Ogni tanto escono ancora storie inedite che ti ricordano perché segui una serie da una vita. Come “Sangue Kiowa”, pubblicata nei primi albi del 2020 di Zagor, scritta da Jacopo Rauch e illustrata da Joevito Nuccio. Accolta da una reazione “social ” entusiastica, un fatto molto significativo in questi tempi di “leoni da tastiera”, è un episodio da cui si possono trarre alcuni insegnamenti per una serie che si accinge a compiere sessant’anni di pubblicazioni.
Il primo è che l’originalità è un tema sopravvalutato nel giudizio da riservare a una storia. Per “acchiappare” i lettori non c’è affatto bisogno di scervellarsi per escogitare chissà quale trama più o meno improbabile, contorta o sconvolgente: è sufficiente uno spunto anche semplice e già visto infinite volte, come la vendetta.
Il secondo insegnamento è che, per scrivere una storia appassionante, una condizione indispensabile è recuperare l’essenza dei personaggi a disposizione, le loro relazioni, e farli agire e persino scontrare di conseguenza. La stessa identica trama di “Sangue Kiowa”, con un altro pellerossa inventato per l’occasione da contrapporre una tantum a Zagor, non avrebbe mai generato lo stesso coinvolgimento.
Ma qui abbiamo a che fare con Winter Snake, il fiero avversario dello Spirito con la Scure nella sua storia più bella di sempre per tanti lettori (incluso il sottoscritto). Un ritorno atteso, perché una volta diventato amico di Zagor era pressoché “sparito” dalla serie, restando confinato negli ultimi trent’anni in apparizioni simboliche o finendo per somigliare a un “clone” di Tonka, il fratello di sangue dello Spirito con la Scure fin troppo diplomatico e prudente, spesso utilizzato al solo scopo di aggiungere “potenza di fuoco” al protagonista.
Il sakem dei Kiowa è invece una “testa calda”, il cui odio per i bianchi è forse inferiore soltanto al rispetto nei confronti di Zagor. Rivederli contrapposti era pertanto un grande motivo di interesse, che è stato sfruttato con intelligenza e naturalezza: una vendetta di sangue che Zagor non può permettere che avvenga, senza tragiche e più vaste conseguenze per l’intera Darkwood, dato che l’obiettivo del capo dei Kiowa è nientemeno che un Senatore degli Stati Uniti a cui è legato da un tragico episodio del passato.
Il terzo insegnamento è che, nonostante la tradizione della serie, non necessariamente una storia deve essere di ampio respiro per restare negli annali e nel cuore dei lettori. “Sangue Kiowa” è in effetti di appena 130 tavole, equivalente a neppure un albo e mezzo quando la foliazione media attuale è ben più abbondante.
La trama agile e concentrata di “Sangue Kiowa” ha il suo punto di forza nell’avere focalizzato l’attenzione su Zagor e Winter Snake, senza elementi di disturbo. Se c’è una cosa che il proliferare di formati differenziati degli extra zagoriani (si va da quello “minimal” delle strisce a quello massimo dei Maxi) sta evidenziando, infatti, è che un’idea narrativa, grazie all’uso di espedienti (flashback, partenze “in medias res”, fughe, scontri e inseguimenti talvolta così dilatati che più che esaltare il linguaggio del fumetto finiscono con lo “scimmiottare” i ritmi televisivi), si può comprimere o espandere a seconda dello spazio a disposizione. L’inserimento di più sottotrame e coprotagonisti, oppure di una fuga disperata del Senatore tra foreste, fiumi e rapide per decine di tavole, avrebbero davvero aggiunto qualcosa o piuttosto annacquato il tutto?
Certo, l’ideale sarebbe che lo stile di scrittura asciutto ed essenziale di “Sangue Kiowa” fosse la regola per ogni racconto, in modo che ciascuno avesse la propria durata “naturale” (un elemento che si è perso da quando quasi tutte le storie ha una lunghezza “fissa” pari a X albi completi, con tutti i pro e contro del caso), ma qui si entra in un altro discorso.
A “Sangue Kiowa”, nonostante la breve durata, non è pertanto mancato nulla di quello che serve per appassionare e avvincere: mistero, situazioni limite, lo scontro che tutti sognavamo di rivedere in cui Zagor e Winter Snake se le dessero di santa ragione e dialoghi che hanno sottolineato le loro visioni inconciliabili sulla giustizia. Come nella frase simbolo che precede il loro scontro:
“Potrei aiutarti ad avere giustizia…”
“No, Zagor! … Tu hai il tuo cuore di un uomo rosso… ma la tua testa è quella di un bianco!… La giustizia di cui parli è quella delle parole e dei processi… la mia, quella del sangue!”
La sola cosa di cui ho avvertito l’assenza è stata una ricomposizione meno sbrigativa della temporanea frattura tra Zagor e Winter Snake. Non che la soluzione trovata non sia stata suggestiva: a vicenda risolta, Cico si domanda se loro e il pellerossa siano ancora amici, e la risposta di Zagor (“più che amici… fratelli!”) si sovrappone, con uno stacco temporale, a una sequenza muta in cui Winter Snake li attende e si unisce a loro, fianco a fianco, nella cavalcata con cui si congedano dai lettori. Tuttavia, dopo le botte da orbi con Zagor e il ferimento di Cico, si sarebbe potuta spendere qualche parola per chiudere il cerchio: nulla di troppo psicologico né sopra le righe, intendiamoci, perché Zagor non è una di quelle serie in cui i rapporti tra i personaggi si modificano per le vicende di un episodio specifico. Né ha nel proprio DNA una trama orizzontale di continuity, se non molto blanda, anche se negli ultimi anni su questo fronte sono in corso nuovi esperimenti, come con i ritorni dei supernemici frammentati in più puntate.
E a questo proposito, nell’ultima tavola vengono promessi sviluppi futuri: un complotto ai danni degli indiani di Darkwood per prendersi le loro terre, orchestrato da un nemico senza volto che potrebbe sfruttare le occultate responsabilità di Winter Snake nella morte del senatore, tra i complici del piano. La mia personale speranza è che questa minaccia porti a una storia di indiani e soldati di portata epica, di cui sulla serie si avverte da tempo l’assenza.
Nel frattempo questo scontro tra Zagor e Winter Snake è a prescindere destinato a diventare un grande classico. Uno scontro solo temporaneo, naturalmente: due uomini come loro, con la loro storia personale, che hanno imparato a conoscersi e rispettarsi profondamente, possono anche ritrovarsi l’uno contro l’altro, ma quando viene meno il motivo contingente che li contrappone non possono non ritrovarsi.
“Più che amici… fratelli”, appunto.