C’era una volta…
“Un Normale Studente Giapponese!” direte voi, piccoli saccenti stracciamaroni immaginari che evoco per puro effetto comico.
Ebbene sì: Yuji Itadori è un normalissimo studente giapponese: corre i 100 metri di poco al di sotto del record mondiale juniores, con un malriuscito lancio stile baseball infrange il record studentesco di lancio del peso, ma disdegna di costruirsi una carriera d’oro nei club di atletica prediligendo il “Club di Ricerca Paranormale” che finisce le sue attività nel primo pomeriggio e gli lascia il tempo di andare a visitare il burbero nonno malato che lo ha cresciuto.
Essendo, ovviamente, privo di genitori (convenientemente non viene detto se sono deceduti, spariti o in viaggio per lavoro).
Quando il nonno serenamente decede in solitudine lasciandogli come monito: “Aiuta gli altri, così quando arriverai alla fine della tua vita non sarai solo come me”, Yuji può finalmente incamminarsi verso il futuro e divenire:
- La luminosa stella dell’atletica giapponese
- Un anonimo salaryman frustrato
- Un inquietante casalingo ex-Yakuza
- Il recipiente della più terrificante maledizione incarnata di tutta la storia del Giappone per salvare i suoi senpai del Club di Ricerca Paranormale durante uno sfortunato incidente di ricerca
- Orietta Berti
Eeeeee… chiaramente la risposta corretta è la “4”! (anche se molti di voi saranno stati tratti in inganno dalla “5”, lo so).
A quel punto, ospitando nel suo corpo l’equivalente di un’arma di sterminio di massa, Yuji incontra il benevolo apprezzamento della occulta comunità di stregoni esorcisti del Giappone che decide con molta efficienza di metterlo a morte.
Fortunatamente (?) lo svagato Satoru Gojo, che è anche il più potente stregone esorcista mai esistito, intuisce nel fatto che Yuji sembra in grado di contenere l’altezzoso e spietato Ryomen Sukuna (la maledizione incarnata) la possibilità di liberarsene definitivamente: se Yuji riuscirà ad assorbire completamente Sukuna, solo allora sarà utile giustiziarlo ed estinguere una minaccia secolare.
O, almeno, questo è quello che dichiara: svagato, imperscrutabile, sicuro di sè fino ad essere insopportabile ma anche estremamente umano: capire le vere intenzioni del Professor Satoru Gojo dell’Istituto di Arti Occulte di Tokyo è impossibile tanto per il lettore quanto per Yuji.
L’unica cosa certa è che da un momento all’altro il nostro giovane liceale si trova trasferito di scuola e pronto ad incontrare i suoi compagni di classe: il giovane prodigio evocatore di shikigami (servitori spiritici) Megumi Fushiguro, che ha salvato ed è stato a sua volta salvato da Yuji, e la fattucchiera di campagna Nobara Kugisaki. Tre allievi per l’intero primo anno! Alla faccia degli istituti “esclusivi”.
Fatta la sinossi, parliamo del manga: scritto e disegnato da Gege Akutami, Jujutsu Kaisen – Sorcery Fight è il classico shonen soprannaturale medio in cui studenti adolescenti, professori poco più che adolescenti e potentissimi presidi maturi o proprio decrepiti, affrontano orrori abissali a colpi di tecniche esoteriche che vanno dai più ignoranti (ma efficaci) “Pugni nelle mani”, ai classici feticci da inchiodare o armi demoniache, fino alla manipolazione di concetti fisici e metafisici quali il “vuoto” o la “misura”.
Quello che distingue Jujutsu Kaisen dalla pletora di shonen più o meno assimilabili è l’ottima capacita di sceneggiatore di Akutami che potrei riassumere con una singola qualità: “umiltà”.
Akutami si muove con estrema prudenza e misura dei propri mezzi: niente di Jujutsu Kaisen è particolarmente originale. L’autore attinge a piene mani dai “topoi” dello shonen degli ultimi decenni con una evidente e grata ammirazione che diventa rapidamente padronanza.
Niente è particolarmente originale, ma nulla è sbagliato, fuori posto o malamente scopiazzato: si pensi all’intuizione di avere una classe di aspiranti esorcisti di soli tre individui laddove molti shonen distribuiscono tale capacità a parole rarissima su interi convitti da migliaia di studenti.
Ancora: al protagonista Yuji viene affiancato immediatamente il deuteragonista Megumi ed è impossibile non vedere in loro il dualismo Naruto/Sasuke (Naruto) che a sua volta era citazione del dualismo Hanamichi Sakuragi/Kaede Rukawa (Slam Dunk): il focoso entusiasta dotato di potenza inarrestabile opposto al compassato primo della classe benedetto dal puro genio.
Akutami cita questo classico ma ne sfugge il clichè: l’ammirazione reciproca, e meritata, che ciascuno dei due poli ha per l’altro è subito esplicitata e l’opposizione diventa immediata alleanza. Senza però perdere necessariamente di brio ma andando a giocare non sulla rivalità ma sulla difficoltà di “accordarsi”: due concertisti prodigio che dovranno presumibilmente provare e riprovare a lungo prima di omogeneizzare i propri ritmi.
E questo non è l’unico clichè che Akutami dimostra di aver evidentemente letto e riletto fino al punto di poterlo espandere o ribaltare: quasi ogni personaggio è narrato rispettandone l’archetipo ma nel contempo completandolo con aspetti coerenti ma mai abbastanza esplorati.
Altro esempio di questa riflessione “da fan” che diventa motivazione “professionale” è lo spazio riservato al “Professor Gojo”. Se Yuji e Megumi ricalcano Naruto e Sasuke, è impossibile non pensare a lui come un omaggio al fortissimo, e svagato, maestro ninja Sasaki (addirittura, laddove Sasaki esibiva una benda sull’occhio, Gojo ha proprio una fascia che copre entrambi gli occhi proprio perchè, esattamente come Sasaki, il suo potere devastante si esprime tramite la vista).
Ma mentre Masashi Kishimoto aveva di necessità dovuto tenere ai margini lo strapotente ninja, Akutami ritiene che non sia necessario: la regola dello shonen che vorrebbe i protagonisti adolescenti sul palco il maggior tempo possibile per favorire l’immedesimazione del pubblico, viene stravolta in favore della “rule of cool”. Gojo è strapotente, affascinante, divertente e Akutami ne è perfettamente cosciente, come è cosciente che altri adulti possono diventare rapidamente punto di riferimento per la narrazione. Ad esempio il “salaryman esorcista” maniaco dell’ordine e degli orari Kento Nanami a cui vengono riservate intere scene madri.
Certo, questo può essere anche favorito da quella “seinenizzazione” (con “seinen” si indicano le opere indicate al pubblico più maturo) dello shonen individuata dal recensore e podcaster Andrea Peduzzi, che nell’ultimo decennio ha cominciato ad incrinare la barriera netta creatasi tra i target negli anni ’90 e ritornando agli anni ’70-80 in cui Go Nagai era shonen. Comunque sia si tratta di una pregevole intuizione e ad Akutami ne va riconosciuto il merito.
Per quanto attiene al profilo grafico, un po’ “casca l’asino”.
Quello che si può dire del tratto di Akutami è che è “funzionale. Ha una decente competenza anatomica, una decente capacità di scenografo, una decente attitudine registica, una decente percezione del ritmo. Si può poi apprezzare la scelta di non eccedere nella facile concessione estetica: i personaggi maschili e femminili sono “interessanti” e empatici, non certo “bellibellibelli in modo assurdo”. Cosa particolarmente commendabile nel momento in cui è evidente che le ragazze sono concepite per essere credibili come guerriere in un ambito di “lavoro” che richiede fisicità e un tocco di follia autolesionista.
Ma non ci si può negare che alla fine siamo di fronte ad un “medio artigiano” a cui difetta la capacità tanto di accattivare con la dinamica estetica di un Shun “Kenichi” Matsuena, quanto con il puro talento per il fomento di un Kazuhiro “Ushio e Tora” Fujita.
Detto questo, in un periodo in cui mi è capitato di lamentarmi per una certa “bonaccia” nell’ambito shonen, avere un titolo che ne tiene alta la bandiera(e così facendo ottiene i giusti riconoscimenti di vendite) grazie ad un evidente amore per il genere affiancato ad una buona capacità, direi che è motivo di gioia.