Un cacciatore di serial killer apparentemente in pensione. Un Indagatore dell’Incubo che incontra di nuovo il più grande amore della sua vita, e incappa in una sua nemesi del passato. Una misteriosa figura incappucciata che uccide i “vampiri” della società. Una Londra distopica in tricromia. Il soggetto elaborato da Chiaverotti e Recchioni si imbarca in un viaggio tra gli anni ’80 alternativi figli del contesto e dell’epoca in cui è ambientato Morgan Lost, portando quest’ultimo al di là dell’oceano in cerca di una nuova esistenza in una Londra più giapponese che britannica, almeno fino a quando una nuova tragedia personale lo porta a far urlare il campanello del n.7 di Craven Road.
La storia porta con sé numerosi spunti che, complice anche il numero di pagine inferiore rispetto alle canoniche 94, cerca di tenere alto il ritmo senza concedersi troppi passaggi a vuoto: ciò toglie ad alcune sequenze un po’ del fascino che era lecito aspettarsi, come ad esempio il momento del primo incontro tra i due comprimari, ma acquista un senso se letto alla luce della contrapposizione tra i modi spicci di Morgan e le tempistiche del quinto senso e mezzo di Dylan. In mezzo, la riproposizione di Bree Daniels (quasi un what-if nel what-if) e la poetica sul personaggio Morte, quest’ultimo aspetto forse marcato leggermente un po’ troppo rispetto al necessario – cifra stilistica del resto, nel bene e nel male, da sempre caratteristica di Chiaverotti nella sua gestione di Dylan Dog.
Il tutto ci viene mostrato attraverso l’interpretazione in bianco, nero e rosso di Val Romeo, che ci restituisce una Bree eccezionale, un Morgan teso e genuinamente disperato, ma un Dylan abbastanza ingessato nelle espressioni, come un Ken qualsiasi. Spiccano però almeno un paio di inquadrature al limite del porno soft-core tra Dylan e Bree, che hanno almeno il merito di rappresentare le acrobazie da camera da letto dell’Indagatore dell’Incubo come non era difficile ritrovare nei primi anni di vita della serie (e in questo va fatta particolare menzione al maestro Luigi Coppola).
Il finale ridona valore all’intera storia, riequilibrando le debolezza del cliffhanger, e lasciando aperta la porta
per interessanti sviluppi.