Pubblichiamo ben volentieri questo articolo della torinese Elena Romanello, collaboratrice della versione “storica” di uBC Fumetti. Elena fa parte della generazione Goldrake: a partire dagli anni Novanta ha scoperto di chiamarsi otaku e ha iniziato a trasformare la sua passione in un lavoro. Lady Oscar è il manga e l’anime che ama di più, e gli ha dedicato una vasta produzione creativa, tra racconti, siti, articoli e saggi. Dal 2021 cura il sito 40 anni e oltre con Lady Oscar, mentre nel 2022 ha pubblicato per Anguana la guida completa intitolata La leggenda di Lady Oscar e quest’anno ha iniziato un’attività di autopubblicazione di volumi di fanfiction, grafiche e fanzine. Le altre sue passioni sono Capitan Harlock, Candy Candy, il fantasy e i gatti.
Sembra incredibile dirlo oggi, andando per fiere e fumetterie, ma c’è stato un tempo in cui la passione per i fumetti era appannaggio solo dei maschietti, e non c’erano praticamente né autrici né lettrici.
Le cose oggi sono cambiate, ovviamente, attraverso vari passaggi e successi, con la crescita esponenziale di creative e appassionate e con alcuni momenti di svolta fondamentali. Uno di questi, in un Paese importante per i fumetti, che loro chiamano manga, ormai una parola popolare in tutto il mondo – il Giappone – è avvenuto il 21 maggio 1972, mezzo secolo e un anno fa.
In quel giorno, sulle pagine del settimanale Margaret Comics della Shueisha che conteneva shojo manga, fumetti rivolti a ragazzine preadolescenti, considerati minori rispetto agli allora comunque non particolarmente considerati shonen per ragazzi, comparve la prima puntata di una storia realizzata da una venticinquenne, ex studentessa universitaria di filosofia, già autrice di storie brevi in cui imitava il maestro Osamu Tezuka.
L’autrice in questione era Riyoko Ikeda che, una decina d’anni prima, era rimasta folgorata da un libro che aveva letto per la scuola, la biografia di Maria Antonietta scritta da Stefan Zweig. In precedenza la giovane mangaka aveva realizzato dei manga di argomento scolastico e sentimentale, sia pure con un piglio anticonformista e più moderno: del resto si era unita al movimento femminista all’Università e sognava una vita diversa per se stessa e le altre ragazze. Ma stavolta, aveva proposto al suo editore qualcosa di diverso, un adattamento a fumetti di tale libro. Alla Shueisha avevano storto il naso, perché si riteneva che certe tematiche – come la Storia, per lo più europea – non fossero adatte ad un pubblico di ragazzine dai 10 ai 16 anni, ma poi avevano dato via libera a Riyoko Ikeda, con alcuni paletti: uno, doveva ricordarsi che comunque scriveva per le giovanissime, quindi i toni scherzosi erano d’obbligo; due, se le cose non fossero andate bene tutto sarebbe finito subito; tre, doveva affiancare alla regina Maria Antonietta un personaggio inventato.
Come tutte le giovani donne della sua generazione, Riyoko Ikeda aveva adorato il manga del maestro Tezuka Ribbon no Kishi, incentrato sul personaggio di Sapphire, principessa di un regno fiabesco che si finge maschio per lottare contro intrighi e pericoli. Inoltre, la figura delle donne samurai era ben presente nella tradizione giapponese, con storie tra leggenda e realtà, e in parallelo l’autrice era rimasta affascinata dallo scoprire vicende simili anche in Occidente, soprattutto tra Sei e Settecento. Infine, l’aveva colpita molto la vicenda di Pierre Augustin Hulin, una guardia di palazzo a Versailles, che si schierò dalla parte dei rivoluzionari durante la presa della Bastiglia, vivendo poi ancora una lunga vita avventurosa.
Nacque così il personaggio di Oscar, ragazza cresciuta dal padre come un maschio, con il nome di battesimo, più nordico che francese, preso dal film storico Desirée dove era portato dal figlio della protagonista, il futuro re di Svezia, a cui si aggiungeva come secondo nome il più pertinente François, e come cognome de Jarjayes, da chi cercò di salvare nella realtà storica la regina Maria Antonietta dal suo tragico fato, un elemento su cui si tornerà.
I manga venivano e vengono realizzati settimana per settimana e le giovanissime lettrici apprezzarono e amarono da subito il personaggio di Oscar, ben più di Maria Antonietta, per cui Riyoko Ikeda diede alla sua creatura sempre più spazio. In parallelo, le costruì anche attorno la sua anima gemella, dopo l’infatuazione per il realmente esistito conte di Fersen, con il suo valletto André Grandier, molto amato dalle appassionate, e preferito ad altri possibili spasimanti della fiera eroina. Dietro a questo, c’era anche un elemento autobiografico, il ricordo dei genitori dell’autrice: la mamma figlia di una nobile famiglia di samurai, il papà borghese, che si sposarono contro il volere delle rispettive famiglie, vivendo felici e contenti nella realtà a differenza di cosa accade nella finzione.
Leggere oggi il manga di Versailles no bara, letteralmente La rosa di Versailles o Le rose di Versailles, è un’esperienza sempre interessante e godibile e non solo semplicemente nostalgica, per come la storia viene gestita dall’autrice, mescolando fatti realmente accaduti e invenzione, con quest’ultima strettamente legata alla realtà, e come la vicenda e i toni evolvono, diventando via via sempre più adulti e maturi.
Riyoko Ikeda volle fare con la sua opera e la figura di Oscar un discorso di parità di genere, presentando una donna che fa, prima suo malgrado e poi con consapevolezza, un lavoro da uomo, indicando una nuova strada alle sue lettrici. La sua scommessa era mostrare che un personaggio femminile poteva essere protagonista di una storia d’azione, un qualcosa che fece scuola e aprì la strada a tanti nuovi personaggi, negli shojo e negli shonen.
Le scelte coraggiose, tra siparietti comici man mano sempre meno presenti e una cura crescente di dettagli e immagini dei protagonisti, non furono poche, visto che Riyoko Ikeda parlò di politica, problemi sociali, amore, morte, questioni femministe, omosessualità con alcuni momenti che crearono sconcerto: come quando mise in scena l’amore folle di André per Oscar, o come quando fece consumare ai due protagonisti la loro unione in maniera certo molto dolce ma esplicita. O ancora di più quando scelse di far morire i suoi due eroi, novelli Romeo e Giulietta (Shakespeare è uno dei numi tutelari dell’autrice), ma lì il discorso è più complesso.
Riyoko Ikeda fu senz’altro tentata di dare un altro corso alla storia di Oscar, tenendo conto che le diede il cognome del nobile che fu parte del piano fallito per far evadere Maria Antonietta di prigione, ma la tentazione di farla morire eroicamente alla Bastiglia dopo aver perso il suo amore fu troppo forte, per creare una fine che fosse d’impatto e in cui l’eroina rimanesse con la purezza dei suoi ideali di aiuto alla causa rivoluzionaria senza entrare in contatto con gli eccessi del Terrore. Del resto, su modello delle eroine delle opere liriche (altra passione di Riyoko Ikeda), Oscar aveva iniziato anche a soffrire dei sintomi della tisi, un elemento però più evidente poi nell’adattamento anime.
In realtà, anche se quel finale ha comunque reso la vicenda di Oscar e André immortale ed emblematica, non solo in Giappone, allora le creò qualche problema: Riyoko Ikeda voleva infatti continuare a raccontare nel dettaglio gli ultimi anni di vita di Maria Antonietta, ma le fu imposto di chiudere il manga in fretta, perché le lettrici – abbastanza prevedibilmente – avevano perso la maggior parte dell’interesse per la vicenda dopo la morte di quelli che erano i due personaggi più amati.
In seguito, dopo aver realizzato altri manga interessanti, tra Storia e vita moderna, da Caro fratello a La finestra di Orfeo, Riyoko Ikeda tornò varie volte a partire dagli anni Ottanta nel mondo di Oscar, con uno stile ormai diverso, molto curato nei dettagli e nei costumi e più fedele alla realtà storica, ma per lungo tempo molto più spigoloso nella caratterizzazione dei personaggi. Chiaramente, con un finale così definitivo e non essendo una storia di genere paranormale, non sono state possibili resurrezioni. Per questo motivo, l’autrice ha prima, tra gli anni Ottanta e Novanta, creato le Gaiden, vicende ambientate alcuni anni prima della Rivoluzione in cui Oscar e André si trovano a dover investigare su casi gialli legati a misteri da risolvere.
In un secondo tempo, a partire dal 2012, Riyoko Ikeda ha realizzato invece Le Storie, approfondimenti su alcuni personaggi chiave della vicenda, con tra le altre cose un antefatto o prequel dedicato ai genitori di Oscar, una conclusione della vicenda su Rosalie – l’unica superstite a morire di vecchiaia – e un omaggio all’amica Moto Hagio e al suo Il clan dei Poe, facendo diventare il visconte de Girodel, uno degli spasimanti infelici di Oscar, un vampiro immortale.
In mezzo, però, era uscitò a metà anni Ottanta Eroica, un manga rivolto ad un pubblico diverso da quello di Margaret Comics, dove si raccontava la storia di Napoleone, con la presenza – in ruoli non di primo piano – di tre figure presenti in Versailles no Bara: il Soldato della Guardia Alain de Soissons, il giornalista e rivoluzionario Bernard Chatelet e Rosalie Lamorlière, sua moglie nonché protetta di Oscar. Alain e Bernard ad un certo punto morivano tragicamente nel tentativo di assassinare Napoleone da cui si sentivano traditi, mentre Rosalie scappava: la sua sorte è stata oggetto anni dopo dell’ultima Storia.
Il mondo di Versailles no bara è stato poi anche rivisitato dalle strisce superdeformed Kids, uscite ad inizio Millennio, con toni buffi e richiami anche alla cultura pop giapponese, senza contare che poi Oscar è in Giappone un brand iconico per pubblicizzare prodotti di bellezza, enogastronomici, servizi di moda, locandine di film, complementi d’arredo, bambole da collezione e altro ancora.
Nel frattempo, in questo mezzo secolo ormai passato da un anno, l’opera di Riyoko Ikeda ha avuto varie altre vite.
A partire dagli anni Settanta l’adattamento musical del Takarazuka, compagnia teatrale formata da sole donne, è tornato periodicamente a mietere successi, con varie versioni incentrate su un personaggio anziché un altro e un grande interesse ottenuto fuori dal Giappone quando fu portato in tournée in Francia nel 1989 per il bicentenario della Rivoluzione.
Nel 1978 il film dal vivo dell’altrove talentuoso Jacques Demy, sponsorizzato dalla casa di cosmetici Shiseido, si rivelò deludente e poco ispirato, pur con delle buone location a Versailles e la suggestiva colonna sonora di Michel Legrand: ma diede all’opera di Riyoko Ikeda il titolo con cui è nota in Occidente, America latina e Paesi arabi, Lady Oscar, oltre che alcune idee per scelte grafiche di personaggi e luoghi.
L’anno successivo fu la volta della serie anime, prodotta dalla Tokyo Movie Shinsha, con nello staff nomi come Shingo Araki e Michi Himeno ai disegni, Kouji Makaino alla musica, Tadao Nagahama e soprattutto Osamu Dezaki alla regia, realizzata con la cura di un kolossal per il grande schermo, ma all’inizio non amata in Giappone perché vista come troppo distante dal manga, tanto che furono realizzati solo 40 episodi su 52 previsti. Solo alcuni anni dopo, nel 1986, sull’onda del successo che aveva ottenuto in Italia, Francia e in Medio Oriente e dell’interesse che c’era in Giappone per il duo Araki / Himeno dopo Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco), finalmente l’anime di Versailles no Bara diventò il cult che meritava, un successo che è durato fino ad oggi.
L’anno scorso, tra l’altro, il cinquantennale del manga in Giappone si è unito al quarantennale dell’anime in Italia, Paese dove è ancora oggi popolarissimo, anche tra i non otaku, e dove tra l’altro il fumetto fu tradotto per la prima volta sempre nel 1982 in una lingua europea, diventando lo shojo più volte riproposto nel corso degli anni, dalla prima edizione Fabbri alla recente per J-POP.
Versailles no Bara, che nella recente edizione inglese ha ritrovato tradotto il suo titolo originale, The Rose of Versailles, or Lady Oscar, continua a essere a distanza di decenni, sia in manga che in anime, una storia coinvolgente e rivoluzionaria, in grado di mostrare di cosa poteva essere capace una donna e di cosa potevano essere e diventare i fumetti, oltre che un classico che va oltre il medium di appartenenza diventando emblematico di cosa racconta e come lo racconta. Non è un caso che Riyoko Ikeda sia stata insignita nel 2009 della Legion d’Onore dal governo francese, per il contributo che ha dato alla conoscenza della cultura transalpina nel mondo, perché i fan non solo giapponesi hanno fatto e continuano a fare il loro pellegrinaggio a Versailles e dintorni sulle orme di un’eroina fittizia, ma talmente legata ad una pagina di Storia da diventare parte di quegli eventi. Basti pensare a cosa succede ogni 14 luglio sui social, con post commemorativi della morte della protagonista come se fosse realmente accaduta.
Nel corso degli anni, in Giappone Versailles no Bara ha avuto dedicate varie mostre, di cui una recente che farà una nuova tappa questa primavera, mentre in patria e in giro per il mondo ha ispirato tesi di laurea, saggi, eventi, dojinshi, spettacoli, racconti, esposizioni, cosplayer e altro ancora: qualche mese fa è arrivata la conferma di un nuovo adattamento anime, a lungometraggio, che dovrebbe uscire in questo 2023, e su cui a questo punto un mondo di appassionati, su più generazioni e appartenenti a vari Paesi e culture, sono ansiosi di sapere e vedere di più, tra dubbi, entusiasmo, timori.
Ma difficilmente Oscar e la sua epopea deludono, e in questo oltre mezzo secolo hanno dimostrato di aver sempre qualcosa da dire e da ispirare. Tra una rilettura del manga e un rewatching dell’anime, con fan che sono cresciuti con lei e hanno trasmesso a volte questa passione a figli e nipoti, la Rosa di Versailles e la sua epopea di amore e morte si conferma quindi un classico che non invecchia e rinasce dalle sue ceneri, un personaggio da leggenda moderna che unisce vite e immaginari.