Nel giugno 2012 appare nelle edicole la nuova serie della Sergio Bonelli Editore, Saguaro, dedicata alle avventure dell’aitante navajo Thorn Kitcheyan che, reduce dal Vietnam, torna agli inizi degli anni Settanta nella sua riserva indiana, pronto per arruolarsi nell’FBI – in un reparto tutto indiano – e ritrovarsi in mezzo ad un mare di guai. La serie mensile, creata e curata da Bruno Enna, è durata complessivamente 35 numeri, nonostante fosse inizialmente strutturata come una serie ongoing, ed ha rappresentato per la casa editrice il tentativo di ritornare al proprio formato classico, dopo aver puntato (negli anni precedenti) sulla pubblicazione di svariate miniserie: da Brad Barron del 2005 a Shanghai Devil del 2011.
Sul sito uBC Fumetti presentammo adeguatamente la serie con la consueta anteprima e schedammo i primi numeri della collana. La serie non fu un successo, chiuse appunto con il 35° numero senza proseguimenti con albi speciali e neppure rilanci, a posteriori, in qualche collana ombrello della casa editrice. Eppure Saguaro è una serie che conserva un suo fascino anche dopo 10 anni dalla sua uscita, grazie ad alcuni punti di forza che abbiamo provato a individuare in questo articolo.
Il personaggio di Thorn, che deve al suo carattere spinoso il soprannome di Saguaro (gigantesco cactus tipico del sud dell’Arizona), ha le fattezze dell’attore Tom Berenger, tratteggiate dal disegnatore Alessandro Poli, mentre le copertine sono realizzate da Davide Furnò e il primo numero da Fabio Valdambrini. Enna, dopo aver debuttato in Bonelli con Dylan Dog nel 2004 – e dopo essersi affermato collaborando a lungo con Disney e altre collane per ragazzi, come ad esempio Witch e Winx – ambienta la serie nei luoghi sacri della storia della casa editrice, nella riserva Navajo dell’Arizona, punto di partenza solitamente delle avventure di Tex Willer.
Il prode Saguaro e Aquila della Notte paiono avere qualche punto in comune, specialmente quando Thorn – incurante di qualsiasi rischio e non disposto a seguire alcuna procedura – sembra decisamente muoversi, durante le indagini, su un terreno in cui il dubbio non possa essere contemplato, arrivando a malmenare senza troppi riguardi i sospettati dei crimini. I punti di contatto tra i personaggi finiscono però con l’ambientazione e con una certa asperità caratteriale, dato che – al di là delle differenze temporali – le avventure di Thorn sono collocate in un’ambientazione molto più realistica del celebre ranger, presentandoci la vera situazione dei Navajos (o meglio ancora dei Dinè) nelle riserve, partendo da Window Rock, capitale della nazione, cittadina sede di organi governativi e politici indiani quali il Consiglio Tribale, l’Ufficio per gli Affari Indiani e il Dna, ufficio legale che si occupa della difesa dei nativi americani.
Enna ci proietta negli anni Settanta, tra tensioni sociali e razziali, complotti politici e delle forze dell’ordine, con la guerra del Vietnam ad inquietare gli animi, le problematiche ambientali che si stanno affacciando e l’immigrazione clandestina tra Messico e Stati Uniti. La serie può essere definita a metà tra un western moderno e un giallo etnico, e ha il suo punto di forza nella continuity e nello sviluppo orizzontale della saga, con la lenta riscoperta del passato di Saguaro e le vicende dei vari comprimari.
Lo scrittore sardo costruisce un cast di personaggi composito e variegato, apparentemente strutturato in maniera classica, a partire dalla collega ed anima gemella di Thorn, Kai Walken (figlia dello sceriffo), al giovane Jude (dal passato tormentato, che ambisce a diventare un agente FBI), al saggio stregone Howi (l’unico che sembra conoscere il mistero del passato di Saguaro) fino all’ambiguo Clive Waters, che arruola Thorn all’interno dell’FBI e a Nastas Begay, amico di infanzia di Saguaro e capo dei ribelli nella riserva. A fare la differenza sono le interazioni tra i personaggi durante la serie, che evolvono costantemente in base alla trama generale, accompagnando il percorso di crescita del protagonista.
Enna utilizza in modo realistico la continuity della serie, premunendosi di far trascorrere tra un numero e l’altro un ragionevole lasso di tempo come ad esempio nei primi numeri (dall’estate del 1972 al tardo inverno del 1973), che gli consente di spiegare quando è avvenuto l’addestramento di Saguaro come agente federale, ad Albuquerque e poi a Quantico, e perfino di introdurre il fatto di cronaca più eclatante riguardante i nativi americani negli anni Settanta, la rivolta di Wounded Knee. Il 27 febbraio 1973, nella riserva indiana di Pine Ridge, nel South Dakota, un gruppo di Lakota-Sioux – esasperati dalla crescente povertà e appoggiati dall’American Indian Movement – occupa simbolicamente per 73 giorni i luoghi in cui i loro antenati vennero trucidati dall’esercito americano nel 1890. Curiosamente, a questo episodio fa riferimento anche il finale della BD Red Road di Derib.
L’approccio il più possibile corretto agli eventi storici degli anni Settanta, con un’attenzione ai temi ambientali e, ovviamente, alle drammatiche situazioni che vivono i nativi nelle riserve indiane, è un altro delle costanti della serie. In alcuni numeri le tematiche affrontate possono rimandare a Scalped, serie americana della Vertigo-Dc, creata da Jason Aron e R.M. Guerà nel 2007, ambientata tra i Lakota del nord degli Stati Uniti, che ha visto all’opera anche Davide Furnò, il copertinista di Saguaro. Scalped in realtà aveva un taglio decisamente più noir e trasgressivo, inserendosi perfettamente nella linea Vertigo: da parte sua, Saguaro rispetta invece – narrativamente – i canoni bonelliani.
La Storia irrompe in maniera decisa nelle trame delle storie della serie in diversi momenti, ad esempio nelle manifestazioni di protesta davanti agli impianti della Rockwell, la società che scava per trovare la pechblenda, minerale ricco di Uranio; oppure quando l’assistente sociale Lucy Blair, che ha un discreto ascendente sul giovane poliziotto Jude Towanka, sospetta che qualcuno voglia costringere le abitanti della riserva a subire una sterilizzazione di massa.
La risoluzione del caso del mese non si rivela mai scontata, e in alcuni numeri permette alcune riflessioni non banali: ad esempio, quella sulla dicotomia tra la città e la riserva indiana, accomunate dall’identico disagio vissuto dai nativi americani, sia nel momento in cui cercano di allontanarsi dalle tradizioni delle loro famiglie, sia quando vi rimangono incatenati, destinati a stravolgere in quel caso però rituali e credenze. Saguaro, in primis, sembra assorbito da queste dinamiche, dato che continua a sognare i massacri dell’esercito americano della fine dell’Ottocento ai danni dei nativi, aggiungendovi però le sue inquietudini personali. Thorn si ritrova in mezzo tra la modernità del suo ruolo di difensore della Legge e le tradizioni, anche spirituali, dei Dinè.
Già nel n° 1, Ritorno a Window Rock, Thorn sembra consapevole dell’ambiguità del suo ruolo di fronte alle tradizioni del suo popolo e alle persone che conosce. Sembra perennemente alla ricerca di se stesso, con un passato che deve continuamente affrontare, tra cui il mistero della scomparsa dei suoi genitori. Passato che si concretizza in Cobra Ray – il suo antagonista principale – che rispunta dalla giungla vietnamita, implacabile killer con la caratteristica di riuscire a sopravvivere alle situazioni più estreme. Nello sviluppo della sua guerra personale, Cobra Ray sembra quasi l’unico ad afferrare realmente l’inquietudine di Saguaro, ad esempio quando afferma a Kai che: “[…] Così ho capito che Thorn è persino diverso da voi. Lui ha rinnegato il mondo navajo, senza però riuscire a integrarsi in quello dei bianchi”.
Pregevole soprattutto il primo ciclo di storie – composto da 15 numeri, che costituiscono una vera e propria stagione – imperniato sulla protezione del piccolo Miguel, testimone oculare di un efferato omicidio commesso da un potente uomo d’affari, Noah Folsom: è una vicenda che si interseca con la ribellione nelle riserve indiane e la lenta scoperta del passato di Thorn, traumatizzato da eventi cui ha assistito da bambino che fatica a ricordare. Saguaro riesce a portare a termine il suo incarico, non senza aver incrociato più volte la strada di Cobra Ray, assunto per liquidare il piccolo Miguel, e aver sperimentato cosa si prova ad essere braccato dalla legge.
Il secondo ciclo di storie è maggiormente incentrato sui complotti interni all’FBI: tra intrighi politici e manipolazioni, Thorn capirà a cosa è dovuto il suo arruolamento e la costituzione dell’unità degli agenti federali indiani nella riserva, i Falchi-Lupo. Non manca il proseguimento delle indagini sui ribelli che operano nelle riserve indiane e che utilizzano mezzi sempre più moderni, come la diffusione nell’etere di Radio Aquila Libera. In questo secondo ciclo la continuity si fa meno serrata e iniziano ad aumentare i numeri in cui Saguaro opera lontano dalla riserva indiana (addirittura con una trasferta in Laos nel. n° 21, ma anche a New York e Las Vegas), in storie in cui aumentano i riferimenti alla mitologia indiana, diventando perfino un istruttore dell’FBI a Quantico. I legami tra albo e albo si fanno più sfilacciati, fino alla convulsa run finale con la risoluzione di tutti i fili narrativi in sospeso.
L’aspetto migliore dell’intera serie è sicuramente ascrivibile alla capacità di Bruno Enna di costruire sceneggiature ben equilibrate, producendo sempre un notevole pathos, anche negli albi apparentemente più distanti dalla trama generale.
Come già scritto, lo sceneggiatore sardo catapulta il suo protagonista in ambientazioni diverse, passando in rassegna gran parte delle dinamiche della narrazione d’avventura e d’azione: dal noir all’azione pura, al carcere, al deserto, tutti topoi classici messi in scena però sempre con grande dinamismo e mai in maniera scontata. Solo quattro storie sono sceneggiate da un altro autore, Luigi Mignacco, autore storico della casa editrice soprattutto per quel che concerne il fumetto d’avventura.
L’handicap maggiore della serie è stato probabilmente il reparto grafico, presentato nel primo numero come un “manipolo di affermati professionisti del disegno, opportunamente mescolati ad altrettanti “giovani agguerriti” […]“, ma che alla realtà dei fatti ha mostrato più di un’incertezza, per l’ordinarietà di certi albi. L’impressione generale è che in quel periodo la casa editrice avesse puntato maggiormente su altre collane – Le Storie, Dragonero e Orfani – riservando loro gli artisti migliori. Quindi molti debuttanti in Bonelli, ma anche veterani di peso, come il “jolly” della casa editrice Luigi Siniscalchi, il più presente con otto storie all’attivo (tra cui le due finali), mentre le prove migliori sono forse quelle di Elisabetta Barletta, grazie al suo stile pulito ed elegante.
La conclusione della serie è stata perentoria, e difatti – a differenza di altre collane – non sono stati previsti albi speciali, sequel e riprese: tuttavia, è stato probabilmente consentito a Enna di portare a termine tutti i gli archi narrativi, in maniera più che dignitosa. Gran parte dei disegnatori ha proseguito le collaborazioni in Bonelli: Siniscalchi sul Commissario Ricciardi, Valdambrini su Tex Willer, mentre il copertinista Davide Furnò – dopo Scalped – ha realizzato Dylan Dog e Batman e Marco Foderà si è diviso tra Mister No, Martin Mystère e Nathan Never. Enna ha proseguito la collaborazione con la Bonelli, ritornando a Dylan Dog e realizzando, in coppia con Siniscalchi, l’ottimo Romanzo a Fumetti La Bestia, trovando il tempo di proseguire il suo lavoro di scrittura, con gran successo, sui personaggi Disney e sconfinando anche in Francia, con Coeur de Papier e Susine et le Dormeveil.
Dopo Saguaro, la casa editrice si è orientata su altri tipi di pubblicazioni: sono riprese le miniserie, cambiando formato, inserendo il colore e privilegiando il canale delle librerie, mentre le ultime serie regolari sono state sorprendentemente suddivise in stagioni, cambiando parzialmente denominazione e ripartendo dal n° 1, sulla falsariga dei comic book statunitensi. La Bonelli sta affrontando la sfida del XXI secolo alternando grossi cambiamenti a richiami continui alla tradizione, un po’ come è stato Saguaro, con il tentativo di unire un maggiore realismo narrativo alle ambientazioni classiche della casa editrice e dell’Avventura. La missione forse non è stata un successo completo, ma ha sicuramente regalato – a quegli appassionati che hanno avuto la fortuna di cogliere l’occasione – numerose ottime storie e ore di piacevoli letture.
Ci piace allora concludere questo articolo salutando Thorn Kitcheyan con le parole di chi lo descriveva, sottolineando l’importanza del suo ruolo per il suo popolo:
Tutti ti chiamano Saguaro, perché sei pungente come il cactus e il tuo ruolo è vitale, per chi cammina in queste terre aride.