E’ inutile farne un dramma: il mercato dei manga è… beh, un mercato.
Condizionato dalle mode, teso a vendere il vendibile e sfruttare lo sfruttabile fino a che non resta nulla.
Vanno gli shonen? E shonen siano! A valanghe, a cataratte: dieci, cento, mille titoli che si basano sullo stesso presupposto!
Gli shonen hanno inflazionato con i loro buoni sentimenti e personaggi che superano ogni ostacolo in nome dell’Amicizia (“A” rigorosamente maiuscola)? Rilassiamoci con un po’ di “giochi distopici” in cui registi onnipotenti creano incubi in cui le uniche scelte sono morire o lasciar morire e i personaggi dai buoni sentimenti sono morti quasi sempre subito liberando il pubblico dal dovere di tifare per loro. Giochi di morte siano! A valanghe, a cataratte!
I giochi mortali hanno depresso? Viriamo sul “survival”: personaggi positivi e sentimenti forti messi alla prova da un ambiente reso da un momento all’altro ostile e letale! Tifate per i personaggi ed assistete alla loro determinata marcia verso la sopravvivenza, a tutti i costi, anche a costo della vita! A valanghe, a cataratte!
Tutto bene, tutto bello ed anche normale, ma chi non si riconosce nel “genere del momento” si trova un po’ come un orso svegliatosi troppo presto dal letargo: con una fame bestia e quattro prede smagrite da consumare. Ogni riferimento al sottoscritto è assolutamente intenzionale e dichiarato.

E quindi niente, in tempi di magra non c’è che da ringraziare una scaffalatura robusta e custode di titoli accumulati in [censura] anni di acquisti ossessivo-compulsivi.
Inaugurando quindi questa rubrica inventata per disperazione, sono fiero di presentarvi: Binbogami!
Uscito ormai anni fa per J-Pop e tuttora in corso di pubblicazione, il manga di Yoshiaki Sukeno narra delle avventure di Ichiko Sakura una… (oddio che vergogna) “normale studentessa giapponese”. Alta, bionda, formosa, bella, ricca, strafortunata… talmente normale che ad un certo punto qualcuno pensa di porre rimedio a questa “normalità”. I binbogami, divinità (kami) della tradizione giapponese delegati a mantenere l’equilibrio si accorgono che una tale concentrazione di doti non è assolutamente normale (noooooo??) ed inviano una di loro a risucchiare l’eccesso di “energia della fortuna”.
Peccato che l’incaricata non sia esattamente una dea esemplare: svogliata, sarcastica, teledipendente, invidiosa, Momiji sembra mossa più da una antipatia immediata per Ichiko che non dal senso del dovere. D’altra parte la sua vittima, dietro ad una apparenza impeccabile, cela anche lei un caratterino tutt’altro che encomiabile.
L’incontro-scontro tra due brutte persone ben presto si estenderà ad un nutrito novero di comprimari. Quelli apparentemente normali, come il maggiordomo e tutore di Ichiko, Suwano, esempio di compassata saggezza ma anche persona che da troppo tempo vive sola, a Keita Tsuwabuki compagno di scuola di Ichiko, atleta e ragazzo lavoratore che deve mantenere la famiglia al posto dei genitori fuggiti per debiti (in Giappone non è per nulla infrequente). E quelli decisamente fuori di testa: il monaco buddista di colore e pervertito full-time Bobby, la divinità canina masochista Momoo, la karateka che veste da uomo Ranmaru Rindoh e la ricca stalker con abilità da ninja Nadeshiko Adenokouji.
Tra sfide per amore, sfighe per scherzo e faide iniziate e dimenticate qualche pagina dopo “perchè troppo una seccatura”, si dipanerà la commedia e, perchè no, la crescita umana dei personaggi: ciascuno a suo modo “squilibrato” (anzi… MOLTO squilibrato) ed evidentemente bisognoso di vedere la propria normalità sconvolta da una divinità… anche se una divinità della povertà lassista, sarcastica e teledipendente.

Come si intuisce, l’opera di Yohiaki Sukeno (testi e disegni) si colloca nel fortunato ma ora un po’ trascurato filone degli “scocciatori alieni” iniziato ormai decenni fa da Rumiko Takahashi con Uruseiyatsura. Rispetto alla media di tale genere, però, la novità che l’autore propone è quella di una coppia di protagoniste, al posto della consueta accoppiata uomo (più o meno) normale e donna aliena. Questa intuizione permette di liberare la scena da tutta quella sovrastruttura sentimentale che, quasi inevitabilmente, fin dalle origini si era espansa in direzione dell’ “harem” e lascia spazio alla pura commedia caratteriale con evoluzione “action”.
L’altra novità che questo “casting” inusuale comporta è che il “normale essere umano” che, con intento satirico, fin dagli inizi si prestava ad essere dipinto anche come una persona insospettabilmente gretta (ogni lettore manga non può non aver presente quella specie di “giovane Homer Simpson” che era Ataru Moroboshi) in questo caso è una bella fanciulla.
Non solo, non dovendo preoccuparsi di quisquilie come “cavalleria” o “rispetto del gentil sesso”, entrambe le protagoniste (e tutte le comprimarie) danno il peggio di sè infierendo nei peggio abusi fisici ai danni di uomini e donne indifferentemente e, subito dopo, approfittando della loro femminilità (se possono) per passarla liscia.
A queste comiche crudeltà si aggiungono poi routine “tsukkomi-boke” (come già accennato: tradizione comica che vede “il saggio” e “lo stupido” duettare verso l’esito disastroso), situazioni surreali che spaziano dai classici del manga fino a citazioni immortali dei Looney Tunes e citazioni sfacciate da altri manga o telefilm famosi.
Il tutto ad un ritmo frenetico che mostra una completa padronanza del mezzo da parte dell’autore.

Tutto positivo, quindi?
Domanda retorica e risposta scontata: purtroppo no.
Innanzitutto il tratto di Yoshiaki Sukeno, pur essendo originale ed anche accattivante, a volte si perde in soluzioni inadeguate o proprio pigre e non ha praticamente nulla di “memorabile” se non nei momenti in cui si presta alla farsa citazionista o nelle poche scene epiche ben riuscite.
Ma il principale difetto è proprio nell’evoluzione del narrato. Non potendo fidare solo sulla continua ripetizione delle routine comiche, Sukeno quasi subito comincia ad introdurre qualche derivazione “drammatica” che gestisce molto bene per tenere alta la tensione. Da questi episodi isolati si espande poi in direzione di archi narrativi più compiutamente “d’azione” e, almeno per le prime volte, questo gli riesce davvero bene. Le “anormalità” dei personaggi, dalla atleticità di Tsuwabuki alla perversione di Bobby, diventano dei veri e propri “poteri” sfruttati con intelligenza e senso umoristico. Si ride e ci si esalta pure.
Poi però l’apparentemente maledizione del “power levelling”, piaga dello “shonen action”, sembra contagiare anche questa opera: gli avversari diventano sproporzionati, come sproporzionata diventa la posta in gioco. La spensieratezza viene messa da parte per interi capitoli a favore del dramma ed i personaggi che, come i già citati Looney Tunes, sopravvivevano comicamente a incidenti farseschi, fronteggiano la minaccia di morte con troppa frequenza.
A quel punto il lettore si trova di fronte ad una scelta difficile: accettare il nuovo corso o lasciare, conservando il ricordo di una allegra, rutilante, ritmatissima cialtronata.