Riproponiamo una storica intervista che Sergio Bonelli concesse nel 1998 ad alcuni membri della redazione di uBC. Il testo originale è di Paolo Ottolina. L’intervista era inoltre stata tradotta in inglese, francese, spagnolo e portoghese.

Ogni mese è sul ponte di comando di un’impresa dalle ragguardevoli dimensioni: non ne conosciamo il fatturato, ma non saranno di certo bruscolini. Eppure, prima di accostarvi al personaggio, accantonate ogni stereotipo sulla managerialità e sull’efficienza meneghina. Dietro al successo della SBE c’è tanto lavoro, una buona dose di fortuna e un intuito non comune. E c’è, ovviamente, un signore dai capelli grigi e dalla voce un po’ roca. Affabile, spontaneo, paternalistico, autoironico. Quanto di più lontano può esserci dalla figura del “selfmade-man” lumbard, dell’imprenditore dell’opulento lombardo-veneto che l’iconografia giornalistica e popolare descrive come attaccato ai soldi, vanesio, tronfio, pacchiano e, ovviamente, ignorante.
Sergio Bonelli per molti italiani è una firma in fondo a una rubrica di posta, un totem, quasi un personaggio immaginario al pari di Janine o di Martin Mystère. Invece esiste, ve lo assicuriamo, e ha amabilmente chiacchierato con la redazione di uBC per un’oretta, in un austero studio arredato da scaffali in cui erano raccolte, a gruppi di 5 albi, gran parte delle pubblicazioni della SBE, da successi come Tex e Zagor a misconosciuti e fallimentari esperimenti come Judas e Full. Ecco quello che ci ha raccontato.
Sergio si informa sulla nostra provenienza geografica. Giovanni, il web master, gli spiega che siamo sparsi in tutt’Italia, che ci siamo conosciuti prima in rete e poi di persona. E qui SB ci interrompe e, con bonarietà, chiarisce la sua posizione di “refrattario alla tecnologia”:
Io di Internet non ne capisco niente e ho deciso di non saperne niente. Quindi noi ci parliamo e io faccio conto che voi pubblichiate, che so, sul “Corriere della Valtellina” o sulla “Voce del Fattore” [risatine dell’uditorio, ndr]. Ho deciso di morire senza mai guardarlo, né niente…
Però almeno una volta l’ha guardato, almeno così ci hanno detto…
Sì, ma solo una volta, perché poi ci ho letto che pubblico solo delle gran cagate…[ride, ndr] Io mi concedo dei lussi, anche sbagliando: faccio finta che certe cose non esistano. Io non so usare il computer, anzi io non sono arrivato alla macchina da scrivere: la biro è la mia conquista tecnologica più avanzata.
Su uBC, dopo aver aperto una sezione International riservata alle traduzioni, abbiamo avuto molti contatti da appassionati bonelliani all’estero. Anche a lei scrivono fans da fuori Italia?
C’è un appassionato in Catalogna, Francisco Tadeo Juan [citato da Sergio nella posta di Mister No n.274, ndr]: è uno accanitissimo che fa pubblicazioni, fanzine, tutto da solo. Anche in Brasile ci sono alcuni fanzinari, a Curitiba, una città famosa perché secondo una ricerca è la città con la più alta qualità della vita nel mondo.
Mi concedo dei lussi, anche sbagliando. La biro è la mia conquista tecnologica più avanzata
Una domanda “storica”: quando morì, Galep stava lavorando su una storia di Tex. Si disse che c’erano una ventina di tavole complete. Saranno pubblicate? La storia sarà completata?
C’erano 20 tavole di quella storia, che ho fatto poi però rifare completamente da Ticci.
Come mai Ticci sostituisce sempre i disegnatori scomparsi?
Per Giolitti la motivazione era sentimentale, era allievo e grande amico, persino il suo stile era simile. Per cui mi sembrava la cosa più logica che fosse Ticci a completare quella storia, di cui c’erano già parecchie pagine. Una di quelle storie mie, chilometriche. In verità c’è un motivo se le mie storie sono così lunghe: non ho mai tempo, quando un disegnatore non ha niente da fare, io gli scrivo 10 pagine, ci metto dentro, che so, un serpente e così lui può lavorare 3 giorni con quel serpente. Tornando a Galep, ho fatto rifare le tavole a Ticci perché pensavo di scrivere tutta io quella storia (poi non è stato così) e mi piaceva lavorare un po’ con Ticci. E poi, nelle preferenze del lettore medio, Ticci è uno dei più amati. Anche Villa, ad esempio, ma è molto molto lento ed è sempre disturbato da noi con copertine e altri lavori. Sulla storia di Galep abbiamo deciso di far rifare quelle tavole già disegnate perché, sono cose difficili da dire ma è la verità, negli ultimi tempi non stava affatto bene, aveva un disturbo all’occhio che gli alterava persino la prospettiva. Lavorava in condizioni davvero impossibili. Un giorno potrei fare un’edizione speciale per quest’ultima storia, ma preferisco non farla, perché non poteva essere un lavoro ai suoi livelli.
Peccato però non vedere mai queste tavole…
Appunto, io pensavo a un numero speciale o a metterle in appendice a un Texone; ma sono imbarazzato, perché non so se è giusto farle vedere, dato che Galep stesso non era soddisfatto. Mi pongo un problema di coscienza.
Passando al lancio massiccio e ravvicinato di nuove testate, a cosa si deve questo cambio rispetto al passato?
Beh, sai, in questa azienda c’è molta casualità, a dire il vero. Siamo anche fortunati, perché le cose ci vanno bene, ma pensiamo anche di essere abbastanza bravi. Però, quel che è certo, abbiamo avuto anche molta fortuna, e questo fa sì che ci sia anche molta approssimazione. Non è l’azienda che tutti si immaginano: l’altro giorno il telegiornale [il TG5, in una serie di servizi sul fumetto italiano, ndr] ha detto “la più grande azienda dopo la Disney”. Beh, se state qui da noi un giorno, vedrete che non c’è questa grande organizzazione, c’è molta approssimazione, i ruoli non sono così definiti, non è un’azienda così rigidamente organizzata che faccia dei programmi. Non stabiliamo, ad esempio, “quest’anno dobbiamo investire X miliardi”: andiamo un po’ a naso, sull’onda di sensibilità nostre, legati al fatto che disegnatori o sceneggiatori siano in ritardo. Il fatto che ci sia quest’esplosione di testate tutte insieme è dovuta al caso: sono tutte serie in ballo da anni e anni. E noi, un po’ per pigrizia, un po’ per insicurezza, in molti casi le abbiamo rinviate. In certi casi si va più spediti: Magico Vento è stato messo in cantiere in pochi mesi, tanto è vero che abbiamo poche storie “in magazzino”, perché la decisione risale all’anno scorso. Mentre di Brendon, un fantasy, mi sembra che se ne parli da tutta una vita…
Qui non abbiamo poi quella grande organizzazione che si può immaginare. Andiamo a naso
Perché date poche anticipazioni e notizie certe sulle uscite venture?
Perché ci riserviamo una percentuale di errore, di capriccio. In realtà ci troviamo in una situazione in cui bisognerebbe guardare a cosa succede al mercato, che è fiacco, e invece abbiamo tanti nuovi personaggi in ballo. C’è Julia di Berardi, sembra che ne parliamo da 10 giorni, e invece lui ci sta lavorando sopra da un anno e mezzo. Sembra che la Bonelli sia esplosiva, vivace, invece siamo piuttosto lenti e abbiamo molte insicurezze. Non abbiamo la vocazione a mettere in giro tutte queste cose insieme… Anche perché incoraggiamo progetti estemporanei, come Napoleone, che è gestito dall’autore, Ambrosini, e ha pochi disegnatori. Si è preso la briga di non perturbare più di tanto le altre serie e di gestire quei pochi disegnatori che aveva. D’altronde non voglio illudere nuova gente assumendo, che so, trenta nuovi disegnatori quando non so dove stiamo andando a parare: Magico Vento è arrivato al n.8 e ancora non abbiamo capito se sarà un successo che dura 10 anni o se chiuderà dopo 3 anni di vita. Io non voglio dare un lavoro a un giovanotto e poi lasciarlo per strada perché non riesco a vendere.
D’altronde il fumetto è in difficoltà in quasi tutto il mondo…
Sì, io arrivo dall’Inghilterra e non riuscivo a trovare un fumetto in edicola neanche a pagarlo un miliardo, tranne i manga e gli americani venduti nei negozi specializzati. Fumetto seriale e in bianco e nero, neanche l’ombra. In Francia editano 20-30 pagine di Tex al mese, in formato piccolissimo, quando fino a qualche anno fa quasi tutte le nostre testate avevano un’edizione transalpina. Loro sono stati i primi a dare una svolta storica, qualche anno fa: adesso pubblicano quasi esclusivamente questi cartonati, a colori. Che un tempo erano sinonimo di qualità, ora è solo una formula, non è più il premio che l’editore concede all’autore meritevole.
Anche negli altri paesi il fumetto popolare non vende più?
Sì, noi riuscivamo a vendere i nostri fumetti in Svezia, in Jugoslavia, in Norvegia. In Finlandia qualcosa vendiamo ancora perché è un mercato vecchio e tradizionale: probabilmente vendono solo per abbonamenti, per il freddo non riescono ad andare in edicola, non si sono accorti dei cambiamenti e così si passano i Tex di padre in figlio [risatine generali, ndr]. In Brasile è il solo posto dove continuano a vendere, nel Sudamerica. Veramente continua il solo Tex, gli altri (Nathan Never, Dylan Dog, Zagor) hanno provato tutti, ma sono scomparsi.
Anche Mister No era arrivato, laggiù, ci risulta.
Sì, ma 3 o 4 numeri, quello era un editore ancora più scalcinato, quello è sparito nella giungla amazzonica. Senza pagare, ovviamente. Invece, quello di Tex è un grande editore, lo stesso proprietario di Rete Globo. Tex vende 30-40.000 copie, secondo solo a Mauricio De Sousa, il Disney brasiliano.
Ora c’è questo progetto di pubblicare con la Dark Horse negli Stati Uniti…
Io non me ne occupo in prima persona e non ne so moltissimo, sinceramente. So che si farà questo tentativo che, per ovvi motivi, avrà caratteristiche diverse dalla nostra edizione. Sarà un tentativo che loro fanno malvolentieri, per il bianco & nero e per il numero delle pagine. È un mercato su cui non abbiamo mai potuto contare, troppe differenze: là sono contrari alla formula del “continua” e anche solo 100 pagine sono già troppe… E c’è anche tutto un altro modo di narrare.
Tornando in Italia, di Berardi già sappiamo. Per quanto riguarda Milazzo, si prevede che riesca a finire il suo Texone in tempi accettabili?
Oh sì, si è messo al lavoro con molta buona volontà e ha già fatto un buon numero di pagine [ne avete potuto vedere un’anteprima nel numero scorso, ndr]. Ora sta facendo il suo “rodaggio” sul personaggio e certe facce di Tex sono ancora da “approvare”. Gli manca un po’ la mascella da incassatore, è un po’ delicatino. Anche se è nella filosofia del Texone avere interpretazioni del protagonista un po’ diverse, che sulla serie regolare non verrebbero accettate. E’ un gioco che mi concedo, per far crescere il lettore medio che vive di grosse passioni ed è portato a non rispettare il lavoro del grande autore se si discosta dai disegni abituali.
E questa nuova, ahimè, chiusura di Ken Parker?
Ken Parker è una pubblicazione che io ho molto amato. Ho dato via libera agli autori quando si sono presentati qui col progetto, e poi ho lasciato loro molta autonomia perché ho capito che erano bravi. Però soffrivo molto perché non riuscivamo ad affermarla: c’era un successo di tipo qualitativo, capivamo che i lettori erano abbastanza particolari. Avevamo conquistato ai fumetti gli universitari, ad esempio. E quando avevamo raggiunto una tiratura decente, è scoppiata questa illusoria prospettiva delle riviste d’autore e loro hanno preferito uscire dalla serialità, che ovviamente impone certe scelte. Poi si sono messi per conto loro e hanno cominciato a uscire ancora più sporadicamente. Da quando sono tornati con noi, ci sono, purtroppo, due osservazioni da fare: il pubblico dei vecchi lettori è poco (sui 20-25.000) e per le nuove generazioni è una tematica ormai “spuntata” e non ha avuto successo. Inoltre, gli autori stessi hanno un po’ esaurito la voglia di raccontare quelle tematiche e un po’, proprio, l’interesse per il personaggio.
Allora non sarebbe il caso di chiudere la vicenda del personaggio con la ventilata “morte di Ken Parker”?
Io ho fatto una mia richiesta ai due autori, e loro hanno promesso che ci penseranno. A me spiaceva che si fosse interrotta mentre Ken era ancora in prigione. Loro mi hanno detto che per ora non hanno tempo, ma ogni volta che li vedo, io insisto.
Voci di corridoio danno alcune testate al limite della “soglia di guardia”. Il suo Mister No rimarrà in vita, chiuderà, verrà mantenuto in vita “artificialmente”?
Beh, se il pubblico, come mi auguro, accetta questo aumento di copertina allora non è certo così fallimentare da essere chiuso. A meno che noi non facciamo una tale autocritica da dire: il personaggio Mister No ha già detto tutto e non vale la pena di continuare. Da un ragionamento simile sono esclusi ovviamente i grandi successi, perché altrimenti Tex avrebbe già detto tutto da un bel pezzo. Se gli autori faranno fatica a trovare nuove ispirazioni, allora chissà… Sapete, noi ci affezioniamo molto ai nostri personaggi: non solo a Mister No, perché l’ho scritto io, ma a tutti. E poi diciamo anche una verità scomoda: oggi arrivare a vendere 37-38.000 copie con un nuovo personaggio non è semplicissimo. Se io chiudo Mister No per lanciare una serie e questa mi vende 15.000 copie, come è capitato ad altre case editrici, io che figura ci faccio?
Ma Napoleone e Magico Vento sembra siano andati bene. O no?
Sì, ma sono sotto osservazione. Voi lettori ci date sempre l’opportunità di una prima uscita. Quando io esco con una nuova serie, l’edicolante vede la pubblicità sugli altri albi, capisce che è un mio prodotto, e gli riserva uno spazio. Il lettore passa, vede un nostra cosa nuova e dice “vediamo com’è”, perché sa che grossi bidoni non gliene abbiamo mai dati. Poi magari non gli piace e ci molla al terzo numero. Ma una chance ce la dà sempre. Magico Vento è partito molto in alto, sulle 130.000 copie, ora si è abbassato, bisogna capire qual è la quota su cui si va a stabilizzare.
Tenendo conto che i lettori giovani sono oggi molti di meno, non sarebbe meglio puntare su miniserie?
Vedi, noi siamo gente lenta e pignola. Ci piace pensare che quando si spendono energie per un nuovo lavoro, questo possa continuare per un po’. Non ci piace aprire e chiudere, aprire e chiudere. Anche se è una strada che stiamo, in parte, seguendo: Napoleone è una miniserie. Però noi la teniamo d’occhio e possiamo, teoricamente, trasformarla in una serie fissa se va bene. Se va male, diciamo “stavamo scherzando, tanto lo abbiamo sempre detto che finiva” [risatine, ndr]. Per noi, comunque, un progetto a termine è già avvilente in partenza.
Un esperimento editoriale come quello della Bonelli-Dargaud è improponibile per il futuro?
Ahimé, “Pilot” vendeva 15-17.000 copie. Il rimpianto da tutti “Orient Express” non è mai arrivato a 20.000 copie. In teoria, gli albi della Dargaud potevano continuare, visto che era materiale straniero e costava poco. Ma addirittura quegli albi vendevano 5-10.000 copie. Era una perdita economica rilevante. Noi non stiamo mai troppo a guardare le cifre, se una serie è leggermente in perdita viene compensata dal grande successo di altre. In quel caso, però quelle vicende erano legate all’illusione di un mercato che è finito, quello delle riviste d’autore. Anche da noi, Comic Art è tornato in edicola, ma purtroppo temo che non potrà durare.
Una domanda che tutti si pongono sottovoce: che cosa succede quando Sergio Bonelli se ne va in pensione e lascia la Sergio Bonellli Editore?
Oh, quello sarà un cataclisma [ride, ndr]. Purtroppo, questa è un’azienda molto basata sulla mia persona. Un tempo molto più di adesso, visto che ora c’è gente capace che sa far funzionare le cose senza di me. Tu hai citato la pensione, e sarebbe anche giusto. Manca il delfino, perché in altre aziende c’è un erede pronto a continuare il lavoro del padre. Io ho un figlio, che però non è interessato e non proseguirà. L’idea che mi piacerebbe più di tutte sarebbe che ognuno degli autori si portasse avanti la propria pubblicazione. Un’altra idea è fare una cooperativa, ma temo che dopo un anno i vari autori si scannino e non rimanga più nulla. Un’altra ipotesi, ovviamente, è che un signore si compri l’azienda, ma in questo caso ci vorrebbe il consenso degli autori. Questa non è una società di calcio e io non sono il presidente. L’ipotesi più seria sarebbe che ogni autore diventasse editore di se stesso, come fa Secchi. Certo verrebbero a mancare quelle che oggi chiamano “le sinergie”.