L’estate, il mare, il sole, il tempo per leggere, un amico che ti scarica una carrettata di volumi (grazie, Andrea) che altrimenti non avresti mai letto.
La voglia di leggere, la voglia di scrivere.
Un articolo da spezzare in due, tanto è venuto lungo.
Cominciamo!
Motor Girl – Terry Moore
Motor Girl è immenso.
Non ci sono altri modi di definire questo altro capolavoro di Terry Moore, ad oggi forse il mio preferito perché, oltre ad avere tutto ciò che ci si aspetta da un fumetto del maestro texano ha anche, prendendo a prestito le parole di un valido osservatore (grazie, Andrea), un finale come si deve.
Che, diciamocelo, era sempre un po’ il punto debole della magniloquenza visiva e testuale di Terry Moore.
Invece, sarà per il fatto di essere contenuto in un singolo volume, sarà per il fatto che in qualche modo si percepisce che Moore voleva, doveva, spargere con la sua pesantissima leggerezza sale su una ferita aperta, infetta e pure minimizzata, come la “guerra di pace”, la chiusa di Motor Girl è finale e risolutiva. E nel senso più bello e semplice che si possa pensare.
Non quelle cose sospese (ops… spoiler su uno dei prossimi titoli) da verismo spicciolo, non lo stucchevole “e vissero tutti felici e contenti”, ma un semplice “e vissero”.
Ma sto correndo troppo e però non so quanto vi interessi sentirvi raccontare (da me, poi) che Motor Girl racconta della bella Samantha “Sam” Locklear, sfasciacarrozze full-time e Sergente dell’esercito dello Zio Sam in congedo con i massimi onori dopo essere sopravvissuta a non una ma due esplosioni e alla prigionia in un rifugio dei tanti nemici che gli esportatori di democrazia si fanno senza capirne, a quanto sembra, bene il motivo. Di lei, del suo compagno gorilla immaginario Mike, della vecchia Libby proprietaria terriera dalla faccia di pietra e dal cuore d’oro, della maldestra coppia di… uh… “professionisti” Victor e Larry inviati dalla classica perfida corporation e dagli alieni Bik e Beep.
No… in effetti a ben pensarci non vi può interessare che io vi racconti la storia: Motor Girl si legge, non si riassume. Non si insulta con una riduzione la storia divertente e surreale, simile alle commedie dei Fratelli Cohen, di pochi giorni assolutamente normali.
Normali come normale è tutto ciò che accade in un sogno sognato dopo una giornata orribile e crudele.
Ah, per dovere di completezza, Motor Girl è pubblicato dai soliti schiacciasassi della Bao, che si appuntano un’altra medaglia al petto. E che gli devi dire?
Senzanima – Enoch, Vietti, Alberti
Una elegante confezione cartonata edita dalla Sergio Bonelli Editore, di quelle che i nostri cugini d’Oltralpe considerano lo standard per il fumetto ma che noi (e non so dire se a torto) riserviamo agli oggetti di lusso, racchiude la storia dell’iniziazione alla vita da mercenario del giovane Ian Aranhil nella peggiore (o migliore, dipende dai punti di vista) compagnia del territorio: i Senzanima.
Non è una storia di cavalleria, non è una storia di gesta eroiche, non è una storia di torti riparati: si ammazza il nemico, si saccheggiano i cadaveri, si guarda dall’altra parte mentre le donne vengono stuprate ed i bambini lasciati a morire. Si incassa la paga, si sopportano i riti della compagnia, le regole della gerarchia e gli abusi dei veterani, si va a prostitute. Se si ha tempo, voglia e spirito, si prova a rimanere sé stessi.
La sceneggiatura di Luca Enoch su un’idea di Stefano Vietti viaggia scorrevole e prevedibile (non necessariamente in senso negativo) su un ambientazione fantasy-realistica ben resa dai colori e chine di Mario Alberti. Alla fine della lettura non ci sono motivi di insoddisfazione ma resta un amaramente ironico interrogativo.
Come è possibile, si chiede il lettore di una certa età (non io, ovviamente, mi riferivo a… uh, mio zio!), che sia necessaria una copertina cartonata, la destinazione allo scaffale da libreria, e l’esplicita e dichiarata intenzione di fare del fumetto “adulto” per permettere alla Sergio Bonelli Editore di raccontare nel 2018 quello che Skorpio e Lanciostory hanno settimanalmente mandato in edicola praticamente fin dalla loro nascita nella seconda metà degli anni ’70.
Cosa è andato storto? Cosa in tutti questi anni non si è capito… o si è rifiutato di capire?
Sherlock Holmes: il primo problema – Sylvain Cordurié, Alessandro Nespolino
L’Editoriale Cosmo non è forse l’editore di cui parliamo più spesso, eppure basta dare un’occhiata al loro catalogo per sospettare di trovarsi di fronte a chi senza troppi giri di parole fa fumetto “popolare” pubblicando “di tutto un po'”.
In quest’ottica, arrivando fin quasi a sfiorare il “pulp”, si colloca la collana Weird Tales che ha mandato in edicola titoli come Mister Hyde contro Frankenstein e questa reinterpretazione di Sherlock Holmes. Da “completista” dell’insopportabile saccente con la mantellina (“Maledeetto Huolms!” direbbe il Moriarty russo-piemontese doppiato da Mauro Bosco nella serie animata Il fiuto di Sherlock Holmes ) era quindi difficile che non gli dessi un’occhiata e la spiaggia era il luogo ideale.
L’occasione è quindi stata questo Il Primo Problema che, però, è stata solo una mezza soddisfazione. Da una parte i disegni e lo stile “italianissimo” di Nespolino sono stati una vera boccata d’aria fresca. Sembrerà strano detto da chi veleggia abitualmente tra le letture dei giovinastri d’oriente, ma tanta regolarità nella costruzione di tavola e attenzione ad anatomia e scenografia si sono tradotte in un vero piacere.
Purtroppo la sceneggiatura di Cordurié ha invece un fatale difetto. Volendo narrare l’origine dello Sherlock Holmes dei Weird Tales alle prese con temi gotici da feuilleton o fantascienza pulp e rivelando tale intenzione fin dal titolo che si pone agli antipodi de Il problema finale , ovvero l’avventura con cui Conan Doyle cercò inutilmente di liberarsi della sua ingombrante creatura, decide incomprensibilmente di farlo con un taglio hard boiled improntato al realismo.
Qui naturalmente si tratta di gusti, ma è indubitabile che una icona come Sherlock Holmes abbia costruito il suo successo sulla mitizzazione delle sue capacità, trascendendo di parecchio persino la visione originale (sintomatico il saccente “Elementare Watson” che Conan Doyle non scrisse mai). I più recenti successi della sua reinterpretazione, dall’atletico Holmes interpretato da Tony Stark Robert Downey Junior al sociopatico alieno perfettamente reso da Benedict Cumberbatch, sono innanzitutto dovuti a questa spinta superomistica.
Sherlock Holmes, sopravvissuto persino alle intenzioni omicide del suo autore, è oltre la sfera dell’uomo.
Questo Sherlock Holmes, pur trovandosi ad ingaggiar battaglia con un Moriarty ammanicato con una loggia massonica di licantropi ed in possesso di uno strumento per depredare la psiche, non lo è. È un comune detective dall’intelligenza attiva, dalla notevole tenacia e con una buona conoscenza delle arti d’autodifesa.
Così è facile per un lettore chiedersi se la stessa avventura non potesse essere stata scritta per un altro personaggio, rimanendo in ambito italiano diciamo Nick Raider o, meglio, Martin Mystère, senza suonare fuori luogo.
Il primo problema, quindi, sembra essere più che altro un problema di identità.