Come scrivevo nell’articolo che ho dedicato a questo collaterale nell’apposita rubrica, la collana Albi Avventura della Gazzetta dello Sport includeva un gran numero di fumetti scritti da Jean Van Hamme: classici avventurosi come Largo Winch o Lady S. ma anche feuilleton in piena regola come Rani e un gioiellino distopico e imprevedibile come S.O.S. Felicità, insieme ad altre serie. In séguito, la collana continuava con fumetti di altri autori ma tornai ad acquistarla (oltre che per Simon del Fiume) per un albo one shot, il n° 50, scritto – anche in questo caso – da Van Hamme coadiuvato ai disegni da Christophe Simon: e ho scoperto un vero e proprio capolavoro. Ma prima di parlarne, è necessario aprire una parentesi.
Alzi la mano chi ricorda che, tra il 2004 e il 2008, nel Kivu (la regione a est della Repubblica Democratica del Congo che dà il titolo a questo fumetto) si era svolto un conflitto devastante tra l’esercito governativo e le milizie ribelli sostenute dal Ruanda, “una delle tante e indistinte guerre silenziose dell’Africa, vissute dall’Occidente come una “breve” da inserire in un notiziario tv o su un quotidiano, per riempire semplicemente uno spazio rimasto vuoto [con] il coinvolgimento, al solito equivoco, delle Nazioni Unite”, come scrive Fabio Licari nella presentazione del volume. Io, confesso, non me lo ricordavo proprio e accomunavo – mea culpa – questa emergenza umanitaria, in un magma piuttosto indistinto, ad altre situazioni simili in Africa (e non solo): conflitti in cui, come sempre succede in questi casi, a farne le spese erano soprattutto i civili, in primis le donne e le bambine stuprate.
Le violenze erano però continuate fino al 2018, l’anno in cui questo fumetto è stato pubblicato in Francia dalla casa editrice Lombard e in Italia negli Albi Avventura, quando – per poco tempo – il Kivu è salito alla ribalta grazie all’assegnazione del Nobel della Pace al medico Denis Mukwege, per le cure prestate alle donne violentate e per le denunce contro il suo stesso governo, accusato di connivenza e indifferenza. Dopo, il silenzio è tornato e attualmente – tra strascichi della pandemia, guerra in Ucraina, repressione in Iran, Qatargate eccetera eccetera – sono ancora più rare le occasioni in cui la stampa generalista se ne occupa: secondo un articolo di Repubblica datato 30 novembre, lo scontro tra forze filogovernative e milizie ribelli sta producendo ulteriori atrocità (tra cui anche pratiche di cannibalismo).
Ma torniamo all’opera di Van Hamme e Simon, che hanno l’enorme pregio di realizzare una potente denuncia su questa “guerra dimenticata” senza salire in cattedra con toni da pamphlet (come accadeva a Hermann in Sarajevo Tango) né limitarsi alla semplice biografia di Mukwege, che appare sì nella storia ma in un ruolo defilato: la trama di Kivu ruota infatti attorno alle peripezie di un ingegnere europeo – catapultato in quella regione dalla sua azienda – che riesce nel suo piccolo a non farsi travolgere dalla corruzione e dalla violenza imperanti e a salvare la piccola Violette. Sviluppando una storia avventurosa e avvincente, gli autori riescono a descrivere tematiche crude e, purtroppo, reali e documentate senza mai scivolare nel morboso, riservando al finale una nota di ottimismo: vediamo infatti all’opera Mukwege, “il dottore che ripara le donne” in laparoscopia, una tecnica mininvasiva messa a punto dal chirurgo Guy-Bernard Cadière (l’unico altro personaggio biografico presente) che consente di curare le vittime di stupro e che, in una tavola precedente, aveva descritto la situazione all’allibito protagonista. “Una parte vera e propria di graphic journalism, come si ama dire adesso” – è di nuovo Licari che parla – “dove Van Hamme e Simon ci fanno scoprire la grandezza di due autentici eroi del nostro tempo.”
Un fumetto insomma da leggere assolutamente, impreziosito dall’introduzione di Colette Braeckman – giornalista del quotidiano belga Le Soir specializzata sull’Africa contemporanea – già presente nell’edizione francese e doverosamente riprodotta anche nella versione italiana.
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