Joe Sacco è uno dei massimi esponenti della recente e indubbiamente interessante declinazione del fumetto che prende il nome di Graphic Journalism. L’opera di cui intendo parlare in questa sede si distacca però sia dall’usuale produzione a fumetti dell’autore, sia dalla più tipica produzione a fumetti attuale.
La Grande Guerra, come è facile intuire dal titolo, ha per oggetto la prima guerra mondiale, nello specifico i primi giorni della Battaglia della Somme (il sottotitolo riporta letteralmente: 1° Luglio 1916 Il primo giorno della Battaglia della Somme; nell’opera è però presente e ne fa parte integrante anche il giorno precedente, quello dei preparativi). Lo scontro vedrà contrapporsi l’esercito tedesco e quello franco-inglese e terminerà con una delle più grandi e terribili disfatte di quest’ultimo.
Prima ancora di esaminare il contenuto dell’opera è prioritario analizzarne la sua realizzazione materiale. Si tratta di una grande “Illustrazione” di sette metri richiudibile a soffietto. Ancora prima del suo significato storico, ancora prima del suo significato artistico, La Grande Guerra è un’opera incredibile per concezione e realizzazione. Una volta dipanati tutti i settecento centimetri di carta ci renderemo conto di trovarci di fronte a qualcosa di letteralmente eccezionale. Sono pochissime le opere inserite nel circuito della commercializzazione industriale in grado di regalare al fruitore una così intensa sensazione di monumentalità. Un prodotto di cui essere fieri già per il semplice acquisto.
Un’analisi più approfondita sui contenuti del lavoro dell’artista maltese, di adozione americana, non può prescindere dalla lettura dell’albo allegato in cui sono riportate delle informazioni degne di nota. Trovo che poter avere a disposizione il punto di vista dell’autore limiti l’insorgere di futili speculazioni, pur lasciando al lettore la libertà di interpretare ciò che legge. L’introduzione ai fatti storici operata dal giornalista e storico Adam Hochschild, oltre ad essere particolarmente chiara, permette poi una più corretta contestualizzazione degli eventi descritti consentendo al lettore una partecipazione più profonda.
Nell’impostazione grafica de La Grande Guerra è riconoscibile la tendenza dell’autore verso l’horror vacui. Questa propensione nel riempire completamente la pagina non esaurisce la sua ragion d’essere nella semplice cifra stilistica, bensì permette di rendere in maniera più diretta e meno mediata la sensazione di quanto fossero colossali quegli eventi: colossali per armi utilizzate, colossali per uomini impiegati, colossali per organizzazione e colossali per numero di uomini che persero la vita.
Il disegno risulta preciso, pulito, molto più che nei precedenti lavori di Sacco come il suo primo Palestina. Una nazione occupata o il più recente Gaza 1956. In questo lavoro sulla Prima
Guerra Mondiale l’autore si affranca dalle tendenze caricaturali di ispirazione Crumbsiana optando per un segno più imparziale e prossimo alla Ligne Claire. Solo nella parte centrale dell’opera il tratto si fa più frammentato, più caotico. Nel momento in cui si consuma la vera tragedia Joe Sacco sporca il suo disegno, non nella rappresentazione dei soldati, quanto nella resa delle esplosioni; nella polvere alzata dai colpi di mortaio, l’aria stessa si fa soffocante. Qui, in questa porzione di tavola, il lettore viene travolto dal caos, dalla disperazione di quegli attimi tremendi. È il momento più intenso dell’intera panoramica, quello che separa due momenti emotivi tra loro antitetici: la calma prima della tempesta, caratterizzata da un diffuso ottimismo e una febbrile eccitazione, e la calma dopo la tempesta, con la morte e la disperazione, vera presa di coscienza della disfatta militare.
Non possiamo considerare La Grande Guerra esclusivamente come il reportage postumo di una nefasta giornata di guerra, dobbiamo integrare questa visione con una più profonda, più allegoricamente legata a tutti e cinque gli anni del conflitto bellico. Ad una decisa euforia iniziale, dovuta ad una spinta generalizzata della classe intellettuale e politica, si sostituì ben presto la disillusione per una guerra di trincea lunga e lacerante, la quale dovette fare i conti con un numero di morti mai visto fino ad allora. Il momento finale dell’opera allora non vuol più rappresentare solo la sconfitta di un esercito, ma diviene simbolo di una disillusione generazionale. Joe Sacco, senza cadere nel retorico, mostra quanto di peggio la guerra, tutte le guerre, abbiano da offrire all’uomo.
È quindi questa, come abbiamo visto, un’opera importante in grado di generare riflessioni profonde sulla natura stessa della guerra, ma non esaurisce certo qui il suo potenziale. La Grande Guerra, per come è stata realizzata, pone dei dubbi sul linguaggio stesso da essa utilizzato.
Che cosa è il lavoro di Sacco, all’interno di quale forma artistica può essere collocata? Attenendoci a quanto dichiarato dal suo autore in copertina, si tratterebbe di un’opera panoramica. Se così fosse la presenza di questo articolo in uBC, magazine sul fumetto, sarebbe quanto meno controversa. La verità è che il lavoro di Joe Sacco contiene in sé degli elementi che trascendono l’illustrazione, in grado di trasformare questa opera panoramica in altro, che in qualche misura l’avvicinano al fumetto ma allo stesso tempo ne mettono in crisi la sua definizione.
Una porzione relativamente piccola dei suoi sette metri balza all’occhio per la sua unicità, essendo la sola ad essere completamente oscurata, praticamente notturna: divide il giorno dei preparativi da quello della battaglia, è la notte che cala, è il tempo che passa. È in questo piccolo segmento che La Grande Guerra mette bene in evidenza la sua enorme peculiarità. Fruendo l’opera, osservandola, l’occhio non si muove solo nello spazio ma si muove anche nel tempo. L’oggetto del nostro sguardo non è congelato come l’arte pittorica ci ha abituati. All’osservatore viene proposta un’evoluzione temporale, all’incedere dei nostri occhi è legato l’incedere del tempo, siamo molto più vicini alle dinamiche fumettistiche che non a quelle illustrative.
Eppure difficilmente definiremmo l’opera di Joe Sacco come fumetto; lo stesso autore, come abbiamo visto in copertina, rifugge questa possibilità, nonostante non sembri essere del tutto peregrina.
La problematica è nota ed è legata alla difficoltà di definire in maniera precisa e univoca il linguaggio a fumetti.
Una delle più apprezzate (per una panoramica più completa sull’argomento, consiglio la lettura del sesto capitolo dell’ottimo saggio di Andrea Tosti: “Storia e Teoria del romanzo a fumetti” ediz. Tunué) è quella fornita da Scott Mcloud il quale, con una chiara ispirazione a Will Eisner, pone l’accento sulla natura sequenziale del medium:
“Immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione nel lettore”
Scott McCloud, “Capire il fumetto, l’arte invisibile”
Stando a questa definizione, La Grande Guerra non potrebbe essere assimilata al fumetto, mancando di uno degli elementi cardine previsti, la giustapposizione, la quale, prevedendo la compresenza di due elementi distinti, esclude a priori qualsiasi tipo di lavoro a vignetta singola, per quanto lunga essa possa essere. L’apertura a soffietto permette però, al lettore, una modalità alternativa per beneficiare del lavoro di Sacco, molto più vicina a quella che potrebbe essere l’esperienza dell’albo. In questa modalità si assiste ad una parcellizzazione del quadro complessivo mantenendo, tuttavia, inalterata la successione temporale degli eventi. Ritroviamo così la mancante giustapposizione. Ecco ora che la definizione di Mcloud mostra dei limiti, genera di fatto un’ambiguità quantica; l’opera sarebbe al contempo sia conforme sia difforme alla sua definizione.
Un approccio più “italiano” sembra poter essere più adatto al nostro caso. Hugo Pratt amava definire il fumetto letteratura disegnata, ponendo di fatto l’accento sulla natura narrativa del medium.
Più dettagliato risulta essere Daniele Barbieri:
“[…] l’immagine del fumetto racconta, l’immagine dell’illustrazione commenta […] e quel qualcosa può in generale esistere anche senza illustrazione: il suo ruolo è quindi, appunto, quello di fornire un commento esterno […] Nel fumetto, al contrario, la singola vignetta ha funzione direttamente narrativa anche in assenza di dialoghi o di didascalie”
Daniele Barbieri, “Linguaggi del Fumetto”
Le considerazioni dello studioso italiano riportano l’esperienza de La Grande Guerra nel perimetro del fumetto. Sarebbe infatti impossibile negarne la forte tensione narrativa; perfino il suo carattere muto, da quanto abbiamo visto, non sembra poter costituirne una discriminante per la sua appartenenza nel novero della nona arte.
Joe Sacco compone un’opera dai tratti avanguardistici la quale, a ben vedere, sul lato del linguaggio risulta avere molto più da insegnare ai fumettisti che non agli illustratori. Non a caso l’Arazzo di Bayeux, lontana ma esplicita ispirazione di Sacco, induce McCloud nel suo Capire il Fumetto ad una provocazione che, al limite del profetico, pare essere stata colta solo dal nostro giornalista:
“[…] penso che i fumettisti moderni debbano fare attenzione alle possibilità di simili composizioni a pagina intera e a quanti pochi autori ne abbiano fatto buon uso da allora.”
Scott McCloud, “Capire il fumetto, l’arte invisibile”
Quella del giornalista maltese Joe Sacco è un’opera mirabile e notevolmente complessa. Oltre a porre l’accento su una delle più tristi pagine della storia della Prima Guerra mondiale, inducendo una riflessione profonda sulla natura stessa della Guerra, ha il merito di innescare, se raccolta, una provocazione sulla natura vaga del linguaggio fumettistico evidenziandone, allo stesso tempo, potenzialità fino ad oggi colpevolmente trascurate.