Mojado e le serie in-finite di Robin Wood

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Come accennato precedentemente in questa rubrica, il virus dell’incompletezza non colpisce soltanto l’estremo Oriente o i cugini d’Oltralpe, ma affligge anche le historietas sudamericane e, soprattutto, il loro più prolifico esponente, spesso autore di serie infinite ma anche, talvolta, in-finite…

L’aggettivo “infinito” indica qualcosa che non ha fine e, per consuetudine, si usa anche per qualcosa che dura moooolto a lungo – tanto da sembrare, appunto, che non abbia fine. Ma, in alcuni aggettivi, il prefisso “in” significa semplicemente “non”: se dico “inaccettabile”, indico qualcosa che non è accettabile; se dico “intoccabile”, indico qualcuno o qualcosa che non posso toccare; naturalmente, se dico “incompleto” indico qualcosa che non è completo… e così via.

Ecco: sono qui oggi a parlarvi di Mojado, una serie scritta da Robin Wood (e disegnata da Carlos Enrique Vogt) che io ho classificato come “in-finita”, cioè che “non ha avuto una vera e propria fine”. Una serie che, a un certo punto, puff… semplicemente, non è stata più pubblicata. Una serie “incompleta”, insomma, degna secondo me di stare al fianco dei manga descritti dal nostro Diretur o delle BD di cui vi ho parlato in un precedente articolo.

Il solito saputello obietterà immediatamente: “Una serie incompleta di Wood? Magari fosse una sola… Sono tante, le serie di Wood, che a un certo punto si esauriscono un po’ così…”
Ed è vero, sono tante.

Ma se posso sopportare che alcune di queste serie “infinite”, ad esempio Nippur (centinaia e centinaia di episodi), diventino a un certo punto anche “in-finite”, cioè spariscano senza un vero e proprio episodio conclusivo (la morte del protagonista principale o la parola fine scritta dall’autore al termine di un episodio memorabile)…
Se posso sopportare che la stupenda saga di Savarese si interrompa in modo mai attestato esplicitamente – e lo sopporto perché coincide con la tragica morte di sua moglie…
Se posso sopportare che la saga di Helena si trascini per numerosi episodi ripetitivi e si interrompa – anche qui, in modo mai attestato con chiarezza – con un episodio piuttosto insignificante…

Per Mojado non lo sopporto. NON lo sopporto. NON – LO – SOPPORTO, caspiterina***!

Il saputello di cui sopra alzerà il ditino e obietterà nuovamente: “Mojado è una serie incompleta?!? Ma come, incompleta… L’episodio apparso nel 1996, sul numero 11 della XXII annata di Lanciostory, si conclude chiaramente con la parola FINE!”
Ed è vero anche stavolta, basta vedere la tavola qui a fianco.

Ma come ci si arriva a questa “fine”? Senza alcun preavviso, al culmine di una serie di episodi pubblicati addirittura ogni settimana (che all’epoca, per le historietas pubblicate dall’Eura Editoriale, era spesso segnale di grande successo e, soprattutto, di abbondanza di episodi disponibili), anche se – stranamente – la serie non viene pubblicizzata in copertina insieme alle altre. Senza una riga nella pagina della Posta, in cui a volte venivano annunciate le novità sulle serie in corso o in arrivo. Senza che, alla fine dell’episodio nel numero precedente, fosse stato scritto – come avvenuto per altre serie – “L’ultimo episodio sul prossimo numero”. Inoltre, nel 1996 la diffusione di Internet era ancora così limitata (per dire, il sito di uBC sarebbe nato alcuni mesi dopo) da non trovare informazioni in rete.

La storia di Mojado – gracile orfano messicano che finisce per diventare campione del mondo di boxe – termina insomma così, con una “non-fine”, nonostante il grande successo attestato da centinaia di episodi pubblicati e nonostante una trama che (seppur con i consueti tempi dilatati di Wood) aveva fatto tornare da poco il nostro eroe sul ring dopo aver esplorato le sue disavventure sentimentali.

Ma non è questo il luogo e il momento per parlare della serie in sé, dei suoi molti pregi e pochi difetti: mi riprometto di farlo prossimamente, con un articolo apposito nella rubrica Benemerita Eura. Qui volevo soltanto esternare il mio cocente disappunto per questa non-fine che non ho sopportato all’epoca e ancora non sopporto, una non-fine che – a mio modesto ma insindacabile parere – basta e avanza per segnalare qui questa bella serie che poteva dire ancora moltissimo. Perché per me una serie in-finita equivale a una serie incompleta, checché ne pensi tu, caro saputello… e SMETTI di alzare quel ditino!

***Come già successo in un altro articolo, mi sono autocensurato… Ma qui al posto di “caspiterina” non va inserita una delle locuzioni romanesche del vicequestore Rocco Schiavone, bensì una qualsiasi esclamazione bonelliana (ad esempio “Peste!”, “Per mille scalpi!” oppure “Sangue di Giuda!” ecc.)… anche se io pensavo a qualcosa di più forte, tipo l’esclamazione sdoganata da Lino Banfi in tempi recenti, ma senza la variante barese.

Marco Gremignai

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