narrazione pop/brillante si sposa particolarmente bene con i tratti del mago in blazer, e la presenza di una foliazione ridotta (problema comunque comune a tutti i personaggi presentati nella miniserie) consente quasi paradossalmente all’autore di mantenere il ritmo della narrazione costantemente elevato, sfruttando così al meglio le caratteristiche principali del personaggio: nessun particolare approfondimento del background di John, quindi, ma in compenso un’ottima resa in termini di brevi sketch e battute, e in definitiva un utilizzo centrato del personaggio quale “Anfitrione” fondamentale per permettere all’eroe Dylan (dicevamo di Propp) di prendere piena coscienza di sé e del suo ruolo, diventando a tutti gli effetti perno centrale della narrazione.
Escono invece di scena Killer Croc, Selina Kyle e Groucho. Di Killer Croc, meramente riempitivo, poco importa. Anche Catwoman si eclissa però senza colpo ferire ed è un peccato, vista l’ottima verve mostrata nel primo numero. Discorso analogo per Groucho che fondamentalmente si defila, dopo aver interpretato una sequenza d’impatto che per certi versi ricorda il ruolo che lo stesso Recchioni gli aveva cucito addosso nella mini-run immediatamente a valle della conclusione della cosiddetta “saga della caduta della meteora” – cancellata e sparita nel nulla da qualche mese a questa parte.
Il ritmo dell’albo è meno frenetico e concitato del precedente, le scene d’azione sono misurate, mai troppo gratuite, di certo funzionali per lasciare ampio spazio a Werther Dell’Edera e Gigi Cavenago (+ Giovanna Niro) di divertirsi come bene sanno fare. D’altro canto, la sceneggiatura comincia a prendere forma permettendo alla trama di fare capolino fra le numerose battute che pure sovraffollano la narrazione.
L’incubo di Gotham
Come da titolo, dopo Londra e l’Inferno, è il turno di Gotham City. La città nata dall’immaginazione di Bill Finger e Bob Kane è il palcoscenico per questo ultimo atto, con Batman a guidare Dylan Dog tra i bui vicoli di Crime Alley.
Il primo effetto che traspare leggendo la storia è la centralità di Dylan nella vicenda. Con un rapido e concreto mescolamento narrativo Dylan assurge a eroe della storia, complice anche e soprattutto la scelta del villain finale, vale a dire quel Christopher Killex che, per certi versi, rappresenta il perfetto ago della bilancia tra la componente bonelliana del team-up (uno dei più pericolosi nemici di Dylan Dog, di certo uno dei pochi ad avere incrociato più volte la sua strada con quella dell’Indagatore dell’incubo) ed atmosfere più riconducibili alla controparte d’oltreoceano (Killex è un esplicito omaggio da parte di Tiziano Sclavi ad Hannibal Lecter).
Piacevole e ben riuscita la scrittura sentita e consapevole di Recchioni nel muovere Killex come un moderno Prometeo alla ricerca del proprio Io, di qualcosa che lo completi; completezza che si ritrova invece nei due eroi della storia, laddove la logica dei cinque sensi di Batman trova un esito quasi naturale nell’addendum rappresentato dal quinto senso e mezzo di Dylan Dog.
La cosa non era facile né scontata: parlando di bad guys, Recchioni descrive infatti bene e con passione le peculiarità e le turbe di Joker, ma quest’ultimo risulta alla fine come il luogotenente del “vero” avversario, il mostro. E, sin dai tempi di Damien, secondo il manuale sclaviano “per i mostri, i mostri siamo noi“. Il Killex come noi lo conosciamo viene rappresentato in questo caso in una maniera che, se pure non precisa filologicamente, ben collima con le emozioni regalateci nel tempo da Ghor, Gnut, o Johnny: in questa prospettiva, il catartico e anticlimatico finale acquista un senso profondo e filosoficamente corretto.
Schierando in campo l’atteso confronto tra mostri e incubi, quali nemesi dei due eroi eponimi del team-up, Recchioni centra un doppio risultato: da un lato rende tutto sommato una visione di Batman che ben compendia (sempre nei limiti della foliazione di cui sopra) la successiva stratificazione, citando Grant Morrison, che prende avvio «dagli anni giovanili, selvaggi e pulp degli esordi, in cui Batman era una “strana figura nascosta nel buio”, fino ad arrivare al soldato paranoico degli anni Novanta, passando per il vigilante sorridente e paternalistico degli anni Quaranta, il crociato pre-psichedelico degli anni Cinquanta, il supereroe detective degli anni Sessanta, l’avventuriero nerboruto degli anni Settanta e il vigilante forte e brutale degli anni Ottanta». Dall’altro, si dimostra più affezionato e dedito a Dylan Dog di quanto mostrato sino ad oggi: le riflessioni e gli spunti offerti da Dylan in questa storia vanno infatti oltre le semplici battute ad effetto.
L’autore riesce così a connotare con efficacia gli archetipi del personaggio che, sempre ovviamente mediati dalla sua sensibilità, donano forza e valore al suo mondo e alla sua visione del male e del dolore. Per quanto Recchioni, come detto decine di volte, attraverso la sua penna abbia declinato Dylan in altro, non ha mai ignorato il background sclaviano e qui ha deciso, vista l’occasione speciale, di ritirarne fuori i tòpoi a lui più cari.
Spoiler alert. Chi si aspettava di rivedere Xabaras rimarrà deluso: nonostante sia la nemesi di Dylan al pari di come Joker lo è per Batman, il mefistofelico dottore è sempre stato un personaggio sfuggente e centellinato nelle storie. In questo caso la sua apparizione rimane confinata al prologo del n.0, oltre ad un cameo nella prima parte, ma sarebbe stato interessante affidargli un’ultima battuta al termine dell’intera storia. Probabilmente ciò non è avvenuto proprio perché la sua comparsa avrebbe potuto attrarre troppo su di sé l’evoluzione degli eventi, con il rischio di sbilanciare la trama e lasciare il lettore disattento disorientato dalla sua presenza.
Werther Dell’Edera e Gigi Cavenago (+ Giovanna Niro)
Il lavoro a quattro mani di Werther Dell’Edera e Gigi Cavenago si mantiene sempre su altissimi livelli (come tra l’altro già sottolineato), creando un emozionante gioco pittorico che, in particolare nell’ultimo albo, sfocia anche nel mistico.
Attente la scelta delle inquadrature e la regia, che tentano di fondere lo stile Bonelli con quello dei supereroi Made in USA in vignette che non escono praticamente mai dalla gabbia che le stringe, pur con qualche omaggio a sensibilità anglosassoni, e conservando punti di vista molto dinamici ed inconsueti che donano forza e dinamismo alla fisicità dei corpi. Molto d’effetto il finale con vignette doppie e ampie, a sottolineare quanto quelle immagini riempiano l’anima dei personaggi – Killex in primis – e dei lettori. Nonostante in alcuni passaggi siano presenti piccole sbavature date dalla sovrapposizione delle matite del primo e delle chine del secondo, probabilmente evidenziati dalla colorazione (il volto di Dylan con le labbra e la bocca socchiusa – pag.12 e pag.51; la mano e il volto di Madame Trelkovski – vignette 5 e 6 di pag.54), dal punto di vista grafico il giudizio complessivo è davvero molto buono, se non ottimo.
Le quattro mani del comparto grafico possono però giustamente aumentare a 6 grazie all’ottima scelta della palette dei colori da parte di Giovanna Niro, capace di richiamare le atmosfere oscure del pipistrello, gli ambienti della Londra di Dylan e della Gotham di Batman, ed infine i colori tenui e chiari delle tavole finali in perfetto stile liberty, tratteggiati ottimamente dai due disegnatori in un omaggio ad Alfons Mucha. Anzi, visto che alla base c’è quasi sicuramente la penna di Recchioni nell’immaginare questa scena, il finale rappresenta la completezza di un lavoro a 8 mani.
In aggiunta, nulla da dire sulle copertine, che lasciano senza fiato per la loro bellezza ed espressività.
Unica altra nota stonata è la resa tipografica del colore sulla carta, che nel terzo albo si dimostra al di sotto dei precedenti, andando ad inficiare talvolta il (comunque pregiato) lavoro della Niro – ma è probabile che tale “problema” verrà risolto nella ristampa che raccoglierà le tre storie in un volume unico.
Ma quindi?
Quindi un buon compromesso.
Buono, considerate le aspettative (alte) e le difficoltà di gestire personaggi così complessi (molto). Recchioni si mostra sufficientemente a suo agio con i cliché classici dei due protagonisti e li sfrutta a dovere per raccontare un’avventura piacevole e godibile, scegliendo un ponderato compromesso fra i doverosi vincoli editoriali e la necessità, in ultima analisi, di portare comunque a casa un’avventura di Dylan Dog che sia espressione della sua personale visione narrativa.
Nel prevedibile compromesso tra omaggio e macchietta, la visione dylandoghiana di Recchioni non morde per una volta il freno per snaturare il personaggio Dylan, e l’estro dell’autore si riversa principalmente su Joker e Constantine, garantendone una resa che la scarsa quantità di spazio sembra trasformare in cesellatura di qualità. In questo senso, Il Dylan di Recchioni continuerà ad assomigliare sempre un filo di troppo a John Doe, ma qui l’autore riesce a conservare le sfumature più profonde e specifiche che hanno reso iconico l’indagatore londinese.
Buono, perchè Recchioni punta su una prosa mai troppo articolata, bensì essenziale e veloce (stante lo spazio a disposizione), riuscendo a declinare e indirizzare la sua consueta verve per inquadrare bene personaggi e dinamiche senza perdersi per strada in eccessivi manierismi o (peggio) derive postmoderne.
Ciò ovviamente comprende tutto quanto è stato sacrificato (Catwoman, Joker), mediato (Killex, Groucho), defilato e talvolta meramente accennato (Batman) qua e là nella vicenda; lo stesso finale risulta soddisfacente, date le premesse dell’opera (lo status quo ante di cui sopra), e considerando che quella elaborata è una exit strategy che non brilla di per sé per originalità (cfr. ad esempio qui).
A questo proposito, al lettore viene chiesto tanto, in termini di conoscenze del pregresso dei personaggi portati in scena. Se Christopher Killex viene più o meno presentato e ricordato, per Batman e Joker vengono lanciati spesso solo degli input e dei riferimenti molto rapidi a storie e vicende che sarebbe fondamentale conoscere per corroborare scelte ed espressioni messe in atto nella vicenda – uno su tutti il riferimento a The Killing Joke di pagina 50, perfettamente omaggiato da Werther Dell’Edera e Gigi Cavenago.
E infine buono, in quanto risultato di chirurgia narrativa ben studiata, coadiuvata da un comparto grafico davvero di primo livello (non che l’occasione meritasse di meno!), che non indulge negli ipertrofismi grafici di matrice statunitense per mantenersi più stabilmente su binari nostrani, pur con qualche omaggio a sensibilità anglosassoni.
Questa non sarà la migliore storia al mondo di Dylan Dog ma la partecipazione di Batman e del suo mondo, l’attenta scrittura di Recchioni ai personaggi, i disegni di pregevole fattura di Dell’Edera e Cavenago e gli ottimi colori della Niro la rendono una piacevole lettura. Una di quelle storie da riprendere in mano più volte per leggerla.