Jinka Yamato è un umano dalla grande capacità spirituale che vuole diventare un Katawara (un mostro), Tama è una Katawara, per la precisione una Kitsune (donna volpe), che lo accompagna chiamandolo “fratello”.
Jinka detesta gli esseri umani, li trova violenti, egoisti, gretti. Tama ama gli esseri umani, li trova deboli, gentili, divertenti.
Entrambi si muovono nel Giappone dell’epoca dei disordini per portare la giustizia e fermare i Katawara che attaccano gli umani.
Sulla loro strada incontrano un umano abbastanza “tipico”: Shinsuke Kazamatsuri, un falso samurai, debole e codardo come pochi. Disperatamente alla ricerca della forza.



Incontrano Shakugan, l’unione artificiale di una ragazza dalla forza spirituale, Shakuyaku, e Kagan, un Katawara di pietra. Disperatamente desiderosa di liberarsi di una forza genocida.
Questa è una storia di esseri che odiano altri esseri, di esseri che amano altri esseri, di chi vuole diventare qualcosa d’altro, di chi desidera la forza e di chi non la voleva. È una storia in cui tutti soffrono e tutti ridono. È una storia in cui tutti cercano una verità e nel frattempo mentono persino a se stessi.
Con una doppia uscita nel mese di settembre 2016, in diciassette volumi avevamo chiuso “Creature Arcane”, manga di Satoshi Mizukami già noto al pubblico per “Samidare” e in pubblicazione sempre per FlashBook con “Spirit Circle”.
Non si tratta certamente di uno degli autori più famosi del panorama giapponese, sia per la sua predilezione per un genere “fantastico” un po’ dimesso e normalizzato, sia per il tratto di disegno non certamente tra i più accattivanti. Eppure, già con Samidare e ora con questa opera, ha dimostrato di essere un autore che merita attenzione.
Il suo modo di narrare è infatti estremamente verosimile e vivace, finora nelle sue opere si è preso tutto il tempo che riteneva necessario, ma praticamente mai ha “sbordato” rischiando di diventare una macchietta presa in giro dai lettori disperati (*coughKentaroMiuracough*).
Questa opera in particolare addirittura si divide in tre narrazioni separate ciascuna da qualche anno di distanza, in cui quelli che sembravano essere i protagonisti vengono alternativamente allontanati e richiamati in scena, spesso variando il loro ruolo e “crescendo” compatibilmente con il tempo che scorre. A memoria l’unica opera che era riuscita a gestire così bene questo passaggio (senza tornare indietro fino alle saghe di Tezuka) è stata “20th Century Boys” di Naoki Urasawa.
Tutto funziona perchè, nonostante i tempi si allunghino e i protagonisti cambino, i temi centrali restano dominanti e consistenti, senza mai perdere di importanza agli occhi dei protagonisti e del lettore. Anzi possiamo dire “il” tema dominante, forse uno dei più antichi della narrativa, ovvero: “come si può dominare il proprio destino?” o, più prosaicamente, “come posso ottenere quello che voglio?”.



La risposta ovviamente è data (forse) nel lungo percorso di 100 capitoli (99+1 bonus) per 17 volumi ma l’autore non la rende mai facile né banale.
Mette in contatto personaggi che non hanno alcuna speranza di raggiungerla e personaggi che la hanno già raggiunta ma non ne fanno gran vanto, va raccontando piccole risposte individuali e grandi ideali, non nasconde mai quale sia il costo per ottenere anche poco e quanto possa essere facile disperarsi e perdersi.
In questo riesce a essere convincente e quasi “didattico” senza diventare “didascalico”. Le azioni dei personaggi, molti dei quali dotati di poteri sovrumani o proprio inumani, sono “normali”, sono coerenti con la situazioni, i dialoghi a volte quasi banali. “Ingenui” nel senso di genuini sia quando esprimono affetto, sia quando mossi da odio feroce.
Contemporaneamente alleggerisce il tutto con sipari comici efficaci (a volte vere e proprie “recurring gag”) e scene d’azione epiche in cui i personaggi principali mostrano gli effetti della loro crescita, a volte in maniera sorprendente persino per il lettore che scopre solo in quel momento il significato di azioni apparentemente banali.
Mizukami mostra insomma una scrittura poliforme e consistente, capace di gestire più aspetti della narrazione e regalare al lettore una carrellata di personaggi “forti” che restano nella memoria pur non essendo, a volte, neanche protagonisti.
In questo il suo stile ricorda molto quello di un altro autore ancora molto amato in Italia, Kazuhiro (“Ushio e Tora”) Fushita.
Questa similitudine si esprime anche nel tratto grafico: a volere essere gentili, come avevamo già detto nel recensire Samidare, il tratto di Mizukami è “approssimativo”, a voler essere volgari… non lo siamo perché gli vogliamo troppo bene.
Va anche detto che, rispetto al suo manga precedente, i miglioramenti ci sono e si vedono: le anatomie dei personaggi sono più consistenti, gli scenari più “vivi” ed il tratteggio si è fatto più sicuro.
Ma se lo confrontiamo con la quasi totalità della concorrenza, il suo tratto resta “passabile” e sgomita sempre ad un pelo dalla zona retrocessione.
Semmai la forza del suo disegno (ancora il paragone con Fujita regge) è nella gestione del “ritmo” che non lascia mai il lettore a interrogarsi su “come” si sia arrivati a un evento. L’autore guida il lettore sia verso un crescendo epico, sia verso la liberatoria risata o il momento commovente.
In questo la scansione di tavola, la gestione degli spazi delle vignette e le inquadrature sono tutte assoggettate al narrato, con predilezione molto spesso di inquadrature a campo largo a cui si sovrappongono le figure dei protagonisti della scena.
Se vogliamo usare una metafora cinematografica: non sarà un maestro della fotografia, Satoshi Mizukami, ma come regista è difficile andargli a dire qualcosa.
Chiudo: in 17 volumi “Creature Arcane” racconta una grande epopea di personaggi “fortissimamente deboli” e “debolmente invincibili”. Dolci, appassionati, innamorati, rancorosi, inflessibili, cialtroni, disonesti, crudeli, i personaggi di “Creature Arcane” sono compagni di un viaggio di cui il lettore è partecipe dall’inizio alla fine e da cui si distacca con molto rimpianto.
Salutando con un sorriso.