L’Argaar che volevamo? O quello che ci meritiamo?

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Analisi della nuova incursione di Topolino & Pippo nelle terre dell’Argaar: Topolino e la leggenda della Spada di Ghiaccio

Cos’è che cambia? La storia di oggi rispetto a quella di ieri? O il lettore di oggi rispetto a quello di ieri? E se chi scrive la storia oggi è il lettore di ieri, di quanto si complica il discorso? Per certi versi, a questi interrogativi non c’è risposta, un po’ come chiedere se sia nato prima l’uovo, o la gallina.
Prima di iniziare, è doveroso fare riferimento al reportage dell’incontro con Marco Nucci (autore della nuova storia ambientata nelle terre dell’Argaar “Topolino e la leggenda della spada di ghiaccio”), nel quale già un bel po’ di cose sono state dette, in termini di genesi e lavorazione della suddetta storia – ivi incluse apparenti discordanze tra questa e le storie precedenti, specie per quanto concerne il destino della spada di ghiaccio, che Massimo De Vita aveva raccontato in un modo, e che invece Nucci ha riportato in modo diverso, senza un’apparentemente coerente spiegazione.

Al di là di ciò, ricollegandoci a quanto detto nelle prime righe, ciò che preme maggiormente sottolineare è il modo in cui la narrazione di “Topolino e la leggenda della spada di ghiaccio” si differenzia dalle altre, precedenti, storie della saga. Se è vero come è vero che viviamo in un’epoca di post-modernismo, ciò significa che:

  • da un lato l’autore di oggi, specialmente quello al di sotto dei 50 anni, ha la consapevolezza di poter accedere ad una mole di riferimenti mediatici mostruosamente superiore rispetto a quella disponibile anche solo una ventina di anni fa. Di conseguenza, anche l’arte stessa di raccontare – che da sempre si basa (anche) sul saper citare/plagiare/rubare/riciclare opere altrui – ha dovuto individuare e sviluppare, nella sua forma corrente, modalità specifiche di “effective mash-upping” che siano almeno sulla carta in grado di supportare la gestione del mostruosamente di cui sopra;
  • dall’altro il lettore “pro” di oggi, specialmente quello al di sopra dei 30 anni, ha dalla sua un bagaglio di conoscenze ed esperienze narrative verosimilmente elevato, che si alimenta in maniera mostruosamente (anche qui!) veloce grazie ad un’immane disponibilità di dati e informazioni. Ne segue che la sua ricerca delle fonti di ispirazione di una qualsiasi opera – ricerca che è figlia della curiosità insita in qualunque fruitore di storie, indipendentemente dall’epoca storica – può oggi essere animata e sostenuta da una abnorme voracità, tanto che non sono pochi gli autori che per primi fanno l’elenco dei riferimenti consultati ed utilizzati, anche solo per evitare il propagarsi di forum/flames/haters/etc., ad oggi possibili grazie all’estrema facilità di creazione e sviluppo di bolle sociali.

Il busillis della ripartenza

  • Sulla base di ciò, Nucci ha costruito la sua storia partendo da una serie di punti fermi:
  • il Principe delle Nebbie non è più un villain utilizzabile (e in realtà era già stato anche eccessivamente chiamato in causa nelle storie iniziali della saga): si è reso quindi necessario individuare un villain di caratura per quanto possibile similare, ossia quel Re Atro che ha soggiogato le terre dell’Argaar attraverso un potente incantesimo di oblìo – che però sembra comunque aver risparmiato qualcuno, qui e là – e che ha dalla sua quale consigliere uno specchio oscuro (qualcuno ha detto Grimilde?);
  • utilizzare nuovamente il team iniziale di personaggi principali nella sua forma “classica” poteva costituire una forzatura, per cui si è resa necessaria l’introduzione di nuovi characters, ed in particolare del piccolo Igor – anche questo un espediente narrativo ben noto, volto a spezzare il continuo ripetersi di un’esperienza narrativa sempre uguale a se stessa;
  • definire il modo attraverso cui sconfiggere il suddetto villain. L’autore ha optato nuovamente per la Spada di Ghiaccio: se il punto precedente ha una sua verità oggettiva, è altrettanto vero che, dato il tempo trascorso tra questa storia e le altre, senza contare l’importanza della suddetta spada nell’economia della saga, un “colpo di spugna” fosse giustificabile per riutilizzare alcuni elementi narrativi.

La storia risultante vede quindi entrare in scena nuove funzioni di Propp necessarie allo svolgimento del soggetto iniziale, nello specifico il ragazzino coraggioso che si oppone al circostante scenario di povertà e soprusi, ma che soprattutto si ribella al fatalismo di chi sta intorno (in questo caso il nonno di Igor, ormai rassegnato a vivere una vita di stenti sotto la tirannia di Re Atro). Il contatto con gli “eroi dimenticati” avviane inevitabilmente con le medesime modalità – il piatto degli Zoltan – sempre per il discorso della scelta funzionale di modificare alcune cose, e mantenerne altre, rispetto all’impianto originario.
La ricerca della Spada di Ghiaccio è il pretesto per ricongiungersi con le vecchie conoscenze, oltre che per consentire all’autore di fare mostra di conoscere geografia ed etnoantropologia dell’Argaar, fanservice ma non troppo. Ancora, altri elementi ripresi sono l’utilizzo del solito McGuffin (uno dei gadget di Pippo, stavolta i suoi attrezzi da prestigiatore) necessario per far proseguire la trama in alcuni punti critici, o la riproposizione tal quale di alcuni passaggi iconici (uno tra tutti, la berlina al centro del villaggio degli elfi). Infine, se qui si diceva che la saga tolkeniana non figurava tra le fonti di ispirazione di De Vita, ora invece questa trova un terreno fin troppo favorevole per inserire tanti dei propri elementi peculiari, a partire dal nome stesso del team di eroi, ossia quella “Compagnia della Spada” che chiunque sull’orbe terracqueo sarebbe capace di ricollegare a qualcos’altro.

Generazioni di autori a confronto

La differente sensibilità di Nucci come autore di questa storia, al di là del reimpiego di sue peculiari scelte narrative (come detto qui) emerge anche nella costruzione e scansione del ritmo narrativo: da un lato ci sono vari tormentoni, come quello dello “scudiero dalle grosse orecchie” per riferirsi a Topolino, che rimarca la ricerca voluta di un continuo spezzettamento del pathos attraverso l’inserimento di innesti dal tono più “leggero” (cfr. la linea comica del notaio in Boris, ma anche una grossa cifra distintiva del linguaggio dell’MCU, applicata tra l’altro ad alcuni personaggi più che ad altri); dall’altro, il modo stesso di riferirsi al lettore attraverso l’impiego delle didascalie, quale segno del fatto che chi scrive è già consapevole della portata di quanto scrive, per cui si permette di indulgere in lievi “cineserie” poco usate ai tempi – forse, nonostante ci fosse comunque qualche gag qui e là, l’intento generale era allora di prendersi maggiormente sul serio.
Tutto questo, e ancora altro su cui si preferisce non indugiare per lasciare al lettore il piacere di scoprirlo da sé, comporta un’elongazione in fase di sceneggiatura che porta la storia ad attestarsi su un totale di quattro puntate, quando ne sarebbero state sufficienti anche solo poco più di due; ci si rende conto che l’esigenza di una ripartenza significa dover disporre nuovamente tutti i pezzi sulla scacchiera, anzi trovare nuovi pezzi (in aggiunta e/o in sostituzione di pezzi precedenti) da posizionare su una sorta di variante della scacchiera originaria, tuttavia non sta scritto da nessuna parte che questo implichi la strutturazione di un racconto di ampio respiro. Da questo punto di vista, l’espediente impiegato dall’autore per presentare al lettore il necessario “riassunto delle puntate precedenti”, ossia il racconto di Lasidor il menestrello, è una buona combinazione di compattezza ed efficacia – tra l’altro, le fattezze di Lasidor richiamano molto da vicino quelle del consigliere del Re di Bedi durante il torneo dell’Argaar ☺.

Il comparto grafico è un altro aspetto su cui già si è abbastanza detto. Sarebbe stato invero interessante vedere all’opera il Maestro Cavazzano – lui e De Vita, assieme a pochissimi altri, sono i veri “big” del fumetto Disney italiano, e quindi mondiale – nondimeno l’apporto di Cristian Canfailla si fa apprezzare per la ricerca di un’interpretazione personale della caratterizzazione originaria delle storie della saga, non tanto per la vicinanza o meno del suo tratto rispetto a quello di De Vita, quanto per la scelta di optare per una colorazione più moderna, di impostazione pittorica, di certo più facilmente perseguibile rispetto al passato anche grazie al supporto delle nuove tecnologie. La sua recitazione di Pippo rimarca quanto già espresso in sede di analisi della sceneggiatura: Cristian Canfailla è consapevole dell’importanza di Pippo quale eroe “già riconosciuto” dell’Argaar, per cui il suo è uno status non da conquistare, quanto da rimarcare e rendere funzionale alle direzioni narrative individuate. Per quanto concerne gli altri personaggi, è poi in particolare su Igor che il lavoro dell’autore si concentra, dato che tocca ora a Igor seguire il percorso di caratterizzazione e di crescita che già fu di Pippo all’epoca.

Questo ci permette di arrivare ad un ulteriore – e finale – livello di analisi della storia: se Igor compare all’inizio con determinate caratteristiche, il lettore “pro” di cui prima non fa fatica a capire che, prima o poi, la sua reale funzione narrativa sarà quella del “giro di ruota”, vale a dire del passaggio da una generazione di personaggi a quella successiva, elemento anch’esso critico per consentire ad un racconto di portare a compimento quella “continuità nel rinnovamento” di cui si diceva. Solo per rimanere all’interno del (vastissimo) universo targato Disney, si può pensare al finale di Toy Story 3, o all’avvicendamento in corso del roster di Avengers all’interno dell’MCU, che a sua volta ripropone sul grande schermo dinamiche presenti da illo tempore sulle testate a fumetti della Marvel.
Le principali peculiarità qui riscontrabili sono:

  • la scelta di Nucci di procedere “per moto contrario” nello scioglimento della trama. Se all’epoca Pippo innescava i poteri della Spada di Ghiaccio inserendola “nell’apposita fessura” sulla cima del picco inaccessibile, qui invece la spada viene innescata estraendola da un blocco di roccia; e conseguentemente
  • il sempre più chiaro ruolo di Igor nell’impersonare l’archetipo del (tra l’altro) personaggio di Semola de “la Spada nella Roccia”, quale punto di volta per consentire come detto alla macro-trama di andare avanti, e ulteriore smaccato riferimento ad un classico Disney.

Il richiamo ad un classico crea un nuovo classico?

In conclusione, non siamo certo dalle parti del “non è il supereroe che volevamo, ma è quello che ci meritiamo” di batmaniana memoria. L’opera di Nucci & Canfailla  “Topolino e la leggenda della spada di ghiaccio” si posiziona quasi alla stregua di una interpretazione “di maniera” di un grande classico della produzione fantasy disneyana del nostro Belpaese: se quest’ultima ha rappresentato – come ancora rappresenta – una vetta di tale produzione, tra l’altro in un periodo costellato da altre storie di valore parimenti altissimo, come ad es. l’epopea di Marco Polo datata 1982, la storia conclusasi nel n. 3500 è un comunque valido omaggio che ben si pone nel solco della tradizione, rivisitando una serie di elementi classici ed inserendone di nuovi (sia in sede di testi che di disegni), e chiaramente ancorata all’attuale tendenza di sviluppo di universi narrativi che esplorino in lungo e in largo le potenzialità di un concept di partenza. Non è un caso infatti che Topolino e Pippo tornino a casa sul “solito” piatto degli Zoltan, quasi certamente a lasciare uno spiraglio comunque aperto a future incursioni in quel dell’Argaar, doverosamente in periodo natalizio.

Se ne sentiva il bisogno? Un lettore “pro” direbbe probabilmente di no.
È una storia che sfigura al confronto con l’originale? In realtà non c’è una vera risposta, tanta è la distanza temporale e stilistica che separa le due scuole di autori, ragion per cui “Topolino e la leggenda della spada di ghiaccio” potrebbe anche rappresentare un qualcosa a sé stante, legato sì al passato, ma a cui a buon diritto è pure ascrivibile un valore proprio, incommensurabile (nel bene e nel male) con il materiale narrativo originale.

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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