Nella lunghissima “Saga della Luce e dell’Ombra”, che va avanti su “Rat-Man Collection” da ormai vent’anni, uno dei momenti per me più emozionanti è contenuto nel racconto “Camera 9” (Rat-Man Collection n.46), con la più improbabile delle coppie: Rat-Man e il signor Guglielmo, che si sono trovati a condividere la camera in ospedale.
Rat-Man vi è capitato dopo essere stato picchiato da un bambino delle elementari (!) e si sta riprendendo dal coma in cui era finito.
Il disastroso supereroe creato da Leo Ortolani lo sta facendo con molta calma. Ha infatti messo in dubbio la propria missione e sta pensando di ritirarsi, nonostante l’insistenza del suo amico, il capitano Brakko, affinché riprenda il suo posto, perché la Città senza nome è nel caos. Ma Rat-Man ha trovato una nuova ragione di vita: avere un anziano tutto per sé di cui occuparsi! Ovviamente a modo suo, e per ragioni egoistiche piuttosto che altruistiche, e con il primo uomo che ha trovato perché “ho sempre desiderato un maschietto”. Quell’uomo è il signor Guglielmo, appunto, un anziano semi-paralizzato da un ictus, “un omino così vecchio che pareva tenuto insieme dal borotalco” e che non riesce più a parlare, se non con versi.
Il momento emozionante a cui ho accennato si svolge in una striscia completamente muta, con tre vignette sostanzialmente identiche, nella penombra della camera. Il signor Guglielmo osserva Rat-Man che studia dei libri, nel silenzio totale e, dopo un tempo indefinito, si addormenta serenamente.
Poco prima avevamo visto il signor Guglielmo singhiozzare, consapevole di essere stato abbandonato da suo figlio perché “adesso che i ragazzi sono grandi, hanno bisogno del loro spazio”. Rat-Man era riuscito a consolarlo, nonostante i suoi modi indelicati, e a strappargli uno dei suoi sorrisoni “con le sue gengive smarrite” recitando la frase preferita del Signor Guglielmo, grande appassionato di Star Trek (“Teletrasporto!”). Poi gli aveva rimboccato le coperte, lo aveva disposto “sul suo fianco preferito, quello dell’ictus” e gli aveva chiesto di fare silenzio perché deve concentrarsi e studiare per “l’esame delle feci” 🙂 che il giorno dopo deve sostenere.
Trovo emozionante l’idea di questi due personaggi, così diversi tra loro, che si sono trovati a vivere questo momento. Che quel povero vecchietto, ”lasciato solo come un cane” dai suoi cari, impegnati ad andare alla ”cena in favore delle popolazioni africane che muoiono di fame”, osservi con curiosità il più improbabile degli amici di cui, nonostante tutte le sue cattiverie, si fida perché sta allietando, a modo suo, le sue giornate, e al quale giocherà qualche scherzo.
E quando il vecchietto, pochi giorni dopo, sta esalando i suoi ultimi respiri affaticati, tenendo in mano il numero 1 della “tombola del destino” che Rat-Man gli faceva estrarre per vedere “quanti giorni di vita restano al signor Gugliemo”, nonché le foto dei momenti salienti della sua vita, Rat-Man capisce che il signor Guglielmo “… deve proprio andare. Che lo stanno aspettando. Che il suo posto non è qui, in questo ospedale”. E che lo stesso vale per lui. Si inventa una preghiera per il signor Guglielmo mentre gli stringe la mano, sperando che gli piaccia (“Teletrasporto!”) e qualche tempo dopo, con un ultimo sguardo al letto ormai vuoto dove stava il signor Guglielmo, riprende la sua missione.
“Camera 9” è un racconto divertente, tenero, crudele e struggente, come Leo Ortolani ci ha abituato, perché infila il dito nelle piaghe della nostra coscienza e delle nostre ipocrisie, ci fa stare male, riflettere e commuovere e ci riesce proprio grazie alla “cattiveria” del personaggio (che comunque, nei momenti decisivi, si rivela sempre sensibile). E lo fa in un modo così netto ed esplicito grazie al contrasto che crea tra quello che narra e quello che rielabora il fruitore della storia, cosa che non sarebbe possibile leggendo rapporti statistici sui fenomeni sociali più sensibili o inventandosi racconti di fantasia “corretti”, ma innocui e poco incisivi quanto a emozioni e riflessioni trasmesse.
Manca davvero molto poco alla conclusione di “Rat-Man Collection”: a settembre uscirà il n.122, che oltre alla serie chiuderà la “Saga della Luce e dell’Ombra”, dall’architettura così complessa, stratificata e profonda di contenuti da lasciare ammirati per il gioco a incastro che Leo Ortolani ha portato avanti in vent’anni, aggiungendo ogni volta dei dettagli senza cadere in contraddizione con quanto narrato in precedenza (le origini di Rat-Man hanno raggiunto livelli di complessità inauditi) e ottenendo un quadro coerente di una vicenda intricatissima, ma appagante.
La “Saga della Luce e dell’Ombra” di Rat-Man è già negli annali delle più belle ed universali storie mai raccontate, anche senza limitarsi al media fumetto. È già un classico e durerà nel tempo: in essa vi potrete ritrovare, infatti, ogni elemento che permette al lettore di identificarsi e di appassionarsi per una storia, vale a dire tutte le emozioni e le situazioni della vita: amore, perdita, disperazione, paura, cadute e risalite, fede, condanna e redenzione.
Il tutto con la personalissima e divertente cornice ideata da Leo Ortolani, con un protagonista che è un disastro come supereroe, che ha colossali abissi di ignoranza, che è egoista e meschino, ma anche dotato di slanci di profonda umanità.
Probabilmente Rat-Man non sparirà dalle edicole e continuerà a vivere per altri progetti paralleli (come le celebri parodie o nuove avventure dello squadrone dei “sacrificabili”), ma questa “Saga della Luce e dell’Ombra” mi mancherà. Certo Leo Ortolani ha fatto bene, anzi benissimo, a non trascinarla all’infinito e a darle il finale che aveva concepito con i tempi dovuti (e che finale! Una mega-storia suddivisa in dieci numeri che ha chiuso le trame rimaste in sospeso e in cui, se possibile, il ciclo ha toccato nuove vette).
Ciononostante, terminata la saga, proverò un po’ di tristezza, perché tutti noi siamo un po’ come il signor Guglielmo, e ogni tanto abbiamo bisogno di qualcuno “scorretto” come Rat-Man che ci pungoli nel nostro percorso. Aiutandoci a comprendere meglio anche noi stessi.